In una recente intervista con Tucker Carlson, tra i giornalisti preferiti di Donald Trump, Steven Witkoff, l’inviato speciale per il Medio Oriente con delega speciale anche per il dossier Russia-Ucraina (è l’unico membro dell’Amministrazione Trump che nelle ultime settimane ha incontrato Vladimir Putin per due volte), ha affermato che ritiene che Hamas non sia così estremista come viene dipinto e che se accetterà di disarmarsi potrà avere un ruolo politico a Gaza in futuro. Questo dopo avere premesso che Hamas non potrà continuare a governare la Striscia.
L’ignoranza di Witkoff relativamente a cosa sia Hamas, alla sua storia, al jihadismo in senso stretto, nonchè la sua totale inesperienza diplomatica e politica relativa al Medio Oriente, lo ha messo in pole position per il ruolo che gli è stato assegnato. Witkoff, infatti, è un immobiliarista, un coriaceo negoziatore del Bronx, e per Trump questo è quello che è sufficiente.
L’approcio trumpiano a problemi di natura politica e geopolitica è strettamente negoziale, è quindi del tutto irrilevante se non controproducente essere esperti relativamente alla cultura, alla storia e alla filosofia politica di un Paese, o di una entità con la quale si negozia, conta solo il fatto nudo e crudo della transazione, il do ut des.
Pensare che, soprattutto dopo il 7 ottobre, con Hamas sia possibile accordarsi, che Hamas possa disarmarsi, che Hamas possa dismettere i panni del radicalismo islamico per indossare quelli pragmatici di un attore negoziale, significa rimuovere dal tavolo il ruolo fondante e fondamentale delle idee e dell’ideologia.
Il pragmatismo transazionale può funzionare alla grande se ci si siede al tavolo per la compravendita di un immobile a New York, ma è assai diverso se dall’altra parte del tavolo siedono i talebani (con cui, prima della disastrosa uscita di scena dall’Afghanistan messa in atto da Joe Biden, l’allora Segretario di Stato Mike Pompeo concordò per conto di Donald Trump i termini dell’abbandono americano del Paese), o Hamas.
Witkoff, il cui Hotel Park Lane a New York venne rilevato nel 2023 dal Qatar per 623 milioni di dollari, ha, sempre nella stessa intervista, speso parole di grande apprezzamento per l’Emirato, grande sponsor di Hamas e del radicalismo islamico. I qatarioti sono allati degli Stati Unti, ha detto, “Persone per bene animate da ottime intenzioni…Sono un piccolo Paese che desidera essere riconosciuto come un facitore di pace…la gente li accusa di avere altri motivi, è insensato”. Sì, hanno peccato di radicalismo nel passato ma ora si sono moderati, e di loro ci si può fidare.
Come ha evidenziato Daniel Pipes in un articolo dedicato al ruolo del Qatar https://www.linformale.eu/esaminare-linfluenza-del-qatar/:
“L’influenza del Qatar è forse più evidente nel sostegno fornito a gruppi jihadisti in luoghi così diversi come l’Iraq (al-Qaeda), la Siria (Ahrar al-Sham, Jabhat al-Nusra), Gaza (Hamas) e la Libia (Brigate di Difesa di Bengasi). Inoltre, il Qatar sostiene importanti reti islamiste in tutto il mondo – tra cui i Fratelli Musulmani in Egitto, l’AKP in Turchia e Jamaat-e-Islami in Bangladesh…In Occidente, il potere del Qatar adotta più cautele e prospera incontrastato. Ad esempio, finanzia le moschee e altre istituzioni islamiche, che esprimono la loro gratitudine protestando all’esterno delle ambasciate dell’Arabia Saudita, a Londra e a Washington…Doha cerca anche di influenzare le istituzioni educative occidentali. La Qatar Foundation controllata dal regime elargisce decine di migliaia di dollari a scuole, college e ad altri istituti d’istruzione in Europa e nel Nord America. In effetti, il Qatar è ora il più grande donatore straniero alle università americane. I suoi finanziamenti sovvenzionano i costi per l’insegnamento della lingua araba e delle lezioni sulla cultura mediorientale e la loro inclinazione ideologica è talvolta sfacciatamente evidente, come nel modulo didattico delle scuole americane intitolato “Esprimi la tua fedeltà al Qatar”.
Witkoff non è il primo ne l’ultimo funzionario americano che sul Medio Oriente e sulla natura del radicalismo islamico prende delle cantonate, lo hanno fatto molti altri prima di lui, e con curriculm assai più consistenti.
L’idea che la Fratellanza Musulmana fosse un interlocutore rispettabile è stata al centro della diplomazia mediorientale di Barack Obama, mentre la convinzione che ci si potesse fidare di Arafat e dell’Autorità Palestinese, ha informato trent’anni di poltica americana in Medio Oriente. Questa ottica distorta è purtroppo stata fatta propria anche da una parte rilevante dell’establishment politico israeliano a cominciare con gli Accordi di Oslo del 1993. L’approccio transazionale che è il fulcro ideologico dell’Amministrazione Trump, e di cui Witkoff è una emanazione, contro il radicalismo islamico non ha funzionato mai.
Con Hamas non si può negoziare niente, se non una resa, come con i talebani. C’è un solo modo per risolvere il problema Hamas a Gaza ed è quello della sua sconfitta sul terreno con conseguente occupazione transitoria del territorio da parte di Israele, ma certamente non è quello che vuole il Qatar che nell’arco di quasi vent’anni ha fornito alla formazione jihadista miliardi di dollari, di cui una parte cospicua è servita per la costruzione di un reticolo lungo 800 chilometri di tunnel sotterranei.
Il Qatar, che ne dicano Witkoff, suo diretto beneficiario e Trump anche esso elogiativo dell’emiro Al Tahani, definito “uomo di pace”, quando, nel settembre del 2024, andò a trovarlo in Florida, è un attore infido e subdolo che sul palcoscenico interpreta vari ruoli, tra cui “alleato” degli Stati Uniti e sostenitore del jihad.
La guerra non ancora vinta da Israele, e di cui Hamas è un tassello, è una guerra contro il jihad. Forse qualcuno dovrebbe spiegarlo a Witkoff.
