Martedì, durante una intervista televisiva, l’attuale ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, alla domanda dell’intervistatore, se considerava che riportare a casa i 134 ostaggi ancora prigionieri di Hamas fosse l’obiettivo primario, ha risposto, “No, non è la cosa più importante”.
L’affermazione ha suscitato scandalo, soprattutto tra i familiari degli ostaggi, ma non solo. Benny Gantz, facente parte del Gabinetto di guerra, ha dichiarato, “Il ritorno degli ostaggi non è solo il nostro obiettivo nella guerra, ma è il nostro imperativo morale come popolo e come paese, è la cosa più urgente”.
L’affermazione di Smotrich e quella di Gantz, tuttavia non sono in contraddizione. Affermare che la cosa più importante non sia il ritorno degli ostaggi ma la sconfitta di Hamas, e affermare che farli ritornare sia la cosa più urgente definiscono di fatto due obiettivi paralleli.
Sotto il profilo umano, è sicuramente, dopo quasi cinque mesi di cattività in condizioni penose, più che mai urgente riportare a casa gli ostaggi, ma resta il fatto che questa urgenza non possa implicare che il loro ritorno debba essere pagato a qualsiasi prezzo. È quanto ha ribadito Smotrich ed è la linea di Netanyahu dopo le richieste esorbitanti di Hamas.
Prima del ritorno degli ostaggi viene la vittoria a Gaza, e questa vittoria significa la smilitarizzazione di Hamas. Ottenere la libertà degli ostaggi e rinunciare all’obiettivo principale che ha motivato la guerra in corso, significa la sconfitta militare e politica di Israele. È il risultato che Hamas spera di ottenere.
Il comprensibile desiderio da parte dei parenti degli ostaggi di riaverli a casa sani e salvi, non può subordinare ad esso la sicurezza nazionale, e la sicurezza nazionale sta nel neutralizzare Hamas, motivo per il quale, nonostante gli annunci di catastrofi e disastri mai visti prima d’ora sotto il sole da parte dell’ONU e della UE, nonostante i tentativi di freno posti dagli Stati Uniti, è necessario che l’IDF entri a Rafah, ultima roccaforte del gruppo terrorista salafita, dove, con ogni probabilità, sono detenuti gli ostaggi rimasti in vita.
Impedire l’offensiva a Rafah non significa altro che volere porre in salvo Hamas, (ciò che vuole soprattutto l’ONU), significa predisporre un futuro in cui si verificherà un altro 7 ottobre.
Ogni ostaggio salvato è una vittoria di per sé ma non può esserci alcuna vittoria vera e duratura se i responsabili del loro rapimento non verranno messi nelle condizione di non poterlo più ripetere.