Israele e Stati Uniti

Nemico giurato di Israele

Ieri si è spento alla veneranda età di 100 anni l’ex presidente americano Jimmy Carter. Indubbiamente la sua fama – che gli è valsa anche un premio Nobel per la pace – è legata al trattato di pace che mediò tra Israele e l’Egitto di Sadat. Questo fu il primo accordo tra uno Stato arabo e lo Stato ebraico.

Un risultato senza dubbi epocale che aprì la porta al trattato di pace con la Giordania, agli accordi di Oslo e ai più recenti accordi di Abramo. Tuttavia, se si analizzano più da vicino questi “accordi di pace” ci si accorge che hanno un unico filo comune: Israele è sempre stato l’unico soggetto ad avere fatto delle concessioni alla controparte di turno per arrivare all’accordo, nonostante sia sempre stato aggredito e vincente sul campo di battaglia. Unico caso al mondo. Questa prassi politica venne inaugurata da Jimmy Carter.

A Camp David, nel 1978, fin dalla prime battute degli incontri bilaterali e trilaterali tra il premier israeliano Begin, il presidente egiziano Sadat e il presidente americano Carter, fu evidente che la posizione di Israele risultava essere di debolezza e ogni sua richiesta veniva vista dal presidente americano come una posizione “intransigente”. Ogni punto di maggior attrito e difficoltà veniva gestito da Carter, non come mediatore super partes, ma assecondando le posizioni egiziane come se fosse stato Israele ad aggredire l’Egitto e ad avere perso la guerra. In pratica, Israele, il vincitore delle guerre nonché l’aggredito dovette fare tutta una serie di concessioni territoriali e politiche, cosa che normalmente è richiesto allo sconfitto, in cambio del suo mero riconoscimento e di una pace di fatto imposta. Gli egiziani avevano anche chiesto delle riparazioni per danni di guerra, per una guerra che loro stessi avevano causato. Almeno su questo punto gli americani si opposero, fu l’unico risultato tangibile ottenuto da Begin.  Da allora questa politica è diventata una costante: ad Israele venne affibiato il ruolo  del soggetto che nelle diverse trattative doveva cedere qualcosa in cambio di nulla. Oltre a questo, l’Amministrazione Carter si mise in luce per essere stata quella che inventò il mito degli “insediamenti che violano il diritto internazionale”. Tale tesi fu confezionata per il presidente Carter dal giurista Herbert Hansell e applicata unicamente a Israele e a nessun altro Stato del mondo. https://www.linformale.eu/allorigine-del-mito-dei-territori-occupati/Va, inoltre, ricordato che Carter fu il primo presidente USA che utilizzò il Consiglio di Sicurezza come strumento politico per delegittimare Israele con una serie di risoluzioni di forte condanna dello Stato ebraico.  

Il vistoso successo politico ottenuto non consentì a Carter di essere rieletto nel 1980. La presa di potere in Iran, nel 1979, da parte di Khomeini e la susseguente cattura degli ostaggi americani e la debolissima risposta dell’amministrazione americana fu fatale per la sua rielezione.

La politica conciliatoria di Carter inaugurò la stagione “dell’appeasement” nei confronti dei peggiori dittatori del Medio Oriente, ereditata poi soprattutto dalle amministrazioni democratiche. Nel solco di questa politica si è mosso Barack Obama prima e Joe Biden successivamente.

L’acredine di Carter nei confronti di Israele non è cessata con il suo ritiro dalla politica attiva. Anzi, nel corso dei decenni è aumentata fino a diventare un’autentica ossessione. L’acme lo raggiunse con la pubblicazione del suo libro “Palestine: Peace not Apartheid”, un coacervo di falsità, errori grossolani e infamanti calunnie rivolte allo Stato ebraico. Un autentico libello del sangue che ha inaugurato, assieme alla Conferenza di Durban del 2001, una furibonda delegittimazione di Israele la quale ha lastricato la strada per tutto l’insieme di accuse che formano oggi la sua demonizzazione.   

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