In un celebre romanzo di Philip Roth, Lo scrittore fantasma, il protagonista è Nathan Zuckerman, promettente scrittore ospite nella casa del suo idolo letterario, tale E.I. Lonoff. Nell’abitazione è presente anche una giovane donna dal passato misterioso, Amy Bellett. Zuckerman sospetta che la ragazza sia Anna Frank. In un altro romanzo, intitolato Prove per un incendio, lo scrittore Shalom Auslander racconta, in una cornice inquietante, l’incontro tra l’irresoluto Solomon Kugel e un’anziana donna sopravvissuta allo sterminio, che afferma di essere Anna Frank.
Si tratta di due libri, scritti da autori americani di origine ebraica, che hanno al centro della trama la tredicenne ebrea. Entrambi collocano Anna Frank in contesti e ruoli improbabili o difficili da associare all’autrice del Diario. Nel libro di Roth è una giovane sensuale, mentre in quello di Auslander, al contrario, è un’anziana che da quarant’anni vive in una soffitta.
Se Anna Frank fosse davvero sopravvissuta alla Shoah e, invece di riparare negli Stati Uniti, come immaginato da Roth e Auslander, si fosse trasferita in Israele, oggi sarebbe un’anziana donna con un anno in più di Liliana Segre. Ma non solo, sarebbe anche considerata una «nazista» e una «colonialista» dai principali mass media del mondo. Qualcosa, in noi, stride all’idea che Anna Frank possa essere tacciata di «nazismo», eppure è quello che è successo, e continua ad accadere, a centinaia e centinaia di sopravvissuti alla Shoah che hanno trovano dimora nello Stato ebraico. Tutte le volte che Israele viene definito «stato nazista» o «fascista», di fatto, si accusano dei sopravvissuti al genocidio, uomini e donne con storie non dissimili da quelle di Anna Frank, di essere uguali ai loro carnefici.
Se non fosse morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, la piccola ebrea non sarebbe una vittima sulla cui vicenda versare lacrime, molte delle quali ipocrite perché provenienti da antisionisti radicali, bensì una compare di Eichmann.
Esiste qualcosa di più turpe della «nazificazione» degli ebrei, compresa quella di numerosi sopravvissuti alla Shoah, e del loro Stato? No, eppure tanti antisemiti, malamente mascherati da anti-israeliani, continuato a sviluppare il parallelo «nazismo = sionismo», magari tirando in ballo anche la povera Anna Frank che, da anni, viene associata ai palestinesi.
Spesso, gli attivisti pro-Palestina, ossia, diciamolo chiaramente, pro-terrorismo, accusano Israele di sfruttare l’Olocausto per giustificare i suoi presunti «crimini» ma, in realtà, sono gli antisionisti a saccheggiare la storia della distruzione degli ebrei europei.
La nuova ideologia antiebraica che si è formata e diffusa a partire dalla fine della Guerra dei sei giorni, nel giugno del 1967, si presenta come una forma di antirazzismo, che accusa gli «ebrei-sionisti» di essere «suprematisti» e «razzisti», proprio come i nazisti o peggio. Inoltre, lo Stato d’Israele viene incolpato di condurre uno sterminio sistematico della popolazione palestinese. Questa allucinata narrativa, che non ha alcuna consistenza oltre a quella lessicale, permette a molti di definire Gaza come «nuova Auschwitz».
Gli ebrei, non solo i sionisti, vengono deformati dalla propaganda e trasformati in nazisti assetati di sangue. I sostenitori della Palestina sottraggono la Shoah al popolo ebraico, se ne appropriano per fare leva sul senso di colpa occidentale e bucare lo schermo.
L’intellettuale palestinese-americano Edward Said, antisionista al cubo, riassunse questa visione, basata sull’inversione tra vittime e carnefici, con la seguente frase: «I palestinesi sono le vittime delle vittime». In modo implicito si afferma che gli ebrei sono peggiori dei nazisti poiché, da antichi oppressi, sarebbero diventati oppressori, dimenticando il loro tragico passato.
Israele, dunque, diventa indegno di custodire la memoria della Shoah che deve, necessariamente, passare in mano palestinese. L’ebreo, diventato israeliano, non può avanzare diritti sulla sua storia. Nelle grinfie palestinesi, la Shoah non viene valorizzata, bensì banalizzata e giustificata. Il ragionamento di fondo è il seguente: «Hitler ha tentato di sterminare i nostri attuali oppressori, dunque non ha fatto nulla di così sbagliato».
La nazificazione di Israele si traduce in una legittimazione a posteriori dell’operato nazista. Se gli «ebrei-sionisti» sono «peggiori dei nazisti», allora i veri nazisti si trasformano in carnefici preveggenti, capaci d’intuire il «male» che sarà inflitto ai palestinesi.
Le suddette contorsioni mentali, che possono essere verificate leggendo una qualsiasi delle tante, troppe, pagine antisioniste presenti sui social media, rappresentano una nuova forma di demonizzazione del popolo ebraico. Bisogna, pertanto, sottrarre la Shoah a ogni indebita appropriazione, a cominciare da quella operata dagli arabi-palestinesi e dai loro fiancheggiatori.