Editoriali

L’inferno visto troppo tardi

Quello che è successo nel kibbuz di Kfar Aza, nel sud di Israele, dove quaranta bambini, molti di essi neonati, sono stati trucidati, e scempio su scempio, alcuni decapitati, dove famiglie intere sono state massacrate, arse vive, uccise nel modo più brutale, è forse l’apice di questo orrore senza fine, di questa devastante ferocia che ci ricorda le pagine più buie e atroci della storia, e ci mette di fronte a una evidenza brutale e implacabile. No, la storia non procede veloce e inesorabile verso le magnifiche sorti e progressive, no la democrazia e i valori liberali non conquistano inevitabilmente cuori e menti, no il mestiere delle armi, uno dei più antichi mestieri umani non può essere archiviato come una vecchia usanza appartenente a un mondo arcaico.

Già la guerra in Ucraina ha dissipato in modo inequivocabile l’idea che gli attori aggressivi, i nemici della democrazia, si potessero e si possano ammansire facendo con loro buoni affari e limitandosi a qualche sanzione e reprimenda quando violano in modo flagrante il nomos.

Anche Israele, va detto senza indugio, è caduto in questa trappola. Si è pensato che a Hamas sarebbero bastati i soldi del Qatar, che quando era necessario bastasse bombardare, qui e là qualcuna delle loro postazioni a Gaza.

Analisti di primo piano come Daniel Pipes e Martin Sherman, lo dicono da anni, inascoltati. Si è perseverato nell’errore, nella convinzione che l’aggressività e la violenza, l’odio, si riescano ad addomesticare fino a spegnerli. Non è così, non è mai stato così, non sarà mai così.

Ora la realtà ha preso, come sempre fa, il sopravvento, e lo ha fatto nel modo più devastante e atroce che si possa immaginare.

Nessuno meglio di Thomas Hobbes ha saputo icasticamente sintetizzare la sottovalutazione dei pericoli, la mancata adesione alla realtà, quando, nel Leviatano ha scritto, “La verità è l’inferno visto troppo tardi”.

Con questo inferno, Israele, purtroppo, adesso sta facendo i conti.

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