International Policy Digest: Il recente permesso concesso dal sovrano saudita alle donne di guidare le auto e di entrare in uno stadio per assistere ad eventi sportivi è una mera manovra politica o una vera riforma?
Daniel Pipes: Tutti i segnali indicano che Mohammad bin Salman, l’effettivo sovrano dell’Arabia Saudita, è seriamente intenzionato ad apportare dei cambiamenti fondamentali. Pertanto, sì, ritengo che si tratti di una vera riforma.
Perché tali riforme in questo momento: i governanti si sentono a rischio?
Sì, la leadership si rende conto che il percorso attuale porterà alla povertà e alla debolezza. Per evitare di andare incontro a questo destino occorre apportare dei cambiamenti fondamentali in quasi ogni aspetto della vita.
La diminuzione delle entrate saudite ha indotto il governo ad aumentare la partecipazione delle donne all’economia?
Sì, la necessità di coinvolgere maggiormente le donne nell’economia è l’implicazione di più ampio respiro del permesso di guidare le auto. Ma l’immediato decremento degli utili spaventa i leader sauditi meno del futuro. Ad esempio, se le auto elettriche dovessero prevalere, il prezzo del petrolio dovrebbe scendere a 10 dollari al barile.
La crisi yemenita e l’incapacità di realizzare i suoi obiettivi hanno influito nella decisione di apportare tali riforme?
Questo potrebbe avere avuto un piccolo ruolo nella decisione, ma l’urgente necessità di cambiare i principi fondamentali della vita saudita mi sembra un aspetto prioritario.
Le donne potranno mettersi al volante, ma molte altre restrizioni restano in vigore – come avere il permesso da parte di un mahram (un parente stretto di sesso maschile e con il quale è proibito contrarre matrimonio) per sposarsi o lasciare il paese. Il governo compirà ulteriori passi per abolire le leggi patriarcali?
Sì, questo è inevitabile. La sfida saudita delle norme moderne universali, norme che prevalgono in tutti i paesi vicini, è straordinaria, ma non può durare a lungo. Sono troppi gli uomini e le donne sauditi che hanno viaggiato ed esperito in prima persona il mondo esterno per mantenere il sistema del mahram.
Cosa pensa della teoria secondo la quale questi cambiamenti fanno parte di un progetto promosso dagli Stati Uniti per unire l’Arabia Saudita con altri paesi arabi contro l’Iran.
Non è assolutamente così: questi cambiamenti sono voluti dai sauditi per salvare il loro paese, e non dagli americani. È giunto il momento di andare oltre tali teorie del complotto che presuppongono che i mediorientali non siano altro che giocattolini nelle mani degli occidentali.
L’Arabia Saudita presenta una forma di islamismo diversa da quella dell’Iran e della Turchia?
Sì, i governi di questi tre paesi seguono una peculiare tradizione islamista. Quella saudita è hanbali e fa risalire le sue origini a Ibn Taymiya e Ibn Abd al-Wahhab. Quella iraniana le fa risalire agli ayatollah Borujerdi e Khomeini; e quella turca a Said Nursi e ad Erdoğan.
Il principe ereditario Mohammad bin Salman afferma che l’Arabia Saudita tornerà all’Islam moderato. Ma l’Islam wahabita e il salafismo sono in genere radicati in Arabia Saudita. Pertanto, bin Salman non dice qualcosa di contraddittorio? L’Arabia Saudita potrebbe anche fungere da modello di Islam moderato?
Mohammad bin Salman si riferisce ai cambiamenti avvenuti circa quarant’anni fa, soprattutto dopo la rivoluzione iraniana e l’occupazione della moschea della Mecca nel novembre 1979. Cinquant’anni prima, la monarchia promuoveva un islamismo che secondo gli standard odierni era più moderato. Anche se il principe ereditario lo sta usando come riferimento, di fatto, suppongo che voglia abbandonare del tutto l’islamismo. Riesco a immaginare l’Arabia Saudita come un centro dell’Islam moderato, sono accadute cose ben più strane.
A quanto pare, Mohammad bin Salman vuole attrarre più investimenti e visitatori stranieri per compensare il calo dei profitti da petrolio del paese. Ma quella saudita è una società conservatrice e tradizionale, non come quella di Dubai, pertanto, questo obiettivo è raggiungibile?
