Editoriali

L’allestimento in corso

Dopo l’uccisione di  Fuad Shukur a Beirut e Ismail Hanyieh a Teheran, Israele sembrava avere acquisito un vantaggio considerevole.

Dopo mesi di incertezza e confusione sulle sorti della guerra a Gaza, e a seguito del discorso al Congresso di Netanyahu tenuto il 24 luglio e sostanzialmente centrato sul pericolo dell’Iran, nemico comune di Israele e degli Stati Uniti, la situazione appariva entrata in una nuova fase, quella caratterizzata da una maggiore determinazione israeliana ad affrontare spavaldamente i propri nemici, giungendo a dare, particolarmente all’Iran, un segnale molto chiaro sul grado della propria capacità di colpire all’interno del paese obiettivi di alto profilo, esibendo al mondo le falle del suo sistema di sicurezza e il suo livello di penetrazione.

I due colpi assestati da Israele hanno generato l’immediata reazione minacciosa di Hezbollah e di Teheran, in sintesi dell’Iran, con minacce congiunte di attacchi su Israele e la prevedibile risposta che nell’eventualità di questi attacchi Israele avrebbe risposto con forza.

Questo scenario sembra, (nuovamente è necessario ricorrere al condizionale), appartenere già al passato, perché subito, la Casa Bianca è intervenuta per scongiurare l’eventualità di una escalation, consigliando all’Iran di soprassedere nel proprio interesse e in quello americano, ovvero a scapito di quello di Israele. Si è quindi provveduto a dare una accelerata ai moribondi accordi con Hamas che l’Amministrazione Biden vuole concludere da maggio imponendoli a Israele; accordi che prevedono che gli ostaggi rimanenti vengano liberati e che Hamas resti nella Striscia, perché è punto fermo di questa Amministrazione che Hamas non possa essere sconfitto. Per poterlo fare, Israele dovrebbe restare altri lunghi mesi a Gaza, probabilmente, volendola bonificare, anni e questa è una eventualità  che né a Washington né a Teheran considerano accettabile.

Ecco dunque riapparire la figura del pluriomicida Marwan Barghouti, star del terrorismo palestinese, che Hamas chiede venga liberato, un Sinwar all’ennesima potenza, anche lui liberato dopo ventidue anni di carcere nel 2011, per riavere indietro il soldato Gilad Shalit.

L’ex leader di Fatah sarebbe la figura scelta dall’Amministrazione Biden come plenipotenziario dell’Autorità Palestinese all’interno della Striscia. Non è certo un mistero che essa voglia che Gaza sia amministrata da quest’ultima, magari in concorso con Hamas e nonostante l’esplicita indisponibilità di Netanyahu.

Questo è l’allestimento in corso.

 

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