La lunga, protratta stagione (cinquanta anni) di diffamazione sistematica ONU di Israele si potrebbe festeggiare quest’anno, insieme alle celebrazioni per l’indipendenza di Gerusalemme che avranno luogo il 23 maggio. Sarebbe un’ottima occasione per fare coincidere la vittoria di Israele nella Guerra dei Sei Giorni con la coeva trasformazione del Palazzo di Vetro in una fabbrica di risoluzioni e iniziative tese alla demonizzazione dello Stato ebraico. La data emblematica è infatti il 1967. Non essendo riusciti a eliminare Israele sul campo, gli stati arabi, in combutta con l’Unione Sovietica, iniziarono la loro scientifica opera di delegittimazione internazionale attraverso il Palazzo di Vetro, di cui uno dei vertici fu la Risoluzione 3379 del 10 novembre 1975 che equiparava il sionismo al razzismo.
In linea con quello spirito, il 16 marzo, l’ESCWA, il Consiglio Socio Economico dell’Asia Occidentale rappresentato all’ONU, con sede a Beirut e composto da 18 stati arabi, ha presentato, per mano della sua rappresentante Rama Khalaf, un rapporto in cui Israele viene accusata di “apartheid”.
“Apartheid” è, insieme a “razzismo”,“imperialismo” e “colonialismo” una delle parole totem dei demonizzatori di Israele, ereditata dalla propaganda arabo-sovietica degli anni ‘70 e appartiene a quelle che Pierre André Taguieff considera essere i tre capisaldi mitici della criminalizzazione dello Stato ebraico:
“La demonizzazione dello stato ebraico, trattato come l’incarnazione del male, implica una messa in stato di accusa permanente della politica israeliana fondata su tre basi mitiche di riduzione: il razzismo/il nazismo/ l’apartheid, sulla sua criminalizzazione centrata sull’uccisione di bambini palestinesi (o musulmani) e sul complotto giudaico mondiale (detto ‘sionista’( la cui ‘testa’ si troverebbe in Israele”.
Tuttavia qualcosa è andato storto. Il Segretario Generale, Antonio Guterres, ha chiesto alla Khalaf di ritirare il rapporto, il primo nella storia dell’ONU che accusa Israele di “apartheid”. Come conseguenza di questa richiesta la Khalaf si è dimessa.
Cosa è accaduto? Improvvisa e tardiva resipiscenza? Adesione al principio di realtà? No, nulla di tutto questo. Si tratta di un risoluto cambio di marcia da parte dell’Amministrazione USA, il principale stakeholder del carrozzone. Al posto di Samantha Powers, la quale, il 23 dicembre del 2016, spiegava la bontà della sconcertante Risoluzione 2334, c’è adesso Nikki Haley. La nuova ambasciatrice americana che Donald Trump ha voluto all’ONU, ha fatto capire senza mezzi termini che con l’amministrazione in carica l’ONU non avrà vita facile nel farsi camera di risonanza per la propaganda anti-israeliana.
A febbraio, a seguito della sua prima riunione al Consiglio di Sicurezza, la Haley fece un discorso in cui evidenziò il proprio sbalordimento:
“Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU dovrebbe discutere su come mantenere la pace internazionale e la sicurezza, ma nel nostro meeting sul Medioriente la discussione non è stata sull’incremento di missili di Hezbollah in Libano, non è stata sul quantitativo di denaro e armi che l’Iran fornisce ai terroristi, non è stato sul modo in cui è possibile sconfiggere l’Isis, non è stato su come portare in giudizio Bashar Al Assad per il massacro di centinaia di civili. No. Il fulcro dell’incontro è stato concentrarsi su Israele, l’unica vera democrazia in Medioriente”.
E’ di qualche giorno fa la lettera inviata da Rex Tillerson, alle organizzazioni a favore della presenza americana al Consiglio per i Diritti Umani ONU, il quale ospita tra i suoi membri veri campioni di questi ultimi, come Cina, Cuba, Arabia Saudita. Il Segretario di Stato americano ha fatto presente che sarà necessaria “una considerevole riforma” dell’organismo perché possano continuare a sussistere le condizioni necessarie per una permanenza americana. A questo proposito, Erin Barcley, Assistente Segretario di Stato per l’Organizzazione degli Affari Internazionali, in un suo intervento del primo marzo al Comitato per i Diritti Umani, ha dichiarato:
“Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati dalla focalizzazione ingiusta e sbilanciata del Consiglio nei confronti di un paese democratico, Israele. Nessun altra nazione è al centro di una intera serie di ordini del giorno. Come può essere questa una priorità ragionevole? L’ossessione nei confronti di Israele rappresenta la maggiore minaccia per la credibilità di questo comitato…Gli Stati Uniti eserciteranno ogni sforzo atto a contrastare la delegittimazione e l’isolamento di Israele”.
A sua volta, a seguito del rapporto presentato dall’ESCWA, Nikki Haley è intervenuta con un comunicato assai esplicito:
“Gli Stati uniti sono oltraggiati dal rapporto. La Segreteria delle Nazioni Unite ha fatto bene nel prendere le distanze dal rapporto, ma deve procedere oltre e ritirarlo del tutto…Che la propaganda contro Israele provenga da un organismo i cui membri non riconoscono Israele non desta sorpresa”.
Incardinati, questi interventi compongono una risoluta e ferma opposizione alla costante azione propagandistica contro Israele esercitata dall’ONU attraverso comitati e associazioni filopalestinesi inserite al proprio interno e appoggiate dagli stati arabi. La ripugnante sfrontatezza del rapporto dell’ESCWA promosso da un comitato anti-israeliano di cui è rappresentante una fiancheggiatrice del movimento BDS come la Khalaf, dimostra in modo lampante come sia sempre più necessario intervenire in modo determinato.