Nonostante un clima mediorientale sempre più infuocato con la presenza nella regione di un importante contingente russo e una guerra incerta e a singhiozzo contro il territorio controllato dal Califfo dell’ISIS Al Baghdadi portata avanti dalle potenze occidentali, la vita politica israeliana non riesce a trovare un momento di calma.
Che in Israele la dialettica della democrazia sia sempre viva e dinamica è una costante mai smentita dal tempo, anzi la storia ci insegna che gli scontri maggiori fra le forze di governo e opposizione si sono spesso verificati proprio nei periodi precedenti gravi crisi o subito dopo. Per non smentire questa regola non scritta anche in queste ore non sono pochi i dubbi sul futuro e sulla tenuta del governo israeliano, soprattutto dopo che a Hebron, nella notte fra il 21 e il 22 Gennaio, la polizia e reparti dell’esercito hanno sgomberato diverse decine di giovani provenienti dagli insediamenti della Cisgiordania che volevano prendere possesso di alcuni appartamenti acquistati in passato da famiglie arabe, appartamenti che si trovano a ridosso del confine interno alla città che divide la parte controllata da Israele da quella controllata dall’ANP.
Il possesso di quegli appartamenti, anche se la proprietà è regolarmente riconosciuta visto che gli stessi sono stati acquistati e pagati, è stato congelato dalla Corte Suprema di Gerusalemme in attesa di accordi con la controparte palestinese. Accordi che, inutile dirlo, non ci saranno mai o comunque non in tempi brevi. Si è trattato di un tentativo di forzare certe regole di convivenza in una città dove la vita fra le comunità araba ed ebraica è sempre stata difficile al punto che gli attriti si sono con il tempo trasformati in scontro aperto e un normale contratto di compravendita immobiliare diventa un caso internazionale.
Anche questo sgombero, eseguito per non creare ulteriori motivi di scontro in un periodo molto difficile e caratterizzato da continue aggressioni all’arma bianca da parte palestinese verso civili israeliani, è servito alle opposizioni, esterne e interne alla maggioranza, per aprire un dibattito in parlamento che è sicuramente il prologo al terremoto politico che il Premier Netanyahu dovrà prima o poi affrontare. Proprio su questo sgombero il Ministro della Difesa Moshe ‘Bughi’ Yalon ha dovuto rispondere alla Knesset (Parlamento Israeliano) a una serie di provocanti domande poste sia dall’opposizione laburista che dai deputati e altri ministri della coalizione del governo di cui fa parte. Anche se il tema del ‘Question Time’ era la troppa severità nell’applicare la legge nel caso di Hebron, cosa che non è stata fatta in altre occasioni, era palese dal tono delle domande quanto sia alta l’insofferenza in una larga parte della maggioranza di governo sulle politiche fin qui adottate dal Primo Ministro al fine di prevenire e combattere il terrorismo interno.
Che Netanyahu sia quasi un’anatra zoppa è stato dimostrato pochi giorni fa con la nomina di Aryeh Deri, segretario del partito religioso sefardita Shas, a Ministro degli Interni, mandato che aveva già ricoperto prima di essere investito da uno scandalo per corruzione che lo portò a passare alcuni anni in carcere. Inutile dire che i dubbi sull’opportunità di mettere in quel ruolo una persona che ha avuto seri problemi con la giustizia sono stati sollevati da più parti. Ma oltre ai dubbi e alle critiche quello che pesa in questo scenario è il limitato spazio di manovra di cui il Premier gode in questo momento, Netanyahu tiene infatti ad interim diversi dicasteri, anche importanti come quello degli esteri, e dopo aver accontentato Deri non riesce a nominare nuovi ministri.
Bibi sa che le opposizioni interne lo aspettano al varco e uno scivolone potrebbe costringerlo a un rimpasto che scatenerebbe una guerra fra i partiti di governo, una guerra che alla fine scontenterebbe tutti. È chiaro che se ci dovesse essere una crisi al ‘buio’ in un clima di tutti contro tutti come quello attuale, sarebbe probabilmente impossibile ricreare una nuova maggioranza e la diretta conseguenza sarebbe una chiamata alle urne in elezioni politiche generali anticipate.
In questo caso il bagno di sangue politico è inevitabile e Bibi, memore delle pesanti influenze dell’inquilino della Casa Bianca durante l’ultima tornata elettorale, non vuole correre il rischio di dare la parola al popolo fintanto che Obama è al potere. Il presidente Usa, infatti, criticò pesantemente Netanyahu con dichiarazioni pubbliche a pochi giorni dalle elezioni israeliane, critiche in parte condivise dall’allora Presidente Peres, che pur di favorire il suo partito dimenticò anche in quella occasione che il ruolo che ricopriva in quel momento doveva essere super partes.
Anche se nessuno, tantomeno un Capo di Stato estero, può dire agli israeliani chi deve essere il Primo Ministro, dalle ultime elezioni ad oggi molte cose sono cambiate e altri motivi di incertezza sono arrivati a disturbare il proseguimento della legislatura. Con la chiusura del procedimento di indagine nei confronti dell’ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito Generale Askenazy, personaggio amato in Israele in maniera trasversale che ora è ripulito dalle beghe giudiziarie, si apre forse un nuovo capitolo nel campo laburista.
Se Askenazy decidesse di entrare in politica potrebbe facilmente sostituire il debole Herzog alla segreteria dei laburisti e sfruttare le divisioni interne alla destra, dove Netanyahu e Bennet, Ministro dell’Economia (del Partito ‘La Casa Ebraica’), da tempo sono ai ‘ferri corti’.
A questo va aggiunto che anche i religiosi di Shas non danno affidamento, non per questo sono famosi per essere bravissimi a saltare sul carro del vincitore o di chi offre di più, e Askenazy alleandosi con Yair Lapid di ‘C’è Futuro’, secondo partito di opposizione, diventerebbe un forte avversario capace, con le giuste alleanze, di strappare la maggioranza alla Knesset e far tornare i laburisti al governo.
Rimane che con in corso l’intifada dei coltelli, che colpendo a corrente alternata fa vivere la popolazione in una continua tensione, una tornata elettorale potrebbe non essere tranquilla come al solito con la variante che semplici fatti di cronaca sarebbero in grado, nonostante l’attentato improvviso per Israele non è mai stato una novità, di veicolare il voto sull’onda delle emozioni. Ma si sa che Bibi Netanyahu è un vero mastino della politica e nel momento del bisogno sa riunire attorno a sé il voto popolare, solo con il tempo e con l’evolversi delle situazioni potremmo capire se è ancora quel grande statista in cui molti credono e questo potrà dimostrarlo solo schivando le nubi che si stanno formando al suo orizzonte.
Michael Sfaradi per Progetto Dreyfus