Uno dei miti più radicati che si sono creati relativamente al ritorno del popolo ebraico in terra di Israele, è che esso sia avvenuto a danno della “locale popolazione araba insediata in quella terra da tempo immemore”.
La breve analisi che segue vuol fornire al lettore gli elementi per comprendere che la realtà dei fatti è l’esatto opposto rispetto a quanto la propaganda ha cercato di fare credere.
Per prima cosa è necessario definire il territorio in questione. Impresa che appare più semplice oggi perché si fa riferimento a cartine che rappresentano Israele (anche se con confini talvolta controversi) o cartine che rappresentano il Mandato di Palestina, che l’ha preceduto e che ne ha sancito i confini legali per il diritto internazionale. Ma questi confini, oggi noti, sono una creazione moderna (consolidatosi in modo quasi definitivo tra il 1920 e il 1927). Infatti, nei quattro secoli precedenti – quelli del dominio ottomano – come si può ben vedere comparando le cartine 1 e 2 relative al Mandato di Palestina e alla suddivisione amministrativa ottomana dell’area fino al 1917, l’area interessata alla nostra ricerca, era suddivisa amministrativamente in maniera del tutto diversa e con criteri e logiche assai differenti. Il termine stesso di Palestina, nei 4 secoli di dominio ottomano, non era in uso essendo un termine europeo e cristiano in modo particolare.
Al fine di procedere all’analisi dei dati demografici interessanti per la nostra ricerca, si utilizzeranno i parametri geografici e amministrativi forniti dai dati di censo (ottomani e britannici nel periodo mandatario), report di autorità ottomane, report consolari europee (redatte nel corso del 1800 quindi in periodo ottomano) e dispacci britannici e relazioni dibattute dalla Commissione Permanente dei Mandati.
L’area geografica presa in esame è quella della cartina 1 relativamente ai distretti amministrativi dei sangiaccati di Acri, Nablus e quello autonomo di Gerusalemme. Mentre per il periodo mandatario (cartina 2), si farà riferimento alla porzione occidentale del Mandato di Palestina, quella che si colloca tra il Mediterraneo e il fiume Giordano, cioè quella istituita per creare lo Stato ebraico, tralasciando l’area del Mandato di Palestina ad est del fiume e denominata Transgiordania, lasciata dall’amministrazione britannica ad esclusiva pertinenza araba.
Definiti i parametri della ricerca, iniziamo ad analizzare le fonti e i dati demografici più salienti.
Le prime statistiche affidabili relative al territorio in questione sono quelle pubblicate in Inghilterra nel 1858 da Sir John Murray nelle sue famose guide. Dati ripresi dall’Enciclopedia Britannica nel 1860. A questi dati si aggiungono dati coevi redatti da missionari in loco e da consoli (russo, francese e inglese) presenti a Gerusalemme. I dati ufficiali ottomani sono molto scarsi a causa, principalmente, della guerra combattuta tra l’Impero ottomano e l’Egitto di Muhmad Alì Pashà tra il 1830 e il 1840 che devastò completamente il territorio esaminato. Una nota interessante che si può fare su Muhmad Alì Pashà – futuro capostipite della famiglia reale che regnò in Egitto fino al 1952 (fino al colpo di Stato di Nasser che detronizzò re Faruk) – è il fatto che fosse albanese. Ma come si vedrà in seguito questa mobilità all’interno dell’Impero ottomano era tutt’altro che rara.
Tutte le statistiche dell’epoca sono concordi nell’indicare il numero di abitanti complessivi (tra tutti i gruppi etnici, linguistici e religiosi) presente sul territorio, attorno alle 250.000 e le 300.000 persone (cifra che si era mantenuta stabile per circa due secoli). Se raffrontiamo questo dato con il dato sulla popolazione oggi presente in Israele e i territori amministrati dall’Autorità Palestinese (stessa superficie complessiva), che è di circa 13.500.000 persone, si capisce fin da subito che l’intera area – ad esclusione di pochi centri urbani – era pressoché disabitata fino almeno al 1850.
Per quanto concerne la composizione della popolazione, i criteri più utilizzati per descrivere i singoli gruppi erano basati sulla fede religiosa o la lingua parlata. Per questo motivo non era semplice valutare la consistenza dei gruppi etnici presenti. Comunque una prima analisi dei dati emersi dall’incrocio delle varie fonti ci fornisce i seguenti dati sulla popolazione presente:
141, 000 (musulmani stanziali di varie etnie turchi, arabi, circassi, curdi e altri)
65, 000 (beduini arabi nomadi)
55, 000 (cristiani di lingua araba ma non arabi etnicamente)
34, 000 (ebrei)
5, 000 (drusi)
Le cifre sono state arrotondate dalle fonti per difetto alle mille unità.
