Da Emanuel Segre Amar, Presidente del Gruppo Sionistico Piemontese riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Gerusalemme-Stavolta sembra proprio che la “Scuola di gomme” di Khan al-Ahmar abbia i giorni contati. Entro la fine dell’anno la struttura dovrebbe essere infatti rasa al suolo insieme all’adiacente villaggio beduino palestinese, situato in una terra desertica, sulla strada che collega Gerusalemme al Mar Morto, vicino a Gerico in Cisgiordania.
Alcuni mesi fa la Ong sionista Regavim ha presentato l’ennesima petizione all’Alta Corte israeliana chiedendo l’immediata demolizione dell’insediamento e nei giorni scorsi il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu ha risposto che ciò avverrà «molto presto». A quanto pare non prima di dicembre, perché prima sarà necessario attendere le elezioni di settembre e la nascita del nuovo governo. Il comitato dei coloni sta però perdendo la pazienza di fronte a una vicenda che negli anni ha mobilitato i governi e le istituzioni internazionali. A pochi chilometri dal piccolo villaggio di Khan al Ahmar, in cima alla collina, sorge la grande colonia israeliana di Ma’ale Adummim che si estende in direzione di Gerico e vorrebbe espandersi fino all’autostrada cresciuta accanto ai pascoli beduini.
Alcuni giorni fa, nelle strade abitate dai coloni, i membri di Regavim hanno appeso provocatoriamente decine di bandiere palestinesi sostenendo che il governo non fa abbastanza per tutelare i loro interessi. Nel villaggio beduino vivono attualmente circa duecento persone in tende e baracche prive di acqua e luce. La scuola fu realizzata nel 2009 con i fondi della cooperazione italiana, della Cei e della Ong Vento di Terra: per aggirare il divieto di costruire imposto da Israele nella cosiddetta “area C” della Cisgiordania, le pareti sono state fatte di pneumatici impilati uno sull’altro e intonacati con terreno argilloso. In questi giorni decine di bambini scorrazzano felici nel cortile e negli spazi esterni della scuola, dove fino alla fine di agosto saranno impegnati nei campi estivi con gli educatori e i volontari del villaggio. «Quando la scuola sarà demolita questi bambini perderanno l’unica possibilità di accedere all’istruzione di base», conferma il medico del villaggio. Il lungo contenzioso legale sembra però essere giunto ormai a una svolta decisiva e appare improbabile che il governo israeliano cambi idea. La comunità beduina di Khan al-Ahmar si trova infatti in un territorio di grande importanza strategica: per Israele il controllo dell’area è indispensabile per realizzare il piano di espansione coloniale “El”, che intende collegare Gerusalemme e la valle del Giordano tagliando in due la Cisgiordania. Quando tale piano sarà ultimato, l’area della Cisgiordania che fa capo ai governatorati di Betlemme ed Hebron verrà definitivamente separata da quella di Nablus e Ramallah. Un piccolo allievo della Scuola di gomme: la struttura di Khan al-Ahmar (Cisgiordania) è stata realizzata nel 2009 con i fondi della cooperazione italiana, della Cei e della Ong Vento di Terra/
Riccardo Michelucci, Avvenire, 28-07-2019
Egregio dottor Marco Tarquinio,
la lettura dell’articolo pubblicato domenica 28.7 sul quotidiano da lei diretto, e riportata in calce, mi spinge a scriverle con una lettera aperta sperando di attirare la sua attenzione più di quanto ottenuto con la mia precedente del 17 u.s. sull’antisemitismo riscontrato in un precedente articolo apparso su Avvenire e rimasta senza riscontro.
Non desidero entrare nel merito delle questioni legali, già oggetto di dibattito in importanti siti attenti a quanto viene pubblicato sui quotidiani nazionali. Mi preme piuttosto attirare la sua attenzione sulle ragioni per le quali trovo l’articolo non degno di essere pubblicato su un giornale che rappresenta una proprietà tanto autorevole.
La formazione scolastica di tutti i bambini e di tutti i giovani in Israele è sempre stata oggetto della massima attenzione da parte di tutti i governi che si sono succeduti a Gerusalemme. In particolare, e credo lei vorrà convenire con me, si è sempre cercato di assicurare una formazione scolastica, almeno quella di base, a dei bambini che, da millenni, ne erano tradizionalmente privi a causa del modo di vivere dei beduini (simile a quello dei nostri gitani, con in più l’inconveniente delle difficoltà procurate dal deserto). Non è un caso, forse, se oggi proprio giovani beduini occupano posti fondamentali nell’esercito israeliano al quale si iscrivono sempre più numerosi come volontari.
A dimostrazione di ciò, a semplice titolo di esempio, le posso citare la città di Rahat (non lontana della più nota Sderot) dove sono state riunite diverse tribù di beduini in precedenza abitanti in catapecchie di metallo sparse nel deserto del Negev. Proprio il sindaco e, soprattutto, il veterinario capo di Rahat mi spiegarono recentemente che questo fu l’unico modo per portare a scuola questi bambini (prima c’erano scuolabus che li cercavano, spesso invano, nel deserto); e anche a Rahat questi beduini poterono mantenere le loro abitudini ancestrali, con le greggi in prossimità delle abitazioni, e rigorosamente suddivisi per scelta loro in tribù nei vari quartieri della cittadina giacché è proprio la tribù il collante principale di queste popolazioni).
Mi sono dilungato su questi particolari per farle capire quanto lontano dalla realtà sia l’articolo di Riccardo Michelucci. Non sono i “coloni” che decidono alcunché in merito, ma la Corte Suprema (il cui presidente è, tra l’altro, un arabo). Non è l’espansione della città di Ma’ale Adummim che possa influire in queste decisioni legali, e non politiche (“a pochi chilometri”, sottolinea Michelucci, ma tutto, in Israele, si trova a pochi chilometri). Vede, dottor Tarquinio, chiunque salga a Gerusalemme provenendo da Gerico non può non vedere queste “abitazioni di lamiera” dei beduini, indegne di un vivere civile.
Sarebbe forse più opportuno per una testata come quella da lei diretta affrontare i problemi della formazione scolastica e delle condizioni di vita dei bambini dei nostri gitani, credo, piuttosto che criticare opportune azioni volte al miglioramento delle condizioni di vita di questi bambini spesso fieramente israeliani (ho potuto constatarlo coi miei occhi a Rahat).
Stiano tranquilli i lettori di Avvenire: quei bambini non perderanno “l’unica possibilità di accedere alla formazione di base”, ma al contrario avranno assicurato proprio quella formazione che il vivere sparpagliati nel deserto non permette loro.
E nemmeno Betlemme e Hebron saranno “definitivamente separate” da Nablus e Ramallah.
Emanuel Segre Amar
Presidente Gruppo Sionistico Piemontese