Interviste

La struttura soggiacente: intervista a Bat Ye’or

Bat Ye’or, ovvero «Figlia del Nilo», è autrice di studi pionieristici sulla condizione sociale delle minoranze religiose nel mondo islamico. È lei ad aver introdotto i termini «dhimmitudine» ed «Eurabia». Col primo si indica lo stato di sottomissione al dominio islamico di territori e popolazioni; col secondo la teoria geopolitica che mira alla fusione delle due sponde del Mediterraneo. I lavori di Bat Ye’or sono pubblicati in Italia dall’editore Lindau di Torino.

Nel suo lavoro, specialmente nel celebre Eurabia, lei ha messo in evidenza la natura antisionista e filo-araba dell’Unione Europea. Puoi spiegarci, in generale, quali sono gli interessi che legano l’Europa al mondo arabo?

Gli interessi sono variati dagli anni ’60, quando la strategia di Eurabia fu elaborata. Tuttavia, non è nata dal nulla. Già dalla Prima Guerra Mondiale, in termini energetici, il petrolio era un elemento essenziale dello sviluppo industriale ed economico per l’Europa e motivava una politica di avvicinamento euro-arabo. D’altra parte, la Francia e la Gran Bretagna erano imperi musulmani già nel XIX secolo, abitati da numerose popolazioni musulmane, le cui metropoli temevano l’ostilità religiosa. Dopo la decolonizzazione, i paesi europei vollero creare con i paesi musulmani una politica mediterranea privilegiata, che escludesse gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Questa strategia fu rivendicata dai circoli​ gollisti​ negli anni ’60 ed era accompagnata da una vasta gamma di relazioni commerciali, politiche, strategiche e culturali privilegiate.

Sul piano religioso, l’intero mondo cristiano, in particolare  il Vaticano, e il mondo musulmano si sono opposti al sionismo sin dalle sue prime manifestazioni. Solo pochi movimenti di minoranze cristiane erano a favore. Dopo la Dichiarazione di Balfour e la Dichiarazione di Sanremo (1920), che ratificarono la creazione di un futuro Stato Ebraico, si stabilì una collaborazione antisemita internazionale islamo-cristiana. Collaborazione che si manifestò alla Conferenza di Evian (1938) con il rifiuto dei paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, di accogliere gli ebrei tedeschi e austriaci perseguitati dal regime nazista. Nei paesi arabi, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, le masse arabe e musulmane si entusiasmavano del nazismo e del fascismo; i leader politici e militari arabi suggellarono alleanze con i nazisti, i fascisti e i collaborazionisti. Nel 1947, due anni dopo la pace, la giudeofobia era ancora diffusa in Europa, mantenuta dagli stessi funzionari collaborazionisti rimasti al loro posto dopo la guerra e legati ai popoli arabi dalla stessa ideologia di sterminio del popolo ebraico. La sopravvivenza di Israele dopo l’aggressione di cinque eserciti arabi ben equipaggiati ​militarmente e sostenuti in Palestina dalle milizie arabo-naziste di Amin al-Husseini (1947-1948), avvenne nonostante l’Europa. Tutti i documenti di quel periodo lo confermano. Da qui la creazione di un organo del tutto speciale, l’UNRWA, per accogliere gli arabi della Palestina che fuggivano dai combattimenti nei paesi arabi fratelli di cui avevano preteso l’intervento militare per sterminare gli ebrei.

​Dal 1967-1969 vediamo la rinascita, nella Francia gollista, di queste reti di collaborazione euro-arabe forgiate dall’alleanza dei nazisti con i popoli arabi nella comune​ volontà politica genocidaria​ del popolo ebraico. Questa situazione è stata denunciata e combattuta da intellettuali e politici. Il 15 dicembre 1973, a Copenhagen, i nove paesi della Comunità Europea presero ufficialmente le parti dell’OLP e nel settembre del 1977 una dichiarazione in tal senso venne fatta all’ONU. Oramai, gli arabi di Palestina, Arafat e l’OLP incarnano l’arma di distruzione dello Stato d’Israele in favore del movimento antisemita europeo che, sotto la copertura di antisionismo, può esprimersi apertamente nel contesto di una politica convergente dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri. Questa tendenza diventa molto popolare in Europa ed è una mappa essenziale della sua politica.

L’Unione Europea si è dimostrata ostile alle sovranità nazionali, considerate eredità di un passato da abbandonare a favore di istituzioni sovranazionali. Israele, al contrario, è uno stato nazionale geloso della sua indipendenza e dotato di una forte identità. In che misura ritiene che i pregiudizi antinazionali dell’Unione Europea abbiano pesato sulla sue relazione con lo Stato Ebraico?

