Allo stato presente la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza, l’ultimo capitolo della guerra di delegittimazione, nei confronti, di Israele. Questa Risoluzione fu fatta approvare, espressamente, per volontà del Presidente USA Barack Obama, e fu tra gli ultimi atti compiuti dalla sua amministrazione nel 2016 a poche settimane dall’insediamento dell’amministrazione Trump. E’ da sottolineare che è prassi consolidata, dei presidenti americani uscenti, non prendere decisioni dal forte impatto politico negli ultimi mesi di mandato per non mettere in difficoltà l’amministrazione entrante. Negli USA questa situazione politica tra l’insediamento di una nuova amministrazione e le ultime settimane di quella uscente è conosciuta come lame duck. Ma questa fu un’eccezione.
La Risoluzione 2334 “riafferma l’illegalità” della presenza israeliana nei territori “occupati” nella guerra del 1967, compresa Gerusalemme Est, qui definiti “territori palestinesi” fin dal 1967.
La prima considerazione che si può fare, relativamente, a questa risoluzione è di carattere politico. Essa fu, a tutti gli effetti, una “vendetta” di Obama e del suo segretario di Stato John Kerry – che è il vero artefice di questo “obbrobrio” diplomatico – nei confronti di Israele considerato l’unico responsabile del fallimento delle trattative di pace con i palestinesi. Nonostante lo Stato ebraico si sia sempre dimostrato disponibile a incontrare la delegazione palestinese per raggiungere un’intesa tra le parti (come sancito dagli accordi di Oslo) fu accusato di mantenere posizioni troppo “rigide”. Ma come sono andati relamente i fatti negli ultimi dodici anni?
Da parte palestinese, dopo il rifiuto della proposta di Ehud Olmert del 2008, con la quale il premier israeliano aveva proposto la cessione ai palestinesi del 90% della Giudea e Samaria, di Gerusalemme Est nella modalità formulata già dal suo predecessore Ehud Barak e già rifiutata da Yasser Arafat nel 2000, le posizioni si cristallizzarono su altre questioni (queste posizioni i palestinesi le davano ormai per scontate), cioè il “diritto” al ritorno dei profughi palestinesi, che ormai sono oltre 5 milioni, il che equivarrebbe alla distruzione di Israele, lo smantellamento degli “insediamenti ebraici nella West Bank” (come vengono definiti dagli interlocutori palestinesi) e l’espulsione in massa dei suoi abitanti. Va sottolineato che nessuna di queste richieste si trova negli Accordi di Oslo del 1993-1995 sottoscritti dai palestinesi.
Malgrado ciò, agli occhi della comunità internazionale è Israele ad avere una posizione rigida, ne consegue che tutte le pressioni diplomatiche sono state fatte solo sul governo israeliano, soprattutto da parte americana. Da parte israeliana si è avuta la disponibilità, prima al “congelamento” delle costruzioni in Giudea e Samaria per dieci mesi. Poi la liberazione di oltre un migliaio di terroristi condannati in via definitiva come ulteriore “gesto di buona volontà”. Ma né nel primo caso né nel secondo, i palestinesi si sono presentati al tavolo delle trattative. La motivazione era di volta in volta diversa, l’ultima, in ordine di tempo da parte della diplomazia palestinese, fu il tentativo di imporre a Israele delle “precondizioni” che erano indispensabili per tornare al tavolo delle trattative. Le principali erano: il ritorno dei profughi, il ritorno ai “confini del ’67” e lo smantellamento delle “colonie”. C’è da osservare che se Israele avesse accettato tali precondizioni, non si capisce che cosa rimanesse da discutere. Forse l’esistenza stessa di Israele?
In questo contesto, l’allora Segretario di Stato dell’amministrazione Obama, John Kerry, in pieno accordo con l’ex presidente americano, decise di sbloccare l’impasse utilizzando a questo scopo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Nacque così l’idea della Risoluzione 2334 del dicembre 2016, la qualem non solo è in flagrante contraddizione con gli Accordi di Oslo, ma di fatto li annulla.
I seguenti sono i punti principali della risoluzione:
[…]
““1. Reaffirms that the establishment by Israel of settlements in the Palestinian territory occupied since 1967, including East Jerusalem, has no legal validity and constitutes a flagrant violation under international law and a major obstacle to the achievement of the two-State solution and a just, lasting and comprehensive peace.
“2. Reiterates its demand that Israel immediately and completely cease all settlement activities in the occupied Palestinian territory, including East Jerusalem, and that it fully respect all of its legal obligations in this regard.
“3. Underlines that it will not recognize any changes to the 4 June 1967 lines, including with regard to Jerusalem, other than those agreed by the parties through negotiations.
“4. Stresses that the cessation of all Israeli settlement activities is essential for salvaging the two-State solution, and calls for affirmative steps to be taken immediately to reverse the negative trends on the ground that are imperilling the two-State solution.
[…]
Questa ne è la traduzione:
“1. Ribadisce che l’istituzione da parte di Israele di insediamenti nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme est, non ha validità legale e costituisce una flagrante violazione ai sensi del diritto internazionale e è un grave ostacolo al raggiungimento della soluzione dei due Stati e di una giusta, duratura e generale pace.