Per inciso, rispondo alla sua domanda mentre mi trovo a Dubai: le assicuro che anche questa è una società conservatrice e tradizionale. Ma la sua leadership ha creato una struttura dinamica e aperta, in cui gli stranieri possono innanzitutto partecipare a un’impresa iper-capitalistica. Se lo sceicco Rashid Al Maktoum è stato in grado di fare questo a Dubai, potrebbe farlo anche Mohammad bin Salman in Arabia Saudita.
Le politiche di austerità a lungo termine e i tagli ai sussidi accrescono il malcontento e quindi aumenteranno anche le probabilità di una rivoluzione?
Lei sta mettendo in luce la principale difficoltà che si trova a dover affrontare Mohammad bin Salman, vale a dire la necessità di disabituare i cittadini sauditi al denaro facile. I risultati dipenderanno in gran parte dalle sue abilità politiche. Sono scettico sul fatto che le abbia.
Mohammad bin Salman ha il potere necessario per raggiungere questi obiettivi? Quanto è esperto di politica? È un governante tradizionale o un dittatore moderno?
Ha il potere ma non sappiamo ancora quanto sia abile. Me lo chieda fra cinque anni. È un mix di tradizionale e moderno, un governante tradizionale con obiettivi moderni.
Tanto l’era dello scià Mohammad Reza, in Iran, quanto l’Arabia Saudita odierna hanno subito una rapida modernizzazione sociale ed economica nonché un’apertura dello spazio sociale senza una proporzionata apertura politica. Lei è d’accordo con la teoria secondo la quale il Regno dell’Arabia Saudita si dirige verso la rivoluzione?
No, perché esiste un’altra possibilità, quella di Singapore, della Cina post-Mao e del “modello asiatico”, in cui il regime ha raggiunto una straordinaria crescita economica all’interno di un sistema politico repressivo. Forse le tensioni un giorno causeranno una implosione, ma questo mix improbabile funziona da decenni, con pochi segni di cedimento. Di conseguenza, non ritengo che il Regno dell’Arabia Saudita sia destinato alla rivoluzione; anzi, questo modello sta funzionando molto bene nella vicina Dubai.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito in Arabia Saudita all’arresto di giornalisti e attivisti politici, nonostante il governo invochi un ambiente sociale aperto. Non è una contraddizione?
Sì, lo è. Ma come si vede in Cina, a Singapore e a Dubai, lì questo modello funziona meglio di quanto ci si aspettasse mezzo secolo fa.
Sono stati arrestati più di venti religiosi perché avevano protestato contro le decisioni del governo. Il governo saudita può convincere i religiosi ad accettare le riforme sulle donne e i giovani oppure deve far uso di misure repressive contro di loro?
Come per i giornalisti e gli attivisti per i diritti umani, il governo dovrà probabilmente ricorrere all’uso della forza brutale per calmare i leader religiosi.
Quanta influenza hanno i leader religiosi sulla società saudita? Possono suscitare una rivolta contro la famiglia saudita?
Gli ulema sono potenti ma meno del governo. Possono suscitare una rivolta come accadde alla Mecca nel 1979, ma non possono prevalere.
Mohammad bin Salman intende porre fine alla dipendenza saudita dal petrolio entro il 2030. Ciò è fattibile o è una chimera?
È una scadenza troppo breve. Tra tredici anni l’Arabia Saudita continuerà a dipendere dai ricavi derivanti dagli idrocarburi. Ma il paese può adottare provvedimenti significativi per ridurre questa dipendenza.
Mohammad bin Salman è in grado di creare un’identità nazionale saudita dove ora c’è un’identità tribale?
Un’identità nazionale saudita esiste già, al di là delle identità tribali. Lo stato moderno nacque negli anni Trenta e come è stato dimostrato da molti altri stati, questo è il tempo sufficiente per indottrinare generazioni di giovani all’esistenza di una identità nazionale.
Lei è ottimista riguardo al futuro dell’Arabia Saudita e alle riforme nel paese?
Il futuro del paese è aperto, per la prima volta dagli anni Venti. Non sono però in grado di prevedere con sicurezza il corso degli eventi futuri.
Traduzione in italiano di Angelita La Spada
Qui l’articolo originale in lingua inglese