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Quello che in campagna elettorale era il “peggiore deal della storia americana” è diventato ora un pacco da spedire al Congresso degli Stati Uniti perché lo esamini ed eventualmente (molto eventualmente), affermi che la merce che contiene è avariata.
L’atteso discorso di Donald Trump alla Casa Bianca non è stato una sorpresa. Già si sapeva da anticipazioni e leakes che il presidente degli Stati Uniti avrebbe solamente “decertificato” l’accordo, il gioiello della corona della politica estera obamiana, ma non lo avrebbe gettato nel cestino della spazzatura.
In un discorso in cui l’Iran è stato riconfermato come uno stato canaglia assai pericoloso, Trump si è limitato a dire che non certificherà che l’Iran sta agendo in rispetto dell’accordo (prassi formale rinviata al presidente ogni 90 giorni) poiché la repubblica islamica sciita, con le sue azioni malevole, ne avrebbe violato lo spirito, anche se non la sostanza. Ciò significa che, nonostante i lamenti di coloro i quali hanno affermato che Trump con la sua dichiarazione avrebbe di fatto boicottato il patto fortissimamente voluto dal suo predecessore, che l’accordo, per quanto ammaccato in superficie, resta in piedi. “Decidete voi cosa farne”, ha detto il presidente al Congresso, il quale ha ora due mesi di tempo per valutare.
John R. Bolton, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite dal 2005 al 2006, Senior Fellow dell’influente American Enterprise Institute, e una delle voci più abrasive della politica americana, in un recente articolo ha sottolineato l’escamotage “gesuitico” di fare del Congresso il giudice del deal.
Per Bolton e altri “falchi” (tra cui il capo della CIA, Mike Pompeo), la decisione di rimandare la decisione al Congresso, con tutte le incognite che ciò comporta, espone un accordo giudicato pessimo al gioco politico degli intrecci e delle cordate che si costituiranno per mantenerlo in vita.
Di pancia Trump avrebbe voluto affossarlo ma è stato persuaso dall’ala delle “colombe”, il Segretario alla Difesa, John Mattis, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, H.R. McMaster e il Segretario di Stato, Rex Tillerson, ad assumere la decisione pilatesca di de-certificarlo, salvando così la faccia, e quindi di incaricare il Congresso di fare il lavoro sporco.
La realtà è che il deal, come Trump aveva giustamente affermato, è un accordo tra i peggiori, il quale non offre alcuna reale garanzia che l’Iran non proseguirà comunque il proprio programma avviato ad ottenere il nucleare, godendo nel frattempo dei miliardi di dollari di credito erogati in virtù del sollevamento delle sanzioni.
Come scrive Noah Rothman su The Commentary, sottolineando uno degli aspetti più problematici dell’accordo “Il regime di ispezioni che avrebbe dovuto essere imposto all’Iran in base all’accordo è stato una barzelletta fin dal principio”. Ad oggi la IAEA non ha accesso ai siti militari iraniani per le verifiche, ed è una clausola del deal che rende impraticabile la possibilità.
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