Cercheremo qui di fornire al lettore alcuni elementi per capire se per il diritto internazionale una occupazione territoriale è sempre illegale, o se può essere perfettamente legale. Infine cercheremo di spiegare come il concetto stesso di “occupazione” è cambiato nel corso degli ultimi decenni con la creazione dell’ONU.
Prima di addentrarci compiutamente nell’argomento è utile per i lettori conoscere alcuni dati relativi all’utilizzo dei termini “occupazione” o “territori occupati” utilizzati dall’ONU a partire dal 1946 tramite i propri organi, a partire dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale fino alle meno importanti agenzie onusiane. Una interessante indagine in questo senso è stata compiuta, alcuni anni fa, dal giurista americano Eugene Kontorovich e dal suo staff. I dati emersi dal loro lavoro sono sconcertanti. Kontorovich ha scoperto che l’ONU ha utilizzato i termini di “occupazione” o “territori occupati” circa 2.600 volte in relazione a tutti i casi mondiali di “occupazione” e in tutti i casi – tranne 16 volte – i termini sono stati utilizzati in riferimento al solo Israele. Se a questi dati aggiungiamo il fatto che Israele è accusato di “occupare” dei territori a partire dal 1967 e i dati ONU partono dal 1946 si può ben comprendere come Israele, uno dei più piccoli Stati del mondo, sia visto di fatto come l’”unico” Stato occupante al mondo dalla Seconda guerra mondiale ad oggi.
Evidentemente, per l’ONU, non c’è mai stata l’occupazione di parte di Cipro, dell’Afghanistan, di parte dell’Ucraina, della Cambogia, di Timor Est, del Tibet, del Vietnam, del Nagorno Karabakh e di altre decine di territori sparsi per il mondo per breve o lungo periodo. Una conseguenza diretta di questa “politica” (da non confondere con il diritto internazionale) da parte del più importante organo internazionale è la sua ricezione acritica dalla quasi totalità dei media. Per queste ragioni l’opinione pubblica mondiale è portata a credere con convinzione che Israele sia uno Stato “occupante” (anzi l’unico), o “colonialista” o perfino “imperialista”. Se è certificato dall’ONU rimangono pochi spazi per i dubbi.
Qui non entreremo in merito alla falsa accusa di “occupazione” attribuita a Israele, questione della quale L’Informale si è occupato in numerosi articoli, ma vedremo semplicemente come si è evoluto il concetto di “occupazione” e di “annessione” nel diritto internazionale a partire dalla Seconda guerra mondiale.
Per prima cosa è importante conoscere la fonte del concetto di occupazione nel diritto internazionale. La definizione di occupazione, si trova nell’Art. 42 della Convenzione dell’Aia del 1907, che recita:
«Un territorio è da considerarsi occupato quando si trova sotto l’autorità di un esercito ostile. L’occupazione si applica solo al territorio, dove questa autorità è stabilita e può essere esercitata.»
In pratica, la Convenzione dell’Aia, stabilisce che c’è occupazione quando esiste un “effettivo” controllo di un esercito su un determinato territorio e sulla relativa popolazione che vi abita. Di questo principio esistono due principali interpretazioni: una, più restrittiva, della Corte Internazionale di Giustizia (sentenza del 2005 sul caso Congo Vs Uganda) e una più ampia del Tribunale di Norimberga. Entrambe sottolineano il requisito della presenza delle forze armate sul territorio.
Sono, quindi, tre le condizioni necessarie affinché si possa parlare di occupazione:
Un esercito “fisicamente” dislocato nel territorio.
L’esercito deve avere un effettivo potere di governo sulla popolazione.
Il legittimo governo non è in grado di esercitare il potere amministrativo nel territorio e sulla popolazione.
Quindi il primo, e il più importante principio del diritto internazionale relativo all’occupazione, è riferito all’occupazione da parte di uno Stato di un territorio sovrano di un altro Stato. In pratica il prerequisito fondamentale affinché si possa parlare di occupazione territoriale è che l’occupante e l’occupato (parzialmente o totalmente) siano due Stati riconosciuti. Come vedremo non vi possono essere altri casi.
Nel 1947 l’ONU, tramite l’Assemblea Generale, decise di creare la “International Law Commission” per sviluppare e codificare il diritto internazionale. Tra i compiti assegnati alla Commissione, ci fu quello di dare una interpretazione ai principi contenuti nello Statuto dell’ONU che fosse condivisa e vincolante per tutti gli Stati che entravano a far parte di questa organizzazione mondiale.
Uno degli argomenti più dibattuti e discussi fu la legalità dell’acquisizione territoriale da parte di uno Stato belligerante. Tra i risultati più importanti raggiunti dalla Commissione ci fu quello di redigere due codici di diritto internazionale: 1) il “A draft declaration on the rights and duties of states” del 1949 e 2) il “A draft code of offences against the peace and securiry of Mankind” del 1954. Il secondo testo in particolare è la codificazione dei principi contenuti nei processi di Norimberga e fatti propri dall’ONU con la risoluzione 177 dell’Assemblea Generale.
