Editoriali

La truffa dell’UNRWA e la necessità di porvi fine

Sul grande palcoscenico della “causa palestinese” allestito cinquantuno anni fa dagli stati arabi in combutta con i laboratori di propaganda moscoviti, pochi elementi di scena hanno avuto più rilievo di quello dei rifugiati palestinesi, ovvero coloro i quali, circa 700,000, dovettero lasciare la Palestina come conseguenza della guerra del 1948.

Su di essi, costretti ad abbandonare le loro abitazioni sollecitati dagli arabi i quali promettevano un veloce sterminio degli ebrei, oppure cacciati dall’esercito israeliano che avanzava o semplicemente obbligati dalla paura, è stato poi costruito con dovizia il martirologio palestinese chiamato Nakba, catastrofe.

Esso è diventato nei decenni la delizia di pseudostorici come l’ideologo Illan Pappè, il quale ha imbastito tutta una carriera sulla tesi fraudolenta della pulizia etnica nei confronti degli arabi da parte dei “colonizzatori” ebrei. Un vero e proprio epos dell’espropriazione che fa sempre battere d’ardore i cuori di vecchi e giovani estimatori di Ernesto Che Guevara o, oggi, di Nicolas Maduro.

Il rifugiato palestinese è diventato icona ideologica, mito, e al pari dei pesci e dei pani evangelici ha continuato a moltiplicarsi senza sosta, esponenzialmente. Forse un giorno non lontano, tutti saranno, saremo, rifugiati palestinesi.

Il centro di questa grande truffa si chiama UNRWA, l’agenzia dell’ONU creata apposta per prendersi cura dei rifugiati effettivi, quelli della guerra del 1948, e diventata poi negli anni una vera e propria industria fondata sul principio dinastico della perpetuazione sine die. Gli arabi palestinesi sono gli unici al mondo a potere usufruire dello statuto di rifugiato per eredità. Non è cosa da poco.

Come evidenzia Efraim Karsh nel suo fondamentale The Privileged Palestinian “Refugees”(Middle East Quarterly Summer 2018 volume 25, May 14 2018)

“Il termine ‘rifugiato’ è stato messo tra virgolette relativamente ai palestinesi di cui attualmente l’UNRWA si prende cura per la semplice ragione che non corrispondono al concetto convenzionale di rifugiato, il quale interpreta questo fenomeno come una piaga temporanea che necessita di essere sanata in fretta. Già nel 1929, la Società delle Nazioni decise che il suo Ufficio Internazionale per i Rifugiati, avrebbe chiuso al massimo entro dieci anni. Il suo successore all’ONU, l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati, venne creata come un organo temporaneo che doveva terminare le sue attività entro la fine del 1950, mentre l’Ufficio per i Rifugiati  dell’Alto Commissariato era stato concepito inizialmente come una agenza che sarebbe dovuta durare dai tre ai cinque anni. Allo stesso modo, l’agenzia di Sostegno per i Rifugiati Palestinesi venne creata sulla premessa che il problema sarebbe stato risolto in un periodo di mesi e anche l’UNRWA venne creata come una agenzia che avrebbe dovuto avere vita breve, anche se il suo mandato venne velocemente perpetuato  trasformando in qualcosa di unico lo status di ‘rifugiato’ palestinese, rendendolo ereditario così da permettere in modo indefinito la sua applicazione ai discendenti dei rifugiati originari”.

In un recente intervento al Besa Center di Gerusalemme, Daniel Pipes ha sottolineato come l’età oggi del più giovane dei rifugiati del 1948 sia settanta anni, non a caso l’età stessa di Israele. Si tratterebbe quindi di circa 20,000 persone e non, ovviamente, di più di 5 milioni, essendo appunto lo status di rifugiato palestinese esteso indiscriminatamente e trasformato in una potente arma di ricatto nei confronti dello Stato ebraico. La logica dell’operazione è assai semplice. Se i rifugiati, i dispossessati arabi palestinesi, mantenuti tali dai paesi arabi che hanno sempre rifiutato loro la cittadinanza, hanno diritto di tornare in Israele e di vivere in un futuro Stato palestinese, bisognerà fare in modo che il loro numero sia esageratamente sproporzionato così da annientare l’ebraicità di Israele attraverso una massiccia sproporzione demografica.

Giunge dunque come una notizia assai propizia l’intenzione presunta dell’Amministrazione Trump di mettere fine a questa  palese truffa. Dopo avere congelato a gennaio, 65 milioni di dollari di fondi all’agenzia, ora si tratterebbe di operare al fine di smantellarla e di fare in modo che essa diventi parte di un unico organismo già esistente, l’UNHCR il cui scopo è quello di occuparsi dei rifugiati in generale.

Sarebbe questa un’operazione perfettamente in linea con la filosofia dell’Amministrazione Trump relativa alla gestione dell’agenda israelo-palestinese, quella cioè di smontare i fondali di scena e le finzioni e di mettere al loro posto la realtà, come è avvenuto con la dichiarazione di Gerusalemme capitale di Israele il 6 dicembre scorso e il conseguente spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv, o l’avere mostrato l’assoluta irrilevanza dell’Autorità Palestinese negoziando direttamente per un piano di pace con gli stati sunniti, Arabia Saudita in testa.

La fine dell’UNRWA, usata negli anni unicamente a scopo politico e mascherata da iniziativa umanitaria, sarebbe appunto un salutare passo avanti, consentirebbe agli effettivi rifugiati superstiti della guerra del 1948 di potere rientrare in Palestina se lo desidereranno, e di spogliare tutti gli altri, i milioni di finti rifugiati, del loro status fraudolento.

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