Shorsh Surme è un giornalista curdo che si divide tra Italia e Kurdistan iracheno. E’ direttore del portale www.panoramakurdo.it, il primo portale curdo in lingua italiana. Nessuno meglio di lui può rappresentare la voce curda in Italia. Proprio per questo, gli abbiamo chiesto di fornirci il suo punto di vista sulla situazione a Kobane e in Medio Oriente. E, soprattutto, sull’incomprensibile atteggiamento occidentale
Shorsh Surme, la resistenza curda desta molta simpatia nell’opinione pubblica occidentale. Sui social network vengono condivisi link e immagini, soprattutto delle donne combattenti. Forse i curdi preferirebbero un maggiore interventismo da parte dell’occidente, piuttosto che la semplice simpatia degli occidentali…
Domanda interessante. C’è in effetti una simpatia molto ampia, ed è la prima volta perché i curdi non sono molto conosciuti, ogni tanto vengono sbattuti sulle prime pagine dei giornali o per massacri o per genocidi vari subiti. E’ chiaro che la simpatia dell’opinione pubblica fa piacere, ma per noi sarebbe importante un intervento concreto.
In questo momento i curdi a Kobane stanno combattendo da soli contro gli assassini dell’Isis e questo dovrebbe essere visto in maniera positiva dall’intera comunità internazionale.
E’ importante che l’occidente decida di intervenire, non solo per i curdi ma per tutta la comunità. In questo momento la popolazione curda è ad un passo da un altro genocidio già annunciato da molto tempo.
Purtroppo finora l’intervento dell’occidente non si vede, nonostante le basi della Nato in Turchia siano a due passi. Ed è allarmante che non intervengano attraverso gli strumenti che hanno, perché va ricordato che le basi Nato non sono territorio della Turchia, che sappiamo i problemi che ha con i curdi, ma sono territorio della Nato.
Come si spiega questa indecisione dell’occidente. Dipende solo dal fatto che la Turchia fa parte della Nato?
No, c’è altro. La Turchia è solo uno dei problemi e neppure il maggiore.
Ai tempi della rivolta popolare in Siria, ad esempio, non c’è stato alcun intervento per proteggere la popolazione civile siriana. Ormai sono passati tre anni e mezzo e la situazione è peggiorata. Sul nascere delle cosiddette primavere arabe anche i curdi in Siria hanno partecipato alle rivolte contro il regime di Assad per instaurare la democrazia, ma dall’occidente non c’è stato un supporto tempestivo. E questo perché, nonostante si pensi che la guerra fredda sia finita, ci sono ancora tensioni tra Usa e Russia. E ci sono delicati equilibri geopolitici da mantenere con Russia e Cina, che si mettono di traverso nelle decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Non c’è solo la Turchia, quindi, ma ci sono anche gli interessi economici e geopolitici che rappresentano la causa principale di questo stallo. E a causa di ciò la situazione siriana è ormai marcita, dando la possibilità a organizzazioni terroristiche come l’Isis di nascere ed espandersi. Se si fosse intervenuti prima, cercando di instaurare la democrazia in Siria, questo non sarebbe successo. Se, come si chiedeva, fosse stata instaurata la “no fly zone” in Siria, il regime di Assad non avrebbe potuto massacrare civili e soprattutto la Siria non sarebbe diventatata ciò che è adesso. Ormai è impossibile instaurare una democrazia in Siria, chiunque sostituisca Assad potrebbe essere peggiore di lui, perché con l’Isis è impossibile dialogare. Nessuno dialoga con l’Isis, non c’è dialogo con chi taglia teste in nome dell’odio.
I curdi sono stati storicamente perseguitati dai governi turchi, iracheni, iraniani e siriani. Com’è la situazione oggi?
Purtroppo continuiamo ad essere coinvolti in conflitti in cui non c’entriamo per nulla. Noi curdi non c’entriamo in questo momento né con l’Isis né coi fanatici, siamo rimasti coinvolti in una guerra tra sciiti e sunniti che non è nostra. Molto dipende anche dalla sciagurata politica di Al-Maliki, che da primo ministro dell’Iraq ha pensato bene di mettere in un angolo i sunniti, fomentando quel malessere che ha dato la possibilità ai fondamentalisti, come l’Isis, di diffondersi molto più rapidamente tra la popolazione.
I curdi invece non fanno altro che combattere, sempre, solo per preservare la propria esistenza.
All’indomani della Prima Guerra Mondiale il Kurdistan è stato arbitrariamente suddiviso tra Iraq, Iran, Turchia e Siria. Nonostante questo, i curdi non hanno mai chiesto uno Stato indipendente, ma semplicemente di avere una entità autonoma all’interno di questi Stati. Non è mai stata concessa.
Iran, Iraq, Turchia e Siria hanno molte divergenze e molti contrasti tra loro, anzi diciamo pure che non vanno d’accordo. Su una sola cosa convergono: nel voler reprimere la popolazione curda, nonostante i curdi non abbiano fatto altro che lottare per la democratizzazione di questi Paesi. E’ proprio questo ad essere visto negativamente dai diversi regimi di tali Paesi.
Khomeini diceva che uccidere un curdo non era peccaminoso, poiché li considerava infedeli. Invece la convivenza in Kurdistan è sempre stata pacifica tra molte religioni: musulmani, cristiani, ebrei e yazidi.
Pensa che in futuro potrà esistere uno Stato indipendente del Kurdistan?