E’ molto utile comparare queste cifre con quelle del censimento ottomano del 1893 e riprese in modo più analitico dal geografo francese Vital Cuinet nel 1895, il quale compie il primo studio strutturato sulla composizione della popolazione. Dalle sue ricerche si evince che la popolazione al 1893 era cresciuta già a 457.592 unità, quindi di oltre il 50% in 35 anni, cioè una crescita demografica che non ha uguali nelle aree limitrofe che, anzi, vedono una stasi demografica generalizzata o una crescita limitata.
La cosa che colpisce di più in questo aumento della popolazione è rappresentato dalla massiccia crescita di due “gruppi” in particolare: gli ebrei, che passano da 34.000 a 59.431 unità e i “musulmani stanziali” che passano da 141.000 a ben 252.000 unità. La cosa di estremo interesse, in questa impetuosa crescita di questi due “gruppi” è che il ricercatore francese la imputa all’immigrazione. Infatti, i luoghi d’origine per gli ebrei, il ricercatore, li identifica nell’Europa dell’Est e nello Yemen. Mentre per i “musulmani stanziali” fa riferimento a diverse aree dell’Impero ottomano. Così, questo gruppo viene suddiviso, dal ricercatore francese, in turchi, curdi, circassi, bosniaci, albanesi, turcomanni e arabi. Questi ultimi sono suddivisi in base alle aree di provenienza, che corrispondono agli odierni: Egitto, Libano, Arabia Saudita, Siria, Algeria, Iraq.
I beduini (arabi nomadi) e drusi hanno una modestissima crescita rispetto alla generazione precedente. I cristiani hanno un importante aumento ma soprattutto per merito di immigrati religiosi: greci, armeni, russi e occidentali di varie confessioni.
Le cause che hanno portato a questo considerevole aumento della popolazione vanno ricercate in vari fattori: l’apertura di nuove scuole prevalentemente religiose (cristiane ed ebraiche), l’apertura di ospedali, prime e importanti bonifiche (soprattutto fatte dai pionieri ebrei), la costruzione di una sempre più moderna infrastruttura viaria. Rete viaria, indispensabile, alle nuove e vivaci attività economiche che si sono sviluate, principalmente, con la presenza di immigrati ebrei europei. Da cosa si deduce questo dato? Dal fatto che in coincidenza all’ampliamento o alla costruzione di nuovi insediamenti ebraici sparsi per il territorio, si è verificata una, e di poco successiva, crescita degli insediamenti di “musulmani stanziali” nelle zone adiacenti a quelli ebraici. In parole povere gli insediamenti ebraici attiravano nuova manodopera che non era soddisfatta con la sola immigrazione ebraica, la quale era di fatto molto limitata dai turchi. La stessa cosa si verificherà, ma con numeri ben maggiori, nel periodo mandatario.
I dati sulla popolazione totale alla vigilia della Prima guerra mondiale, parlano di una popolazione complessiva di circa 650.000 abitanti di cui 95.000 ebrei. Anche in questi anni di inizio secolo il grosso aumento della popolazione è rappresentato da ebrei e arabi immigrati. Modesti sono, invece, gli incrementi tra cristiani, beduini e drusi.
La Palestina mandataria
Ci concentreremo qui solamente sulla parte di mandato compreso tra il fiume Giordano e il Mediterraneo e non sulla sua parte ad est, di fatto sganciata, dagli inglesi, dal mandato e amministrata in modo differente come Transgiordania.
Il primo censimento operato dall’amministrazione civile britannica, nel 1921, mostrò un drastico calo della popolazione complessiva. Ciò fu dovuto agli eventi bellici: tra il 1917 e il 1918, il territorio si trovò in prima linea negli scontri tra inglesi e turchi. Questi duri combattimenti causarono la morte di moltissime persone sia a causa degli scontri armati, sia come conseguenza delle razzie turche. A questo si aggiunse la momentanea emigrazione di parte della popolazione sia tra gli arabi (che avevano case e famiglie in altri parti dell’Impero), che tra gli ebrei e i cristiani (non tutti ancora cittadini ottomani).
Il più indicativo censimento britannico, quello del 1931, riporta una popolazione totale del mandato di 969.268 abitanti. Quindi con un incremento demografico di oltre il 50% rispetto al 1914. Di questa popolazione complessiva il 14% (circa 135.000 persone) è definita “di recente immigrazione”, la cui cospicua maggioranza è descritta come ebraica, mentre quella musulmana e cristiana è percentualmente molto ridotta.
