E’ noto che da anni l’Autorità Palestinese paghi un lauto vitalizio ai suoi “martiri”, ovvero agli autori di attentati terroristici detenuti nelle carceri israeliane o, nel caso siano stati uccisi nel corso della loro azione, alle famiglie.
Israele, che ha il compito istituzionale di raccogliere le tasse nei territori palestinesi, ha sempre diligentemente versato questi importi all’Autorità Palestinese: si tratta di importi che coprono, l’ONU calcola, il 65% del bilancio dell’Autorità Palestinese.
Netanyahu, qualche tempo fa, ha però detto basta, ritenendo immorale che, anche se indirettamente, una parte delle tasse che raccoglie per conto dell’Autorità Palestinese venga poi da questa utilizzata per premiare proprio chi uccide cittadini israeliani. Da allora Israele detrae e trattiene dal totale delle tasse raccolte un importo corrispondente a questi vitalizi. Abu Mazen però non ha gradito e ha deciso di rifiutare di ricevere da Israele gli importi residui spettanti all’Autorità Palestinese: proprio il mese scorso ha restituito ad Israele la tranche di mezzo milione di Shekel, circa 120.000 €.
Ma la storia non finisce qui, anzi i suoi sviluppi più recenti sono la rappresentazione evidente dell’ostinazione di Abu Mazen nel non voler accettare le regole del pragmatismo politico, che lo allontana sempre più dalla realtà per rinchiuderlo in un mondo immaginario e suicida.
Il vice primo ministro palestinese e ministro dell’Informazione Nabil Abu Rudaineh ha confermato che l’Unione Europea, la quale condanna il pagamento di questi vitalizi ai terroristi perché ritiene giustamente che essi costituiscano un incentivo al terrorismo, ha proposto una soluzione alternativa all’uso diretto dei proventi delle tasse: spostando gli importi a favore dei terroristi dalla voce attuale del bilancio a quella degli aiuti sociali, questi pagamenti non sarebbero più vitalizi ma verrebbero calcolati su una base parametrata ai bisogni sociali dei beneficiari, cioè dei terroristi e delle famiglie di terroristi, cessando di avere una natura perenne ed acquisendo quella di un sostegno temporaneo.
L’apposita commissione internazionale che ha avanzato questa proposta di compromesso è composta da rappresentanti degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite, anche rappresentanti di Israele e dell’Autorità Palestinese hanno partecipato alla riunione che l’ha avanzata. Il commissario europeo Johannes Hahn ha chiaramente affermato che l’Unione Europea non approva e non finanzia “il sistema in atto dei pagamenti a prigionieri e martiri” ed ha dichiarato la disponibilità dell’Unione Europea a sviluppare uno schema basato su criteri di esclusiva natura sociale che sostituisca quello attuale.
L’Unione Europea ha chiesto ad Israele di proseguire nel versamento integrale delle tasse ed all’Autorità Palestinese di non respingerle, ma l’Autorità Palestinese ha rifiutato qualsiasi forma di compromesso che modifichi la situazione attuale. Il passo successivo di Abu Mazen è stato di chiedere alla Russia di intervenire, allo scopo di evitare il collasso totale delle finanze dell’Autorità Palestinese.
Da anni il ritornello di Abu Mazen è un “no” a qualsiasi proposta. Questo comportamento va analizzato e, piuttosto che considerarlo semplicemente l’ottusa cocciutaggine di un vecchio, inquadrato nella complessa situazione in cui si trova ad agire il presidente palestinese.
Come già Arafat prima di lui, Abu Mazen identifica la propria permanenza al potere con l’interesse del suo popolo, con la conseguenza che egli ignora qualunque prospettiva che non coincida con la sua visione del “tutto o nulla”. A ciò si aggiunge, ovviamente, la pressione che la presenza di Hamas esercita nel tentativo di sostituirsi a Fatah nella gestione dell’Autorità Palestinese, in una guerra fratricida che ha avuto il solo risultato di condannare la questione palestinese ai margini dello scenario futuro della regione.
Gli arabi per primi non ne possono più di questa situazione di stallo ed hanno intrapreso un avvicinamento ad Israele che, dopo essere rimasto sottotraccia per anni, ora emerge esplicitamente. Nei giorni scorsi i media hanno scritto di una offerta di 10 miliardi di dollari fatta dall’Arabia Saudita ad Abu Mazen a condizione che egli accetti il piano di pace di Trump: il sapore di fake news che questa notizia emana è dovuto al fatto che il piano di pace di Trump è ancora segreto, ma la credibilità che ha ottenuto la notizia stessa è indice di un inesorabile logoramento dell’immagine dell’Autorità Palestinese.
Gli unici che ancora la sostengono sono i sicari del progetto BDS che prosperano in occidente e qualche estremista che si ritaglia un po’ di notorietà sposando posizioni contro Israele, come la deputata americana che ha chiesto agli Stati Uniti di non finanziare più Israele perché “tortura sistematicamente i bambini palestinesi”.