“2. Ribadisce la sua richiesta che Israele cessi immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nel territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme est, e che rispetti pienamente tutti i suoi obblighi legali in tal senso.
“3. Sottolinea che non riconoscerà alcun cambiamento alle linee del 4 giugno 1967, anche per quanto riguarda Gerusalemme, diverso da quelle concordate dalle parti mediante negoziati.
“4. Sottolinea che la cessazione di tutte le attività di insediamento israeliane è essenziale per il salvataggio della soluzione a due Stati e chiede che siano prese immediatamente misure positive per invertire le tendenze negative sul terreno che stanno ostacolando la soluzione a due Stati.
[…]
Leggendo questa risoluzione, la prima impressione che si ha, è che chi l’ha redatta abbia agito più di “pancia” che di testa, tanti sono gli errori storici, quelli legali e di contenuto. Per prima cosa, affermare che Israele “occupi territori palestinesi dal 1967” (nel punto 1) significa che fino al 1967 e all’”occupazione israeliana” c’era uno Stato palestinese, il quale in realtà non è mai esistito, visto che il territorio in questione era occupato dalla Giordania, anche se ciò non faceva scandalo ma era in aperta violazione del diritto internazionale, in quanto occupato con una guerra di aggressione. In base al Mandato britannico per la Palestina del 1922 (art. 6) il suddetto territorio era legalmente destinato agli ebrei e quindi a Israele, come ribadito dallo Statuto del’ONU in base all’art. 80. Affermare che esistano dei “territori palestinesi occupati dal 1967” non ha nessun senso giuridico ma ne ha uno esclusivamente politico: cioè si sono già definiti i confini della contesa. Perciò che senso hanno le trattative di pace e gli Accordi di Oslo?
Al punto 2 della Risoluzione si riafferma l’obbligo di Israele di cessare tutte le attività di costruzione “degli insediamenti”. Quindi anche di quelli situati nell’area C sotto l’esclusivo controllo israeliano come sancito negli accodi di Oslo. In questo modo si invalidano gli accordi stessi, che è bene ribadirlo, vedono tra i garanti gli USA e l’ONU stessa, che, con la Risoluzione 2334 rinnegano, di fatto il loro ruolo di garanti.
Il punto 3 di fatto contraddice quanto espresso nei punti 1 e 2, e pone l’accento sulla necessità di negoziare l’assetto futuro dei territori compresa Gerusalemme. Negoziati che devono avvenire tra le parti e non “imposte” da altri.
Il punto 4 ribadisce che è essenziale sospendere le “costruzioni degli insediamenti” per il “salvataggio della soluzione dei due Stati” ma né gli Accordi di Oslo né nessun altro accordo sottoscritto da Israele prevede che le trattative portino necessariamente alla “soluzione dei due Stati”. Questa è semplicemente una delle soluzioni possibili. Lo status definitivo sarà concordato, tra le parti, al termine dei negoziati e non prima ne durante gli stessi. Essendo le trattative in stallo parlare di una soluzione dei due Stati è del tutto prematuro, e preordina la conclusione dei negoziati secondo un paradigma già stabilito a priori.
La Risoluzione 2334 ci riserva altre sorprse. Nel preambolo si fa riferimento a: “transfer of Israeli settlers, confiscation of land, demolition of homes and displacement of Palestinian civilians”, (“trasferimento dei coloni israeliani, confisca della terra, demolizione di case, spostamento di civili palestinesi”). Questa affermazione sembra cucita apposta prendendola dallo Statuto della Corte Penale Internazionale. Gli USA però non hanno mai ratificato l’istituzione di tale organismo perché palesemente utilizzabile come arma politica. Risulta, perlomeno, contraddittorio che gli USA adesso ne utilizzino un articolo perché ben si adattava, per la formulazione della Risoluzione, alla loro posizione anti israeliana.
Mentre è del tutto fuori contesto la frase “demolition of homes and displacement of Palestinian civilians”, la quale sembra riferirsi ad demolizioni arbitrarie e allo spostamento di popolazione con chiaro intento di cambiare la natura demografica del territorio, invece che, ai pochi casi di demolizione di costruzioni abusive e senza autorizzazioni, nelle aree di esclusiva competenza e controllo israeliano sancite dagli Accordi di Oslo (area C), come, del resto, accade in tutti i paesi civili, dove l’abusivismo edilizio non è tollerato. Ma anche in questo caso ci sono due pesi e due misure.
Prendendo alla lettera la seguente frase della risoluzione: “Reaffirms that the establishment by Israel of settlements in the Palestinian territory occupied since 1967, including East Jerusalem, has no legal validity” (“Si riafferma che la costruzione di insediamenti da parte di Israele nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non ha validità legale”) la prima cosa che viene da pensare è che questa posizione del Consiglio di Sicurezza, quindi di ONU, USA, Russia che sono tra i garanti degli Accordi di Oslo di fatto annullano gli Accordi sanciscono invece la piena legalità della presenza israeliana in alcune aree dei territori e precisamente l’area C e B.
L’ultima e definitiva considerazione che si può fare relativamente alla Risoluzione 2334 è che non è vincolante e quindi non ha valore legale.