Gli inglesi utilizzavano alternativamente il termine “musulmano” o “arabo” senza fare altre distinzioni etniche. Ma sono diverse le cose che colpiscono dei dati forniti dagli inglesi. Da un lato si rileva l’accento posto sull’incremento della popolazione ebraica come frutto dell’immigrazione – è bene ricordare che era lo scopo primario dell’istituzione del Mandato per la Palestina – dall’altro si mette in rilievo come la popolazione “musulmana nativa” sia cresciuta in modo “incredibile”. In altri passi ufficiali si legge di “tassi di crescita demografica senza precedenti”. In altri ancora di “prodigio demografico”. Però, una più attenta lettura degli stessi report ufficiali fa emergere che “i musulmani presenti sul territorio” parlano ben “23 lingue diverse”. In altri per la prima volta si parla della popolazione “araba cristiana che parla 21 lingue diverse”. In altri documenti si parla di ben 51 diverse lingue parlate dalla “locale popolazione araba”. Pare evidente la contraddizione dei dati forniti dalle autorità britanniche: come si può pensare ad una “crescita senza precedenti della locale popolazione araba” e attestare che questa popolazione “indigena dalla presenza millenaria nello stesso luogo” parli ben 51 lingue diverse? Pare più probabile che sia il frutto di una massiccia e recente immigrazione.
Infatti, molti rapporti ufficiosi (e corrispondenze private) di funzionari inglesi parlano apertamente di un costante e massiccio afflusso di “immigrati illegali arabi” che attraversano le “porose” frontiere del Mandato. Soprattutto quelle con la Transgiordania e la Siria. Del caso siriano è utile riportare un esempio discusso durante la 27sima sessione del giugno 1935, da parte della Commissione permanente dei mandati a Ginevra, nella quale si parla del rapporto ufficiale del Governatore della regione di Hauran in Siria del 12 agosto 1934. In questo rapporto si stigmatizza, con allarmismo, l’emigrazione, in pochi mesi, di circa 35.000 persone verso la Palestina. E’ opportuno ricordare che nello stesso anno (1934) gli immigrati ebrei in Palestina furono 45.267 (la cifra più alta in un singolo anno assieme al 1935). Nonostante questi dati le autorità britanniche hanno sempre definito “insignificante” l’immigrazione araba contrariamente a quella ebraica – numericamente simile – ma definita dalle stesse autorità come “allarmante”.
Quindi, anche le cifre del primo censimento britannico (1931) che attestano una presenza “araba” o musulmana” di oltre 700.000 persone rispetto alle 550.000 ante Prima guerra mondiale, smentiscono il mito che l’immigrazione ebraica abbia causato l’allontanamento della popolazione araba dal territorio. Anzi, anche negli anni ’20 e ’30 è vero il contrario: l’immigrazione ebraica è stata un catalizzatore per la contestuale immigrazione araba. Anche in questi anni, infatti, gli insediamenti arabi crescono numerosi vicino a quelli ebraici e nelle grandi città come Gerusalemme, Haifa, Tel Aviv-Giaffa a popolazione mista.
Nel 1947, quando gli inglesi, decisero di rinunciare al mandato, la popolazione complessiva veniva indicata attorno a 1.940.000 abitanti, dei quali 1.310.000 arabi e 630.000 ebrei. Anche in questo caso con una crescita demografica che ha portato a raddoppiare la popolazione rispetto al 1931. E’ da notare come, ormai, da diversi anni si parlava esclusivamente di popolazione ebraica e araba senza nessuna distinzione delle sue diverse componenti (beduini, drusi, cristiani e arabi di nuova immigrazione). Infatti anche la commissione Angolo-Americana, del 1945, in un suo rapporto ufficiale dichiarò “che la crescita naturale della comunità araba nel Mandato per la Palestina è stata la cosa più incredibile nella storia sociale del Mandato”.
La dimostrazione che questi report siano privi di fondamento è dimostrato dal fatto che il tasso di natalità attribuito alla “locale popolazione araba” in quel determinato periodo storico, non ha uguali né in tutto il Medio Oriente né in Europa ma solo negli USA che era un paese a forte immigrazione.
In conclusione, si ribadisce che l’evidenza dei dati, dimostra in modo inequivocabile che nelle aree di forte presenza degli insediamenti ebraici (fascia costiera, valle di Esdraelon, Galilea, Gerusalemme) la popolazione araba (ad esclusone di beduini nomadi e cristiani) è cresciuta da 92.300 abitanti del 1893 a circa 463.000 del 1947 (la popolazione è quintuplicata). Mentre nelle aree (Giudea, Samaria e Gaza) con modesta presenza ebraica la popolazione araba è cresciuta da 233.500 abitanti del 1893 a 517.000 del 1947 (la popolazione è poco più che raddoppiata). Quindi non vi sono dubbi che la presenza ebraica abbia favorito l’immigrazione araba e non la sua emigrazione.