Non credo che questi pregiudizi antinazionali abbiano avuto molta influenza sull’antisionismo europeo. L’Europa stessa promuove un nazionalismo inesistente, lo pseudo-palestinismo, che ha creato e sostiene a suon di miliardi. D’altra parte, tutti i paesi arabi sono ultra-nazionalisti, così come la Turchia, la Cina, il Giappone e molti altri paesi. L’Unione Europea vuole sopprimere le frontiere del suo continente, riprendendo un progetto creato nel 1938 da Walter Hallstein che promuoveva un’Europa senza frontiere guidata dal 3 ° Reich e Judenrein. Hallstein, che fu un eminente nazista, fu eletto dai leader europei primo presidente della Commissione europea (1956-67).

Nonostante il fallimento del comunismo, l’internazionalismo fu promosso dai partiti di sinistra. Bruno Kreisky, presidente dell’Internazionale socialista E diventato cancelliere austriaco (1970-83), rafforzò i legami della sinistra occidentale con il mondo islamico. Egli fu il primo statista a invitare Arafat alle Nazioni Unite e a dare una legittimità all’OLP, il cui progetto di sradicamento dello Stato Ebraico fu incarnato dal suo leader, Yasser Arafat, sostenuto dall’Unione Sovietica. Io credo che sia stato il progetto di Hallstein insieme alla politica di fusione e di collaborazione con il mondo arabo a determinare la retorica di un’Europa senza frontiere dall’insieme dei movimenti politici europei. I documenti dell’epoca menzionano la volontà di creare un potente blocco europeo in grado di competere con l’America che sarebbe collegato con gli Stati produttori di petrolio.

Quale futuro geopolitico e demografico prospetta per il Vecchio Continente?

Se le decisioni politiche prese dal 1973 che posero in essere la guerra nascosta dell’UE contro Israele – svelata pubblicamente dalla  politica di Donald Trump nel corso della sua presidenza – e che sono state la base dei meccanismi dell’immigrazione musulmana di massa in Europa, con le trasformazioni sociali, religiose, legali e culturali conseguenti, saranno mantenute dalla élite al potere, il futuro è chiaro. Sarà quello del Libano, del declino dell’Europa​ nella​ dhimmitudine. Già da molto tempo il terrore jihadista ha soppiantato l’inviolabilità dei diritti umani in Europa, incluso il diritto elementare di ciascuno alla sicurezza.

Può approfondire questo parallelo col Libano?

Le nostre società sono​ fratturate​ dall’adesione di milioni di immigrati alla Sharia e dai loro legami con i loro paesi di origine ostili all’Occidente e alla sua civiltà giudeo-cristiana. La partecipazione europea allo jihad contro Israele ha pervertito i valori occidentali a tutti i livelli e diffuso i concetti islamici della cultura e della storia, che oggi impregnano l’Europa. Questa politica fu scientemente concepita, studiata e applicata in tutti i campi, dai comitati congiunti euro-arabi del Dialogo Euro-Arabo creati nel 1974 a Parigi sotto l’egida della Commissione europea, ed è il motivo per cui i capi di stato hanno piena responsabilità per le sue conseguenze. Dal 1973 l’Unione Europea ha instaurato un rapporto di vassallaggio con l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, da cui derivano alcuni vantaggi economici nel breve termine a scapito dei suoi interessi nel lungo termine.

In tutta Europa, compresa l’Italia, gli intellettuali che criticano l’Islam e il multiculturalismo sono censurati, denunciati e messi a tacere. Basti pensare a Robert Redeker, Eric Zemmour, Georges Bensoussan, Magdi Allam e molti altri. Quale sarà il ruolo del dissenso intellettuale nell’emergente Europa post-identitaria?

Io stessa sono stata criminalizzata senza prove, vittima di incitamenti all’odio e di ingerenze illegali ed erronee nella mia vita privata. Queste sono accuse, che non subiscono nemmeno i criminali protetti dalla presunzione di innocenza, hanno reso necessarie misure di protezione. Tale azione piena di odio mirava a screditare tutte le mie ricerche sulla dhimmitudine e la sua espansione in Europa tramite le reti del dialogo euro-mediterraneo guidate dalla Commissione europea e dalla Lega araba. Il totalitarismo intellettuale imposto dal pensiero unico e refrattario a tutte le riflessioni che lo contraddicono mi ha messa al bando dalla società. Essendo ebrea sono stata accusata di complottismo, un’accusa razzista contro gli ebrei proveniente dagli antisemitismi cristiani, ma ancora più virulenta nell’Islam. Pertanto mi considero vittima di un razzismo giudeofobico che ha sporcato il mio onore e la mia reputazione professionale.

