La vexata quaestio della presenza ebraica in alcune aree ad ovest del Giordano è tornata di attualità numerose volte in questi ultimi mesi, per diversi avvenimenti e ricorrenze che si sono succeduti dal novembre dello scorso anno.
Il primo tra questi è stato il discorso del Segretario di Stato Mike Pompeo, con il quale chiariva in modo lineare che la presenza ebraica in tutto il territorio ad ovest del Giordano è perfettamente compatibile con il diritto internazionale (più oltre entreremo nel dettaglio della fonte stessa del diritto). Questa dichiarazione è stata duramente condannata dalla UE e da numerosi altri Stati senza che nessuno di essi, peraltro, abbia fornito la benché minima plausibile prova dell’eventuale sbaglio giuridico. Il tutto si è, unicamente, come sempre, limitato a considerazioni politiche.
Successivamente sono state le dichiarazioni pre-elettorali di Netanyahu a porre l’attenzione mondiale su questo fazzoletto di terra: la precisa volontà del candidato Premier di estendere la sovranità israeliana al 30% del territorio di Giudea e Samaria (la così detta Area C uscita dalla penna degli Accordi di Oslo). Anche in questo caso la quasi totalità della comunità internazionale ha gridato allo scandalo e alla violazione del diritto internazionale. Ma anche questa volta senza mai menzionale la presunta violazione giuridica.
Il 25 aprile di quest’anno è stato il centenario della Conferenza di Sanremo con la quale si sanciva, per il diritto internazionale, la necessità e la legalità di una patria per il popolo ebraico nella terra di Israele. In ben pochi hanno posto il dovuto accento su questo primo e fondamentale atto di diritto internazionale ancora oggi perfettamente valido.
L’ultima (per ora) tappa, che ha riacceso i riflettori su questo minuscolo territorio, è stata la clamorosa retromarcia di Netanyahu che, contestualmente all’accordo di pace con gli Emirati Arabi (poi esteso al Bahrein), ha di fatto congelato la già annunciata estensione di sovranità sulla Area C di Giudea e Samaria.
Ma qual è la fonte del diritto internazionale ancora valida che deve essere utilizzata per capire la fondatezza delle rivendicazioni territoriali? L’unica fonte legalmente valida è il Mandato di Palestina approvato dalla Società delle Nazioni.
Il Mandato di Palestina fu approvato in maniera definitiva il 24 luglio 1922, dal Consiglio supremo della Società delle Nazioni e ratificato da tutti i 50 Stati che componevano la Società delle Nazioni (l’ONU dell’epoca) il 23 settembre 1922. Quindi, il Mandato di Palestina, essendo stato approvato da tutte le nazioni del mondo (di allora) – e questo vale anche per tutti gli altri 20 mandati costituiti – ha il valore di trattato internazionale vincolante cioè è fonte primaria del diritto internazionale. Poc’anzi si è sottolineato la differenza di data tra l’approvazione definitiva del Mandato (luglio 1922) e la sua ratifica (settembre 1922). Questa discordanza di date ha assunto, come vedremo, un valore fondamentale: infatti, il 16 settembre, la Gran Bretagna in qualità di potenza mandataria, sottopose al Consiglio della Società delle Nazioni – in base all’art. 25 del Mandato stesso – un memorandum (che fu immediatamente approvato) con il quale si divideva il Mandato in due unità amministrative distinte: il Mandato di Palestina propriamente detto e il territorio di Transgiordania affidato all’Emiro Abdallah (vedi cartina 1). Da questo momento in avanti furono creati, ufficialmente, i confini tra le due parti del mandato. Queste due aree mandatarie dovevano portare alla creazione di due Stati indipendenti: uno Stato per il popolo ebraico e uno per la locale popolazione araba. Questi due Stati divennero Israele (1948) e Giordania (1946).
In pratica l’unica fonte primaria del diritto internazionale – il Mandato Britannico per Palestina – oggi ancora valida, dichiara in modo inequivocabile che tutta la terra che va dal mar Mediterraneo al fiume Giordano era destinata al popolo ebraico per ricostruirvi la propria patria. Vediamo, nel Mandato stesso, dove si avvalorano queste conclusioni.
I collegamenti storici e legali, tra il popolo ebraico e la Palestina, individuati nel Mandato sono presenti: nel preambolo, nell’art. 2, nell’art. 4, nell’art. 6 e nell’art. 7.
Nel preambolo del Mandato si legge:
- Whereas recognition has thereby been given to the historical connection of the Jewish people with Palestine and to the grounds for reconstituting their national home in that country;
- Considerando che in questo modo è stato riconosciuto il legame storico del popolo ebraico con la Palestina e le ragioni per ricostituire la loro patria nazionale in quel paese;
Si evince immediatamente che il legislatore, quando decise di inserire nel preambolo del Mandato, la frase “ricostruire la loro casa nazionale” e non la frase “costruire la loro casa nazionale”, lo fece, intenzionalmente, per rafforzare il concetto di uno Stato vero e proprio in quanto già effettivamente esistito in passato. Di fondamentale importanza è anche la frase relativa alla “storica connessione” tra gli ebrei e la Palestina che diviene così appartenente all’intero popolo ebraico. Il Mandato perciò deve essere interpretato come lo “strumento” atto a ricreare le condizioni necessarie a ricostruire lo Stato del popolo ebraico in Palestina.
