Federica Mogherini ed Emmanuel Macron sono i due simboli dell’Unione Europea attuale. Non possono certo essere definiti esponenti politici di vecchia data e reduci della diplomazia filo-araba anni ’80 e ’90, eppure ne ricalcano interamente il modus operandi.
Emmanuel Macron, presidente della repubblica francese, era stato accolto con curiosità ed entusiasmo dopo la vittoria alle presidenziali parigine. L’uomo nuovo, capace di trionfare senza un partito alle spalle e di porsi come argine contro la cosiddetta “avanzata populista”, è oggi probabilmente il leader europeo più influente, complice la netta difficoltà di Angela Merkel in Germania.
La mossa di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele da parte del presidente statunitense Donald Trump ha però squarciato il Velo di Maya e ci ha fatto ben comprendere l’inconsistenza di questo aspirante condottiero su cui erano riposte le speranze di francesi ed europei.
Ebbene sì, oggi sappiamo che questo “argine contro l’avanzata populista” su cui in tanti hanno investito e scommesso non è stato affatto un buon affare.
L’inconsistenza di Emmanuel Macron è, purtroppo, quella dell’intera Ue. Lo specchio dell’ipocrisia europea, come ben l’ha definita il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un’Unione Europea che riserva una standing ovation ad Abu Mazen e riceve con tutti gli onori l’ex terrorista Leila Khaled, ma non ha mai il coraggio di prendere posizione a favore di Israele, che oltre ad essere l’unica democrazia in Medio Oriente è anche l’unico paese del Medio Oriente che tutela la libertà di culto. Non è questione di lana caprina, se si parla di Gerusalemme.
Il presidente francese non ha trovato di meglio che commentare la decisione di Trump definendola “contraria al diritto internazionale” e “pericolosa per la pace”, come se davvero la certificazione dell’ovvio, ossia che Gerusalemme è la capitale di Israele, possa costituire un ostacolo per futuri accordi.
Parole simili a quelle del segretario generale dell’Onu, Antonio Gutierres, il quale ha sostenuto che la mossa degli Usa “può compromettere definitivamente gli sforzi per la pace tra israeliani e palestinesi”.
Esattamente, cosa possa peggiorare la decisione di Trump non lo spiegano né Macron né Gutierres. Gerusalemme capitale di Israele è un riconoscimento che non ha alcuna implicazione religiosa. Finché Gerusalemme sarà israeliana, potrà continuare ad essere la città considerata sacra dai tre principali culti monoteisti. Ci sarà posto per tutti: ebrei, certo, ma anche musulmani e cristiani.
In alcun modo sono stati lesi i diritti dei musulmani, ancor meno degli arabi residenti a Gerusalemme. Il riconoscimento di Trump può anzi costituire un ottimo punto di partenza per avviare vere trattative di pace tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese.
Neppure si può dire che sia tramontata la soluzione “due popoli due stati”. La stessa Arabia Saudita ha recentemente presentato al leader arabo palestinese Abu Mazen un piano di pace che prevede il riconoscimento di uno stato palestinese con capitale Abu Dis, nei pressi di Gerusalemme.
Che Gerusalemme debba essere giocoforza la capitale di Israele per il bene di tutti non appare invece chiaro ai leader europei, da Macron a Gentiloni, passando per l’Alto Commissario per gli Affari Esteri, l’italiana Federica Mogherini, che addirittura dichiara di auspicare la soluzione “Gerusalemme capitale di due stati”. Probabilmente pensa ad una Gerusalemme divisa, dimenticandosi che, nei diciannove anni in cui la cosiddetta Gerusalemme est si è trovata sotto dominio giordano, gli ebrei non avevano accesso ai loro luoghi sacri.
Le rivendicazioni arabe su Gerusalemme riguardano l’intera città vecchia, luoghi sacri ebraici compresi. Inaccettabile.
Donald Trump, peraltro, non ha neppure escluso la possibilità di ridisegnare i confini della capitale di Israele, altro aspetto da stabilire nell’ambito dei negoziati tra Israele e Anp. Meno “provocatorio” di così, il presidente Usa non poteva essere.
Da Macron a Mogherini, nessuno l’ha capito. Un brutto segnale dato dall’Unione Europea. Una dimostrazione che l’ormai anacronistica questione palestinese infiamma i vertici europei persino più di quanto stia a cuore ai paesi arabi.
Pavidità o interesse?