Si adunano copiosi in questi giorni, dappertutto, sedicenti esperti del conflitto arabo-israeliano, poi declinato in israelo-palestinese, e continueranno a farlo nei giorni che verranno.
La cornucopia delle usuali falsità sta già rovesciandosi copiosa.
Da una parte c’è la mera propaganda antisraeliana forgiata a seguito della Guerra dei sei giorni e che vede in prima fila la bassa manovalanza, tra cui spicca, qui da noi, Moni Ovadia un usurato e sguaiato cabotin, la quale dipinge Israele come uno SS-tato usurpatore e genocida, dall’altra ci sono falsità meno brutali ma altrettanto grossolane, drappeggiate con gli abiti apparentemente dotti della competenza storica. Così, oggi, su Il Corriere della Sera, Paolo Mieli propone la solita inossidabile leggenda secondo cui Israele sarebbe nato in virtù della Risoluzione 181.
“La controversia tra arabi e israeliani prima, palestinesi e israeliani poi data dal 1947 quando l’Onu stabilì che su quella terra dovessero nascere due stati, quello di Israele e quello della Palestina. Israele nacque (nel 1948), mentre le terre destinate ai palestinesi furono occupate dagli Stati arabi confinanti che le trasformarono in basi per le aggressioni contro Israele che si era costituita dopo un lungo conflitto durato fino al ’49. Poi ci fu una seconda guerra, quella di Suez, nel 1956. E al termine della terza guerra, detta “dei sei giorni” Israele occupò i “territori” da cui partivano le spedizioni contro i suoi kibbutz e ogni tanto qualche iniziativa militare più aggressiva. Da allora la posizione di Israele è stata: ve li restituiremo quando vi impegnerete a riconoscerci e a non aggredirci mai più. Sono trascorsi cinquantasei anni e questo impegno non è mai venuto”.
Come ha ricordato innumerevoli volte David Elber,http://www.linformale.eu/la-risoluzione-181-dellassemblea-generale-dellonu-mito-e-realta/ http://www.linformale.eu/il-legame-storico-del-popolo-ebraico-con-israele/ la Risoluzione 181 formulata il 29 novembre del 1947 dall’Assemblea Generale dell’ONU in palese violazione di quanto stabilito dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922, l’unico documento che abbia fino ad oggi la valenza normativa di un trattato, era una mera proposta attuativa, la quale, benché accettata dagli ebrei, obtorto collo, venne rigettata in toto dagli arabi.
Dunque le terre che, secondo Mieli, erano “destinate” ai palestinesi, afferiscono a un destino del tutto virtuale, oltretutto completamente destituito da ogni valore giuridico e in contrasto con lo stesso Statuto della allora Società delle Nazioni da cui l’ONU discende, in cui le specifiche del Mandato sono incardinate. Ne consegue che, affermare che Israele si sia impegnato in qualche modo, a “restituire” agli arabi ciò che sotto nessun profilo gli appartiene è una palese falsità.
Perché un soggetto restituisca ad un altro soggetto qualcosa che detiene, è richiesto un prerequisito, che ciò che egli detiene sia illegittimamente detenuto.
Sarebbe opportuno che Paolo Mieli, sicuramente tra i meno ostili commentatori nostrani nei confronti di Israele, invece di ripetere stancamente una vulgata priva di qualsiasi fondamento si prendesse la briga di approfondire la materia, è il minimo sindacale da richiedersi a uno storico.