Di tanto in tanto qualche sedicente esperto ha voluto mettere in dubbio la validità del sistema dei mandati internazionali in parallelo con lo scioglimento della Società delle Nazioni, nel 1946, e la sua sostituzione con il nuovo organismo internazionale denominato ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite).
La tesi è semplice: con lo scioglimento della S.d.N. tutti i suoi impegni ancora in essere, cioè i mandati ancora operativi hanno smesso di essere legalmente vincolanti per il diritto internazionale. Questa tesi la si è voluta applicare in modo particolare al caso di Israele che è il diretto e legale successore del Mandato per la Palestina. L’intento era chiaro: si voleva, in questo modo, tentare di sradicare le radici legali dello Stato ebraico che nel Mandato per la Palestina del 1923 e nella Conferenza di Sanremo del 1920 trovano le loro solide basi (oltre che nei trattati di Sevres, 1920 e Losanna, 1923).
Vediamo di fare un po’ di chiarezza su questo punto.
Che le disposizioni adottate dalla Società delle Nazioni fossero ancora operative lo si capisce già da come l’ONU stessa fu strutturata: le sue principali organizzazioni rimasero tutte in funzione e furono semplicemente “trasferite” nella nuova organizzazione mondiale. L’Assemblea Generale, il Consiglio di Sicurezza, il Segretariato e la Corte permanente di Giustizia Internazionale (che divenne la Corte Internazionale di Giustizia) solo per citare i più importanti organi, erano tutti già presenti nella Società delle Nazioni.
La più importante novità del passaggio tra un’organizzazione e l’altra, fu la decisione di riservare le risoluzioni vincolanti e in materia di sicurezza mondilae al solo Consiglio di Sicurezza. All’Assemblea Generale rimanevano solo le competenze vincolanti in materia di budget delle varie organizzazioni ONU.
Per quanto riguarda gli impegni vincolanti dei mandati in essere, il passaggio di competenza tra la S.d.N. e l’ONU fu assicurato con l’Art. 80 dello Statuto dell’ONU con il quale si incorporavano nella nuova organizzazione gli impegni vincolanti della prima. Di questo argomento si è trattato in modo dettagliato con un articolo pubblicato il 22 settembre 2020 su queste pagine.
Ora, qui si possono aggiungere alcune ulteriori considerazioni. La validità in essere dei mandati (che dopo la loro adozione da parte dell’ONU furono denominati “territori fiduciari internazionali”), per il tramite dell’Art. 80 dello Statuto dell’ONU, fu ribadita anche dal Consiglio di Sicurezza con la propria Risoluzione 276 del 1970 in occasione della disputa con il Sud Africa che occupava, ormai illegalmente, il territorio della Namibia, diventato un’amministrazione fiduciaria dell’ONU.
E’ da notare che il Sud Africa era stato scelto dalla Gran Bretagna per conquistare la Namibia perché confinava con l’ex colonia tedesca (si chiamava Territorio del Sud Ovest) durante la Prima guerra mondiale. All’epoca il Sud Africa non era uno Stato indipendente ma come Dominion era alle dipendenze della Corona britannica. Quando la Società delle Nazioni decise di creare il Mandato internazionale di Namibia nel 1920, il Sud Africa fu scelto come potenza mandataria. E il fatto che fino alla fine degli anni Sessanta la sua presenza nel territorio come potenza mandataria fosse considerata legale dimostra la validità dei mandati ancora in essere. Poi, il Consiglio di Sicurezza valutò che la Namibia avesse raggiunto un grado di autonomia che la potesse rendere indipendente e decise che il sistema fiduciario internazionale doveva cessare. A questo punto il Sud Africa si oppose a tale decisione cercando di fatto di annetterne tutto il territorio. Con la Risoluzione 276 si ribadì l’illegalità di questa occupazione e si intimò al Sud Africa di abbandonarne il territorio.
Sulla Risoluzione 276 si possono fare due ulteriori considerazioni. La prima concerne i confini. Il Consiglio di Sicurezza dichiarava che il Sud Africa doveva ritirarsi da tutto il territorio della Namibia, il quale avrebbe dovuto diventare indipendente entro i confini che aveva nel periodo mandatario. Suddetti confini dovevano essere considerati quelli legali secondo il principio dell’uti possidetis iuris. La seconda considerazione è relativa al fatto che questa risoluzione benché assunta in base al Capitolo VI e non VII dello Statuto dell’ONU è da considerarsi vincolante (unico caso registrato) in base all’Art. 25 dello Statuto. In merito all’Art. 25 ci sono diverse interpretazioni dei giuristi. L’Art. 25 recita: “I membri delle nazioni unite convengono nell’accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni del presente Statuto”. La prima parte, dell’articolo, sembra che dia ampio potere al Consiglio di Sicurezza di prendere decisioni vincolanti in base a questo articolo, però la dicitura “in conformità alle disposizioni del presente Statuto” può essere interpretata come la distinzione tra il Capitolo VI e il VII. Per molti giuristi, se in una risoluzione compare il verbo “decide” o ” dichiara” questa è vincolante. Ma non vi è unanimità di pensiero in merito.
Il ogni caso, la questione della Namibia fu confermata anche dalla Corte Internazionale di Giustizia (Namibia exception) nel 1971. La Namibia divenne indipendente solo nel 1990. Il caso della Namibia “fece giurisprudenza” a riprova che tutte le disposizioni della Società delle Nazioni ancora aperte nel 1945 erano considerate valide e vincolanti.