Donald Trump non è ancora entrato in carica e sta già inopportunamente rivendicando la vittoria per sé stesso su un “accordo” catastrofico che costringerà Israele a liberare i terroristi dalle proprie prigioni con un rapporto di 1:30 e 1:50 (un ostaggio per ogni 30/50 terroristi).
Israele dovrà inoltre ritirarsi da Gaza e i terroristi rilasciati non potranno essere riarrestati. In poche parole, Hamas avrà modo di riarmarsi e mantenere il controllo sulla Striscia. I terroristi rilasciati molto probabilmente uccideranno altri israeliani, proprio come è successo il 7 ottobre 2023 con gli assassini precedentemente rilasciati durante il negoziato per Gilad Shalit quando, curiosamente, era Primo Ministro proprio Benjamin Netanyahu.
Come ricordato da Michael Rubin su Middle East Forum:
“Di fatto, per liberare un ostaggio di Hamas, Gilad Shalit, Netanyahu (che era anche primo ministro durante quello scambio) non solo ha liberato più di 1.000 prigionieri di Hamas ma, a posteriori, ha indirizzato Israele verso una rotta che ha portato al massacro di oltre 1.200 israeliani”.
Stavolta Netanyahu, dopo aver annunciato per mesi che Hamas sarebbe stata eradicata da Gaza, è sceso a patti con chi ha perpetrato il più grande pogrom contro gli ebrei dai tempi della Shoah.
Lo ha fatto dopo aver incontrato il nuovo inviato per il Medio Oriente dell’amministrazione Trump, Steve Witkoff. Cosa avrà mai detto quest’ultimo a Netanyahu per convincerlo ad accettare un disastro del genere che passa il manico del coltello a Hamas?
Di certo non è quello che ci si aspettava dal team di Trump. Proprio ieri, infatti, il consigliere alla sicurezza della nuova amministrazione, Mike Walts, ha dichiarato che “Hamas va estirpata”, che “non bisogna negoziare con Hamas e non bisogna ricompensarla”. Nel contempo però, l’amministrazione di cui egli stesso fa parte, stava pressando Israele a fare l’esatto contrario.
L’accordo è tra l’altro quello spinto per mesi dall’Amministrazione Biden che è ancora in carica fino al 20 gennaio, è bene tenerlo a mente. Insomma, Israele è stato spinto ad accettare un accordo-disfatta in base a un lavoro congiunto dell’amministrazione uscente (Biden) con quella entrante (Trump). Come si suol dire, “Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”.
Nel frattempo, il Qatar, sostenitore e protettore di Hamas, gongola per il proprio ruolo di mediazione che mai avrebbe dovuto avere. Chissà, forse a Washington non volevano scontentare il Qatar? Un emirato così generoso nei confronti delle università statunitensi.
Gli unici vincitori in tutto ciò? L’uscente Amministrazione Biden, l’ego di Trump, e la galassia islamista (Hamas, Qatar, Iran).
Stranamente, la destra israeliana di Smotrich e Ben Gvir, a parte dichiarazioni di contrarietà all’accordo, non ha ancora lasciato il governo. Non è detto che non lo facciano a breve, ma ormai il guaio è fatto.
E tutti i soldati morti in questi mesi a Gaza mentre combattevano per sradicare Hamas? Sono morti invano?
Per quanto riguarda la questione degli ostaggi, dispiace dirlo, ma non c’è da farsi illusioni. In primis non è dato sapere quanti siano ancora effettivamente in vita (pare che non lo sappiano bene nemmeno i terroristi) e in secondo luogo Hamas manderà gli eventuali rilasci per le lunghe in quanto sono l’unica leva che l’organizzazione terrorista ha nei confronti di Israele. Niente più ostaggi, niente più leva. Chissà se a quel punto Trump tornerà a ruggire?
Con i terroristi non si doveva e non si deve trattare. Non è una questione etica o ideologica, ma prettamente pratica.
In primis, i negoziati incoraggiano i terroristi a ripetere le atrocità, perché sanno di trovare disponibilità da parte della politica. Trattare coi terroristi significa mettere a rischio la vita dei propri cittadini. Esempio banale: se sanno che un determinato Paese è noto per pagare riscatti, prenderanno di mira cittadini di quei Paesi. Se i terroristi sanno che un Paese è disposto a tutto pur di portare a casa i propri cittadini (con i direttivi governativi che presentano poi la cosa come “grande successo”), avranno gioco facile. Questi sono fatti, non parole.
In aggiunta, i terroristi punteranno ad alzare la posta in gioco, proprio come sta facendo Hamas in questo momento.
In secondo luogo, i negoziati forniscono all’organizzazione terrorista legittimità politica, elevandoli a legittimi interlocutori, quando invece dovrebbero essere emarginati e sottoposti a forti pressioni con tutti i mezzi possibili, ortodossi o meno.
In terzo luogo, le trattative ed eventuali accordi permettono ai terroristi di rilanciare la propria propaganda, presentando i risultati raggiunti come “grande vittoria della resistenza”. Una situazione che si sta verificando in questo momento, con Hamas, il regime iraniano e anche le formazioni estremiste di sinistra pro-Pal che stanno esultando per l’esito del negoziato.
Non solo, perché in preda all’esaltazione, i terroristi e i loro sostenitori tendono a invocare anche l’innalzamento del livello dello scontro: cosa ovvia, perché nel momento in cui percepiscono il negoziato come “vittoria della resistenza”, come “resa del nemico”, puntano a persistere nella lotta con maggior intensità.