Stati Uniti e Israele

Le aspettative (finora) deluse di Israele

Aspettative deluse

Dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il 20 gennaio scorso, molte erano le aspettative su di lui in Israele e altrove. Le principali, che il neo presidente americano, il quale si era distinto nel suo primo quadriennio per una serie di decisioni assai favorevoli allo Stato ebraico, avrebbe radicalmente cambiato l’impostazione dell’Amministrazione Biden.

In primo luogo si congetturava che la guerra a Gaza avrebbe ricevuto un nuovo impulso indirizzato alla completa sconfitta di Hamas e che, relativamente all’Iran, Trump avrebbe dato a Israele il semaforo verde per colpire i siti nucleari.

Cinque giorni prima del suo insediamento, Trump spediva in Israele il nuovo inviato per il Medio Oriente, l’immobiliarista Steven Witkoff, sodale di vecchia data, il quale, in un incontro descritto come teso, metteva Netanyahu nelle condizioni di accordarsi con Hamas per la liberazione degli ostaggi, essendo questa la volontà di Trump. Witkoff, i cui legami con il Qatar sono noti, in seguito avrebbe consigliato che tra gli Stati Uniti e la formazione terrorista responsabile dell’eccidio del 7 ottobre, i negoziati fossero diretti. Così è infatti accaduto, quando Adam Boehler, un altro funzionario americano inviato in Israele, ha incontrato faccia a faccia alcuni alti dirigenti di Hamas. Cosa mai avvenuta prima.

L’8 aprile, nell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Netanyahu, il premier israeliano ha dovuto toccare con mano che l’opzione dell’intervento militare in Iran finalizzato a sventare la minaccia nucleare, non era da considerarsi attuabile. Un articolo pubblicato ieri dal New York Times ne dà conferma. L’attacco ai siti nucleari iraniani previsto entro maggio è stato accantonato, dando la preferenza ai negoziati con il regime di Teheren il cui primo round si è avuto sabato scorso in Oman e il prossimo si terrà a Roma questa settimana. A presiedere gli incontri ci sarà sempre Witkoff, l’uomo di punta dell’Amministrazione Trump per i più scottanti dossier di politica internazionale (è l’unico ad avere incontrato già tre volte al Cremlino, Vladimir Putin).

Dopo il primo incontro in Oman, Witkoff aveva dichiarato che gli Stati Uniti si sarebbero accontentati se gli iraniani avessero ridotto l’arricchimento dell’uranio al 3.67% compatibile con il suo utilizzo per uso civile. Ventiquattro ore dopo smentiva questa dichiarazione affermando che gli Stati Uniti chiedono all’Iran lo smantellamento completo del suo programma nucleare.

Appare evidente che all’interno dell’Amministrazione Trump c’è un contrasto su come procedere relativamente all’Iran. Da una parte c’è la linea negoziale, che asseconda quello che è l’approccio strutturale di Trump con tutti i suoi interlocutori, ed è portata avanti risolutamente da Witkoff, per il quale Hamas non è poi così radicalizzato e con esso si può trovare una intesa, come ha spiegato a Tucker Carlson durante una intervista,https://www.linformale.eu/le-illusioni-e-la-realta/dall’altra la linea più massimalista rappresentata dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale Mike Waltz, e da altri funzionari, scettica sul risultato dei negoziati e propensa all’intervento militare.

È ancora prematuro affermare che a Israele, alla fine, non verrà concesso di colpire i siti nucleari iraniani, ma appare chiaro che non è questa la priorità di Trump e sicuramente non è quella di Witkoff fin tanto che in materia resterà il suo interlocutore privilegiato, così come appare altrettanto chiaro che in merito a Gaza gli Stati Uniti verso Hamas non hanno adottato una linea intransigente continuando a preferire quella negoziale.

Il ruolo negativo di Witkoff per gli interessi di Israele

Steven Witkoff appare come un dominus estremamente compiacente, che non perde mai occasione per evidenziare come egli sia solo un esecutore della volontà del presidente, mentre in realtà non è così. La vicinanza di Witkoff al Qatar, il cui fondo finanziario ha rilevato il suo Park Lane Hotel di New York che versava in pessime acque, per 623 milioni di dollari, e la cui leadership Witkoff ha lodato sempre nella sua intervista con Tucker Carlson, per essere costituita da uomini per bene e unicamente interessati alla pace, lo rende il meno adatto a interloquire sia con Hamas che con l’Iran.

Il Qatar, grande sponsor di Hamas insieme all’Iran non ha alcun interesse che il gruppo jihadista perda il controllo su Gaza, così come non lo ha, ovviamente, l’Iran. L’Iran, ancora di più, non è assolutamente disposto a smantellare il suo programma nucleare essendo ormai vicino alla realizzazione di testate nucleari, e un negoziato può solo essere utilizzato a proprio vantaggio, esattamente come ha fatto finora Hamas che, per quanto sia stato fortemente depotenziato, non è stato assolutamente smantellato. Al momento, Israele controlla circa il 40% del territorio della Striscia.

Fino a quando Witkoff resterà in sella come il principale consigliore di Trump in Medio Oriente, Israele non avrà alcuna prospettiva di guadagno. Il fattore Trump, la sua imprevedibilità, può modificare lo scenario, ma perché questo avvenga, all’interno della Casa Bianca ci deve essere un cambiamento nella preminenza delle influenze su di lui e delle priorità da raggiungere.

L’esito auspicabile

L’unico attore che beneficerebbe da un negoziato è l’Iran, la cui affidabilità è pari allo zero come lo è quella della Russia e della Corea del Nord, con la quale, otto anni fa, Trump pensava di risolvere attraverso i negoziati.

Per Israele esiste solo una opzione per salvguardare la propria sicurezza e produrre un profondo cambiamento positivo in Medio Oriente che beneficerebbe anche gli interessi americani, colpire i siti nucleari iraniani, depotenziando in questo modo drasticamente la minaccia che Teheran rappresenta per la propria sicurezza.

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