Editoriali

La bancarotta morale dell’ONU

Come da copione l’assemblea plenaria dell’Onu ha approvato ieri una risoluzione che condanna Israele per “uso eccessivo, sproporzionato e indiscriminato della forza”, in merito ai fatti avvenuti al confine tra Israele e Gaza dal 30 di marzo scorso a oggi. Hanno votato compatti contro Israele 120 paesi. Solo 8 hanno rigettato il documento. Si è trattato degli Stati Uniti, di Israele, dell’Australia, delle isole Marshall, della Micronesia, del Nauru, del Togo e delle isole Solomon.

Non deve suscitare sarcasmo eccessivo il fatto che a presentare la risoluzione siano stati due paesi islamici, di cui uno, campione di diritti umani, la Turchia, e l’altro l’Algeria. Dopotutto è ordinaria amministrazione all’Onu dal 1967 che Israele sia preso di mira da dittature, satrapie, regimi genocidi, soprattutto arabi e allora alleati con l’ex Unione Sovietica. E’, appunto, una vecchia e consolidata storia. La bancarotta morale dell’Onu è così platealmente grottesca da evocare immediatamente Aristofane o Jonathan Swift come i più adatti per poterne raccontare i fasti.

Di tutte le guerre dell’ONU quella che esercitata contro Israele è stata sotto molti aspetti la più persistente, insidiosa e nociva…incarnando un vergognoso doppiopesismo il quale ha manifestato uno sfrenato odio che non lascia alcun posto per un giudizio equilibrato o per la ricerca di una soluzione equa” affermava nel 1986 Alan Keyes assistente del Segretario di Stato americano per le organizzazioni internazionali. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, ma per quanto riguarda Israele, si tratta sempre della stessa morta gora.

E così, anche questa volta abbiamo assistito al medesimo spettacolo, con l’aggravante che l’emendamento alla Risoluzione proposto dagli Stati Uniti, in cui Hamas veniva chiamato in causa, non è passato a causa di espedienti procedurali.

L’ONU ha così stabilito che Israele non ha il diritto di difendersi dai terroristi camuffati da manifestanti, i quali, il 30 di marzo, e in modo particolare il 14 di maggio, data in cui la risposta di Israele è stata la più massiccia, con 62 morti palestinesi, di cui 52 rivendicati da Hamas come propri membri, hanno tentato di introdursi nel suo territorio. La loro morte sarebbe dovuta a un uso “eccessivo e indiscriminato della forza”, come recita la risoluzione in spregio a ogni logica. Se su 40,000 manifestanti Israele ne uccide 62, di cui la maggior parte sono dichiarati da Hamas stesso come appartenenti all’organizzazione, ciò non può che evidenziare l’estrema precisione della risposta israeliana.  Ma per la risoluzione confezionata dalla Turchia la quale può massacrare impunemente i civili curdi ad Afrin senza che l’Onu batta ciglio e dalla liberale Algeria e fatta propria dal plenum dell’assemblea generale, si tratterebbe invece di uso “indiscriminato” della forza.

All’Onu, la logica e la verità, quando in ballo è Israele, si inabissano come il Titanic. “La sessione di oggi riguarda il nostro diritto di difendere il nostro popolo” ha dichiarato Danny Danon, l’ambasciatore israeliano all’ONU, “La risoluzione che avete davanti a voi non protegge i palestinesi innocenti, non protegge gli israeliani innocenti, non condanna e non menziona neppure Hamas, l’organizzazione terroristica internazionalmente riconosciuta e direttamente responsabile della violenza nella nostra regione”.

Certo, è così. L’automatismo di condanna contro Israele che gli sottrae il diritto alla difesa che nessuno degli stati che hanno votato la risoluzione, compresi quelli che si sono astenuti, negherebbe mai a se stesso, è nuovamente, se ce ne fosse ancora bisogno, l’enunciazione della completa mancanza di credibilità politica e di autorevolezza morale di una istituzione la cui logica intrinseca è, da cinquanta anni, di accanirsi senza sosta contro lo Stato ebraico.

L’Onu è questa baracca monumentale, inutile, palcoscenico di lestofanti genocidi che danno lezione di morale, di terroristi che vengono invitati ad arringare folle plaudenti, come Arafat nel lontano 1974 quando si presentò con la pistola, travestito da guerrigliero, e l’allora segretario Onu, Kurt Waldheim si prese la briga di custodirgli lui l’arma. La guerra di Yom Kippur c’era appena stata, e Israele era riuscito a farcela anche quella volta. Una serie di vittorie imperdonabili. Non si perdona ai vincitori, soprattutto quando si ha la possibilità di riscrivere la storia, di confezionare un interminabile romanzo criminale su di loro accusandoli di ogni nefandezza. E ora di nuovo si condanna  Israele per non avere ammesso al proprio interno la stessa feccia che ha massacrato la folla al Bataclan, che ha sparato sui vignettisti di Charlie Hebdo, che ha ammazzato adolescenti inglesi a un concerto a Manchester e così via. “Uso eccessivo, sproporzionato e smisurato della forza”. Gente per cui, la vita di un ebreo, specialmente se israeliano, vale meno di quella di un cane, (e bisognerebbe sapere quale considerazione hanno i musulmani per i cani). E 120 paesi votano a favore e 45 si astengono. Non c’è bisogno di un emetico.

 

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