Il ruolo della dissidenza intellettuale dovrà seguire criteri specifici in un’Europa che ha già adottato e integrato a livello sociale, giuridico, culturale e politico, alcuni vincoli della Sharia, dei concetti e comportamenti musulmani tradizionali nei confronti dei dhimmi, dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani accusati di apostasia, nei confronti delle donne e​ del Dar al-Harb,​ il​ territorio ​della miscredenza. A ciò si aggiunge una visione della storia e dei diritti dell’uomo secondo i principi della Sharia, vale a dire della fede e quindi, fondamentalmente, opposti ai criteri occidentali. Inoltre, sarà necessario conoscere l’ideologia jihadista che introduce l’inversione delle nozioni di aggressore e di aggredito, d’innocenza e di colpa, di giustizia e di crimine.

Cosa dovranno fare gli intellettuali?

La dissidenza intellettuale dovrà definire i suoi obiettivi: difendere i suoi diritti democratici e i valori etici della civiltà giudaico-cristiana occidentale. Dovrà conoscere il suo campo di battaglia, che è quello di una dhimmitudine che lei rifiuta per rimanere libera e sfuggire al destino degli ebrei e dei cristiani ridotti allo stato di fossili dalle leggi del jihad e del dhimmitudine. Dovrà integrare e comprendere queste nozioni nella loro storicità e nella loro nocività politica attuale e individuare i loro canali di trasmissione, generalmente legati alla corruzione e all’antisemitismo. Dovrà accogliere i musulmani che prendono parte a questa guerra, perché non è una guerra contro l’islam, è una guerra per mantenere le nostre libertà e le nostre identità. I popoli d’Europa hanno il diritto di rifiutare la dhimmitudine. Tuttavia, tutto ciò di cui vi sto parlando è completamente ignorato dal grande pubblico e dagli intellettuali. E non ci si può opporre a qualcosa che non si vede, che non si capisce e per la quale non esiste una definizione. Ecco perché temo che quella che dovrebbe essere una battaglia di idee si trasformi in una confusione violenta che farà molte vittime innocenti senza portare progressi.

Nel suo libro più famoso, Eurabia, ha anche toccato il tema dell’islamizzazione dei patriarchi biblici e di Gesù. Un movimento che ha espresso posizioni anti-israeliane e antisemite, Black Lives Matter, denuncia le rappresentazioni “bianche” di Gesù. Vede, in questo atteggiamento, un nuovo tentativo di espropriare gli occidentali dalla loro cultura?

Il movimento Black Lives Matter è un movimento violento infiltrato dall’islamismo e dal palestinismo, che sfruttano uno storico conflitto americano per incitare all’odio contro i cristiani, gli ebrei e in generale contro i bianchi americani, al fine di seminare il caos attraverso conflitti razziali e etnici per distruggere l’America. La denuncia di Gesù “bianco” aggiunge un elemento razziale alla giudeofobia e alla cristianofobia islamica che islamizza la Bibbia, cioè le basi dell’ebraismo e del cristianesimo, per impiantarci l’Islam. Molti afroamericani si oppongono a questo movimento che ha incendiato anche le capitali europee. Personalmente, non avrei alcuna obiezione alla rappresentazione umana di Gesù sotto una forma africana se ciò può servire ad avvicinarlo ai cristiani africani. Per i credenti cristiani Gesù​ è​ Dio incarnato e il suo messaggio come ebreo è universale.

Mi permetta un’osservazione sul mio libro​ Eurabia. È forse il più famoso, ma non è il più importante per me. Attribuisco questo ruolo a​ Il Declino della Cristianità sotto l’Islam, dal jihad alla dhimmitudine​, perché è lì che definisco il concetto cruciale di dhimmitudine come caratteristica storica delle popolazioni sconfitte dal jihad in tre continenti, L’Africa, L’Asia e L’Europa. Lì sviluppo gli argomenti e fornisco I criteri. Per me Eurabia è stato uno studio delle manifestazioni della dhimmitudine nel ventesimo secolo in alcuni paesi europei che non furono conquistati dal jihad e i cui governi l’hanno accolta con entusiasmo. Eurabia esamina principalmente la Francia, ma un’analisi degli altri paesi della comunità, l’Italia ai tempi di Aldo Moro  (Lodo Moro) e di Giulio Andreotti, della Gran Bretagna, dei paesi scandinavi, in particolare della Norvegia (non membro della UE), darebbe un’immagine molto più cupa.

Lei ha conosciuto Oriana Fallaci? Puoi dirci qual è il suo ricordo della grande giornalista italiana?

Non ho mai incontrato Oriana. Si è messa in contatto con me qualche tempo prima di morire attraverso un amico comune che conosceva il mio lavoro e le ha dato il mio indirizzo. Oriana mi scriveva spesso per informazioni. Soffriva enormemente per non poter tornare in Italia e soprattutto per l’odio che il mondo politico aveva per lei in quel momento, lei capiva molto bene cosa sarebbe successo in futuro. L’incubo che aveva di vedere distruggere la magnifica Italia con i suoi monumenti, le sue opere d’arte, la ricchezza senza pari del suo patrimonio storico, la tormentava incessantemente. Ho provato a consolarla, ma non sono sofferenze che le parole possano lenire.

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