Durante la stesura di questi due codici si svolse, tra i giuristi incaricati di redigerli, un ampio e approfondito dibattito in merito alla legalità dell’acquisizione territoriale – conquista e annessione – tramite la guerra. Tra i principali punti emersi durante la stesura dei codici, ci fu quello relativo all’articolo 2 dello Statuto dell’ONU che proibisce la guerra come strumento di conquista. In passato questa pratica era generalmente accettata secondo il principio generale dell’uti possidetis de facto. Ora la Commissione stabiliva che per il diritto internazionale non tutte le acquisizioni territoriali ottenute con la forza erano legali, ma, altresì, stabiliva che le acquisizioni territoriali avvenute tramite una guerra difensiva, erano perfettamente legali. Erano illegali sono quelle ottenute con una guerra d’aggressione. Da questo momento in avanti, per il diritto internazionale, si creava la netta distinzione tra occupazione illegale e occupazione legale, quest’ultima poteva fornire ad uno Stato il diritto ad annettersi un territorio di un altro Stato.
Questo importante principio fu originato dalla situazione territoriale emersa dalla Seconda guerra mondiale, soprattutto in Europa, dopo la sconfitta della Germania e dei suoi alleati. Tra i tanti esempi di territori occupati e annessi dopo il secondo conflitto mondiale, si possono ricordare le annessioni da parte dell’URSS, della Polonia, della Cecoslovacchia ma anche da parte di Francia, Jugoslavia, Olanda, Belgio e Danimarca. Tutte queste acquisizioni territoriali furono ottenute secondo il principio della guerra difensiva e del principio secondo il quale uno Stato aggredito e vittorioso doveva “essere in qualche modo ricompensato” soprattutto in termini di maggiore sicurezza rispetto alla situazione antebellum. E’ da rimarcare che in nessun caso gli aggiustamenti di frontiera e le annessioni furono fatti consultando la locale popolazione per sapere il loro parere in merito. Anzi il più delle volte furono portate avanti, soprattutto nell’Europa dell’Est, vere e proprie campagne di pulizia etnica per rendere questi territori il più etnicamente omogenei (solo i tedeschi che lasciarono le proprie case e i propri beni nei nuovi Stati furono oltre 14 milioni). Tutto ciò fu considerato lecito dalla comunità internazionale. Quindi per tutti i giuristi dell’epoca era comune pensare che i cambiamenti “forzati” di territorio con uso della forza fossero leciti mentre erano illegali sono quelli palesemente ottenuti con atti di deliberata aggressione.
Questo modo di interpretare l’annessione legale o illegale in base ad atto difensivo o di aggressione è cambiato nel corso del tempo, soprattutto a partire dagli anni ’70. Infatti, è dai primi anni ’70 che la maggior parte dei giuristi ha preferito assumere una posizione molto più rigida in materia perché si temeva che alcuni Stati potessero usare il pretesto di una possibile minaccia di aggressione per nascondere delle velleità di conquista.
Un altro principio molto importante scaturito da questi codici di diritto internazionale fu che solo la conquista del territorio appartenente ad uno Stato da parte di un altro Stato era proibita se avvenuta con atto di aggressione, mentre nel caso di territori che non erano di sovranità di altri Stati (terra nullis), territori disputati o sotto mandato, quest’ultimo non rientrassero nel principio di proibizione. Nella stesura definitiva del codice del 1954, A draft code of offences against the peace and securirty of Mankind, si adottava, in modo unanime, la seguente dichiarazione: “E’ bandita l’annessione operata dalle autorità di uno Stato del territorio appartenente ad un altro Stato tramite atti contrari al diritto internazionale”. L’unico riferimento preso in considerazione dai giuristi fu quello relativo al territorio legalmente appartenente ad un altro Stato e non gli altri casi.
E’ da sottolineare che il codice non fu mai ratificato dagli Stati per diventare un trattato vero e proprio e quindi diritto internazionale a tutti gli effetti, ma, in ogni caso, rivela il cambiamento in corso nell’opinione dei giuristi in merito a questa pratica. Nel tempo è diventata una consuetudine ma ha lasciato aperta la porta a molte interpretazioni sui singoli casi di annessione. Si può sottolineare ad esempio che quando la Risoluzione 242 fu promulgata nel ’67 l’opinione della maggioranza dei giuristi più autorevoli vedeva l’acquisizione territoriale tramite l’uso della forza, in caso di guerra difensiva, come pienamente plausibile, soprattutto nel caso di territori “contesi”. Questo pensiero giuridico era presente anche nella “Speciale Commissione ONU” incaricata dall’Assemblea Generale nel 1963 di redigere i principi di diritto internazionale sfociati poi nella Risoluzione 2625 del 1970 intitolata “Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati”. Questa risoluzione è il primo documento nel quale si fa esplicita menzione di divieto – in tutti i casi – dell’uso della forza per acquisire un territorio. E’ importante notare che dal 1963 al 1970 in seno alla Commissione vi fu un grande dibattito tra i vari rappresentanti e molti di essi erano favorevoli all’uso della forza in talune circostanze e rimanevano ancorati alla possibilità di acquisire dei territori con una guerra difensiva, per questo motivo non fu raggiunto nessun accordo fino al 1970 e poco prima della promulgazione della risoluzione. Nelle discussioni all’interno della Commissione, che durarono quasi un decennio, molto peso ebbe la pratica utilizzata dagli Stati alla fine della Seconda guerra mondiale di annessione di territori degli Stati sconfitti.
In merito a quanto descritto appare del tutto evidente che concetti come “occupazione” o “annessione” nel diritto internazionale non sono sempre stati i medesimi ma sono mutati in modo sostanziale nel corso degli ultimi decenni. Il fatto che ancora oggi non esista un trattato internazionale che disciplini la materia in modo chiaro e privo di ambiguità, ma sia tutto lasciato a dei principi generali e alla pratica degli Stati come diritto consuetudinario è una chiara manifestazione di visioni differenti tra gli Stati in materia.