Il Mandato per la Palestina ha due distinti principi da portare a compimento: l’art. 22 dello Statuto della Società delle Nazioni e la Dichiarazione Balfour che sono entrambi incorporati nel Mandato (fanno parte del preambolo) e sono quindi legalmente vincolanti. Perciò se l’espressione “Jewish National Home” fosse solo un’espressione intesa a creare un mero “centro spirituale per gli ebrei” (come vogliono far credere alcuni giuristi) e non uno Stato vero e proprio non avrebbe senso l’art. 2 del Mandato che si riporta integralmente:
- The Mandatory shall be responsible for placing the country under such political, administrative and economic conditions as will secure the establishment of the Jewish national home, as laid down in the preamble, and the development of self-governing institutions, and also for safeguarding the civil and religious rights of all the inhabitants of Palestine, irrespective of race and religion.
- Il Mandatario avrà la responsabilità di porre il Paese sotto condizioni politiche, amministrative ed economiche tali da garantire l’istituzione della casa nazionale ebraica, come stabilito nel preambolo, e lo sviluppo di istituzioni di autogoverno, nonché di salvaguardare i diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina, indipendentemente da razza e religione.
A questo si può aggiungere che la Commissione Mandati della Società delle Nazioni, durante la 7° sessione nell’ottobre del 1925, ribadì in modo inequivocabile che la ragione stessa dell’esistenza del Mandato per la Palestina risiedeva nel portare avanti i “principi essenziali” contenuti nel Mandato stesso: la creazione di uno Stato ebraico e i principi dell’art. 22 dello Statuto della Società delle Nazioni. E che il Mandato è lo strumento per lo sviluppo economico e politico del paese per questo fine.
Va sottolineato che il Mandato per la Palestina, rispetto agli altri mandati di classe A, era dotato di scarsa autonomia (quasi ogni aspetto era delegato alla potenza mandataria). Ciò era dovuto al fatto che la popolazione locale era scarsa e frammentata nei suoi diversi gruppi etnici. La comunità ebraica – unico caso fra tutti i mandati – era intesa come quella già insediata in Palestina e quella vivente altrove ma facente parte integrante e “virtuale” della popolazione palestinese in base all’Art. 4, seconda disposizione, del Mandato, che si qui si riporta:
- The Zionist organization, so long as its organization and constitution are in the opinion of the Mandatory appropriate, shall be recognised as such agency. It shall take steps in consultation with His Britannic Majesty’s Government to secure the co-operation of all Jews who are willing to assist in the establishment of the Jewish national home.
- L’organizzazione sionista, fintanto che la sua organizzazione e costituzione sono considerate adeguate secondo il parere del Mandatario, sarà riconosciuta come tale agenzia. Essa adotterà misure in consultazione con il governo di Sua Maestà britannica per garantire la cooperazione di tutti gli ebrei che sono disposti a collaborare alla creazione della casa nazionale ebraica.
Questa disposizione fa intendere che il mandatario (la Gran Bretagna) è a tutti gli effetti un “amministratore provvisorio” di qualcuno che è “provvisoriamente assente”. Se ne deduce che gli obblighi della Gran Bretagna, in qualità di mandatario, sono rivolti sia verso la popolazione che già abita in Palestina sia verso chi ancora non vi si trova.
Mentre all’art. 6 si legge:
- The Administration of Palestine, while ensuring that the rights and position of other sections of the population are not prejudiced, shall facilitate Jewish immigration under suitable conditions and shall encourage, in co-operation with the Jewish agency referred to in Article 4, close settlement by Jews on the land, including State lands and waste lands not required for public purposes.
- L’Amministrazione della Palestina, pur assicurando che i diritti e la posizione di altre componenti della popolazione non siano pregiudicati, faciliterà l’immigrazione ebraica in condizioni adeguate e incoraggerà, in cooperazione con l’agenzia ebraica di cui all’articolo 4, uno stretto insediamento degli ebrei nella terra, comprese le terre demaniali e le terre desolate e non necessarie per scopi pubblici.
Dalla lettura dell’art. 6 del mandato si capisce in modo chiaro che agli ebrei è dato il diritto di “insediarsi” in tutto il territorio libero del Mandato, che come abbiamo visto in precedenza, dal settembre 1922 è stato circoscritto nella parte di territorio che va dal Mediterraneo al fiume Giordano (vedi cartina 2).
Con la costituzione, nel giugno del 1945, dell’ONU con il trattato di San Francisco e la successiva abrogazione della Società delle Nazioni, nel 1946, tutti i mandati ancora in essere furono riconosciti validi e incorporati dall’ONU con l’Art. 80 dello Statuto.
La validità legale di tale decisione è stata ribadita con la Risoluzione 276 del Consiglio di Sicurezza in occasione della disputa con il Sud Africa che occupava, ormai illegalmente, il Mandato di Namibia (diventato con la creazione dell’ONU un’amministrazione fiduciaria dell’ONU). Cosa ribadita anche dalla Corte Internazionale di Giustizia (Namibia exception) nel 1971. Quindi non ci sono dubbi sulla continuità del valore legale del Mandato di Palestina – e di tutte le sue disposizioni – dal 1922 al 1948 fino alla sua sostituzione con lo Stato di Israele che in base al principio legale dell’ uti possidetis iuris ne ha ereditato i confini. Neanche la quasi ventennale occupazione illegale di alcune sue porzioni di territorio, da parte di Giordania (Giudea e Samaria o Westbank) e Egitto (Striscia di Gaza), ne ha mai inficiato la rivendicazione legale da parte di Israele. In conclusione, come abbiamo potuto vedere, la presenza ebraica in tutte le terre ad ovest del Giordano fino al Mediterraneo (entro i confini mandatari stabiliti nel settembre 1922) fonda le sue radici legali in un trattato internazionale (il Mandato per la Palestina) ancora valido a tutti gli effetti con la creazione dello Stato di Israele che ne è il legale successore.