Nato come polemica ideologica funzionale all’affermazione del Cristianesimo come unica e vera fede, l’antigiudaismo divenne da un lato strumento per cambiamenti giuridici e, dall’altro, pretesto per episodi di intimidazione e di violenza, talvolta spontanei, talaltra istigati da vescovi a capo di comunità locali soprattutto in Nord Africa e Medio Oriente. I sermoni pieni di livore e di odio pronunciati dai predicatori cristiani favorirono e legittimarono assalti ed incendi a danno di molte sinagoghe. Uno degli episodi più eclatanti avvenne a Callinicum (l’odierna Al-Raqqa, in Siria) nel 388, quando una folla guidata dal vescovo locale incendiò e rase al suolo il luogo ove gli ebrei si riunivano a pregare. In quell’occasione Ambrogio, vescovo di Milano, redarguì violentemente l’imperatore Teodosio I che si accingeva a punire i responsabili: Ambrogio dichiarò che il gesto non doveva essere considerato delittuoso e aggiunse che se la sinagoga di Milano (“luogo di perfidia”, “casa di empietà”, “ricettacolo di stoltezza”) fosse ancora esistita, l’avrebbe bruciata lui stesso e l’avrebbe considerato atto glorioso.
Alle resistenze dell’imperatore, Ambrogio ribatté bollando come non cristiano il suo comportamento, finché l’imperatore cedette e rinunciò a sanzionare i responsabili.
Di fronte ad una recrudescenza di violenze contro i templi pagani e le sinagoghe, Teodosio I, nel 393, intervenne con una legge che condannava esplicitamente coloro che compivano devastazioni e saccheggi in nome della religione cristiana, ma nonostante ciò nei decenni successivi gli assalti continuarono.
Nel 414, il vescovo Cirillo riuscì a far cacciare gli ebrei da Alessandria d’Egitto (per inciso, nel 415 ad Alessandria folle fanatiche istigate da Cirillo stesso massacrarono Ipazia di Alessandria, brillante matematica ed astronoma rea di essere pagana e di compiere studi contrari alle Scritture); nel 418 a Minorca venne incendiata la sinagoga e tutti gli ebrei dell’isola furono obbligati forzatamente a battezzarsi pena la confisca di tutti i beni e l’espulsione dall’isola; altri incendi nel tempo si verificarono un po’ ovunque, comprese le città di Antiochia e la stessa Costantinopoli.
In un editto del 423, l’obbligo di ricostruire le sinagoghe distrutte veniva emendato e sostituito con la concessione di terreni agli ebrei, dove essi avrebbero potuto ricostruire i loro luoghi di culto, ma a loro spese.
Dato che la Chiesa guardava alle comunità ebraiche come a bacini in cui attuare proselitismo ed ottenere conversioni, le resistenze degli ebrei alla conversione venivano vissute come un atto di ostile insubordinazione e scatenavano reazioni di rabbia. Le resistenze inoltre apparivano ancora più incomprensibili e fastidiose per il fatto che il Cristianesimo era stato ormai riconosciuto religione ufficiale dell’Impero Romano (Editto di Tessalonica, 380). Negli ambienti giuridici e teologici si cominciò per questo motivo a sostenere che questa renitenza fosse la prova dell’incapacità degli ebrei di comprendere e concepire la doppia natura, umana e divina, del Cristo: segno perciò di una vera e propria inferiorità intellettuale, espressione di rozzezza e carnalità, che impediva di accedere alla comprensione della spiritualità cristiana.
Si fece strada perciò la contrapposizione tra identità ebraica imperfetta, materiale e bestiale, e identità cristiana perfetta, spirituale e umana. L’accostamento giudeo-bestia diventa sempre più frequente e si traduce, sul piano sociale, nel pregiudizio di una inferiorità morale ed intellettuale che rende gli ebrei non degni di ricoprire cariche giudiziarie, pubbliche, o anche semplicemente di rivestire ruoli di rilievo nella società. Questo, unitamente all’argomentazione della loro discendenza da Giuda – da colui cioè che tradì il Cristo per denaro – resero degli ebrei l’immagine di un popolo di immorali, avari e traditori.
Nei secoli a venire lo stereotipo della bestialità degli ebrei venne tradotta dal campo religioso a quello politico, abbozzo di quelle che saranno in futuro le grandi campagne di esclusione degli ebrei dalle professioni esercitate dai cristiani e il loro confinamento in spazi ristretti, siano essi fisici (ghetti) o sociali, quasi recinti in cui controllare e neutralizzare la loro supposta influenza quali corruttori morali della società civile.
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