Questo è semplicemente il sogno di ogni curdo: uno Stato che sia espressione di un popolo, una lingua, una cultura, una terra, che già esistono. Ci sono tutti i requisiti affinché il Kurdistan sia uno Stato indipendente. Ma siamo consapevoli che rivedere i confini artificiali creati dopo la Prima Guerra Mondiale non sia così facile.
Torniamo a Kobane. Le ultime notizie non sono buone: l’Isis è vicinissima alla conquista della città. Crede che cadrà in mano agli islamisti?
Purtroppo attualmente il 25% di Kobane è in mano all’Isis. Tutto è complicato dal fatto che una parte dei curdi non è addestrata né soprattutto equipaggiata come l’Isis, che invece è in possesso anche delle armi americane e occidentali rubate all’esercito regolare iracheno, soprattutto dopo la presa di Mossul. E’ chiaro che un’organizzazione terroristica come l’Isis non potrebbe avere i carri armati super sofisticati che in effetti ha. Ma non sono solo le armi rubate il problema: l’Isis riceve armamenti da Qatar, Arabia Saudita e, checché se ne dica, dalla Turchia. In chiave anti-curda.
Il terrorismo islamico, logicamente, è una minaccia non solo per i curdi ma anche per l’occidente. Si aspetta un aiuto da parte di Usa e Ue nel medio-breve periodo?
L’Isis è una minaccia per l’intera umanità, non è questione di curdi o di occidente. Tutta la Comunità Internazionale deve trovare una coesione contro il terrorismo.
In Europa arrivano le notizie di statunitensi e inglesi decapitati. Ma oggi, ad esempio, l’Isis ha decapitato un giornalista iracheno. Tutta l’umanità è in pericolo, non possiamo accettare che nel Terzo Millennio, nell’anno 2014, vengano perpetrate violenze di questo tipo. L’Isis è disumano, non saprei neppure come definirlo.
Ma penso anche che l’Ue, in questa situazione, non dovrebbe dipendere dagli Usa e dovrebbe agire autonomamente.
Capisco che Obama sia in una posizione delicata e non vorrei essere al suo posto. E’ stato premio Nobel per la Pace ma gli Usa sono una super-potenza e sono stati a loro volta vittime del terrorismo di Al Qaeda. Nonostante i curdi non chiedano l’intervento di truppe di terra, siamo tutti convinti che ci vorranno.
Le truppe della Turchia sono ferme al confine, ma sappiamo tutti cosa sono i curdi per la Turchia.
Noi abbiamo un proverbio: “Con il vento e con la pioggia diminuisce l’età della neve”. Ecco, per la Turchia l’unica cosa che conta è che non esistano più i curdi, ossia la neve. E per questo sono disposti ad accettare anche vento e pioggia.
L’occidente, e l’Ue soprattutto, non dovrebbero più affidarsi alla Turchia. Se cade Kobane, l’Isis è alle porte dell’Europa.
Abbiamo parlato dei regimi che perseguitano i curdi. Ma come sono i rapporti tra i curdi e Israele, unica democrazia del Medio Oriente?
Si è parlato spesso di un’alleanza tra curdi e Israele. In realtà non è esattamente così, un’alleanza in senso stretto non c’è.
C’è una forte comunità di curdi in Israele, a partire dal 1948. E logicamente i curdi di Israele hanno ancora un grande sentimento di appartenenza nei confronti della loro terra d’origine. Per cui c’è questa solidarietà, ma non c’è un’alleanza militare.
Sul piano pratico-logistico Israele ha già le sue gatte da pelare che tutti ben conosciamo. Molti media turchi hanno accusato, a fini propagandistici, i curdi di essere alleati con Israele, per alimentare la rabbia degli islamisti. In realtà noi curdi semplicemente non abbiamo nulla contro Israele, se non la solidarietà che esprimiamo al popolo palestinese che soffre da anni, proprio come noi.
Ma i palestinesi sono stati ingannati dai loro sedicenti fratelli arabi, che a parole solidarizzano, nei fatti costruiscono nei loro Paesi alberghi di 30-40 piani sul mare mentre i palestinesi vivono ancora in capanne.
Diciamo che i curdi hanno sempre simpatizzato per la questione palestinese, proprio per questo si augurano che si trovi una soluzione pacifica. I palestinesi dovrebbero però dialogare direttamente con Israele, senza intermediari. Una strada che sembra già avviata in Cisgiordania, nella “West Bank”. Ci sono i presupposti affinché due Stati possano convivere pacificamente.
La comunità curda in Italia come segue le notizie che arrivano da Kobane?
Logicamente con apprensione. Siamo tutti preoccupati, non solo per il nostro popolo ma soprattutto perché ogni curdo che vive in Italia ha in famiglia almeno un peshmerga che sta combattendo.
E poi c’è la consapevolezza che, in tutto questo, noi curdi non abbiamo occupato né stiamo occupando alcuna terra, ma ci limitiamo a difenderci dagli attacchi.
L’Isis è stato creato dagli islamisti in chiave anti-curda, non in chiave anti-Assad. Fomentato anche dalla Turchia, che temeva che la creazione di un “Kurdistan siriano”, con le sue libertà e autonomie sul modello della regione creata nell’Iraq, potesse convincere i curdi della Turchia ad avanzare altrettante pretese. Secondo i dirigenti turchi, anche i 20 milioni di curdi in Turchia avrebbero chiesto la stessa cosa. In realtà è una menzogna: i curdi in Turchia chiedono solo di far tacere le armi. L’ha chiesto pure Ocalan, nonostante sia in carcere in Turchia.