In questi mesi di antisemitismo montante, non è mancato l’antigiudaismo di matrice cattolica, che la Chiesa ha esercitato fino al Concilio Vaticano II, e che ha visto il ritorno sulla scena degli ebrei «vendicativi» e «violenti» perché vendicativo e violento sarebbe il loro Dio. A riproporre tali argomenti non sono gli esponenti tradizionalisti e preconciliari del cattolicesimo, non gli ultimi seguaci di Monsignor Lefebvre, bensì quelli più «progressisti» del clero, compreso il suo vertice, ossia Papa Bergoglio.
Di recente, Padre Franco Moscone, vescovo dell’arcidiocesi Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, intervenuto a una manifestazione «pacifista», ha paragonato gli israeliani ai nazisti, accusandoli di aver trasformato Gaza in un «campo di sterminio».
L’ostilità allo Stato d’Israele in nome dei valori evangelici dell’«amore» e del «perdono», così come il rifiuto assoluto della violenza fatto discendere dall’invito cristico a «porgere l’altra guancia», rivelano quanto nella Chiesa sia ancora forte la «costante tentazione» del marcionismo, con tutto il suo inevitabile portato antigiudaico.
Per «marcionismo» s’intende la dottrina di Marcione, vescovo e teologo del II secolo, che edificò un cristianesimo completamente reciso dalle sue radici ebraiche, arrivando a negare che Gesù Cristo fosse il figlio di Yahweh, degradato a divinità «minore» della Legge e del castigo. Gesù era per Marcione la manifestazione del vero Dio, un Dio di amore, estraneo e superiore a quello presentato nell’Antico Testamento.
Una lettura così radicalmente antigiudaica del messaggio di Gesù si accompagnava al rifiuto della moralità ebraica espressa nel Decalogo. Infatti, nella sua discesa agli inferi, nella lettura di Marcione, Cristo non liberò nessuno dei patriarchi di Israele, bensì affrancò gli egizi, i sodomiti e i gomorrei, oltreché Caino e tutti coloro che infransero la Legge. Rinnegando il Dio «di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» operò una totale inversione dei valori: il Dio d’amore predilige gli assassini e i ladri ai virtuosi. Un’inversione morale che non può non riecheggiare quella compiuta dopo il 7 ottobre, che ha ritratto i carnefici di Hamas come «vittime» o «resistenti» e demonizzato gli ebrei-israeliani, compresi i rapiti.
Anche la rappresentazione degli ebrei come esseri «spregevoli» o «demoni» è un portato dell’antigiudaismo cristiano. Per secoli, infatti, i seguaci del marcionismo o dello gnosticismo accusarono gli ebrei delle peggiori nefandezze, al fine di allontanare i cristiani da Mosè e dalle Scritture ebraiche.
È di contro a questa opposizione tra Antico e Nuovo Testamento, così a come tutti i tentativi di sradicare Gesù dalla sua matrice ebraica, che Benedetto XVI ha redatto il suo ultimo libro, Che cos’è il cristianesimo, che volle pubblicato postumo poiché «la furia dei circoli a me contrari in Germania è talmente forte che l’apparizione di ogni mia parola subito provoca da parte loro un vociare assassino».
Papa Ratzinger non smette mai di sottolineare quanto il cristianesimo sia una fioritura dell’ebraismo, che viene portato a compimento da Gesù e non abolito, e lo fa evocando profeti e personaggi veterotestamentari erroneamente ritenuti «minori», quali: Gezabele, Acab, Ieu, Mattatia, Nabot, Amos, Amasia.
Di contro al marcionismo ribadisce che le istituzioni morali dell’Antico e del Nuovo Testamento sono identiche. Vi è continuità, dunque, non rottura o rifiuto. Inoltre, chiarisce come l’«Allenza» sia un processo dinamico, che si snoda nel tempo: esiste un’alleanza di Dio con Noè e una con Abramo, una con Mosè e una con Davide, infine quella che si compie mediante Gesù Cristo, ma nessuna di queste alleanze nega o «revoca» le precedenti, poiché tutte insieme costituiscono la storia della salvezza.
Pur senza volersi addentrare troppo nelle questioni teologiche, si può affermare che non è possibile intendere correttamente il cristianesimo se non in relazione all’ebraismo. Le Scritture Sacre e la figura di Gesù sono un patrimonio comune della civiltà europea. Qualunque tentativo di recidere questo legame, come aveva ben chiaro anche il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, avrà come conseguenza l’espulsione dall’Occidente tanto degli ebrei quanto di Cristo.
Gesù, non bisogna mai dimenticarlo, era ebreo. Discendeva dalla Casa di Davide. L’attuale slogan «Gesù era palestinese», spesso scandito anche da qualche prelato «pacifista», è storicamente falso, moralmente abietto e teologicamente insostenibile. Gesù è nato e morto da ebreo.
Ratzinger, perdipiù, a differenza dell’attuale clero, ha compreso la necessità laica dello Stato d’Israele. Sempre in Che cos’è il cristianesimo si può leggere: «il popolo ebreo in base al diritto naturale come ogni altro popolo ha diritto a un proprio territorio», e che questo «dovesse essere trovato nel territorio del vissuto storico del popolo ebreo».
Pur rifiutando le interpretazioni teologiche e messianiche del sionismo – il cosiddetto «sionismo cristiano» – che legge l’erezione dello Stato d’Israele come adempimento delle promesse bibliche, non può non vedere nella sua fondazione la benevolenza di Dio verso il suo popolo. Scrive ancora Benedetto XVI: «la sua origine, tuttavia, non può essere fatta derivare direttamente dalla Sacra Scrittura, e tuttavia in un senso più lato può essere espressione della fedeltà di Dio al popolo di Israele».
Insomma, vi è una distanza di proporzioni «bibliche» tra la teologia di Papa Ratzinger e quella che ispira l’attuale pontificato.
