Diritto e geopolitica

La Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU: Mito e realtà.

La Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU è senz’altro tra le più conosciute e mal interpretate risoluzioni emesse dal Palazzo di Vetro. Su questa risoluzione si sono volute prendere posizioni politiche che ancor’oggi hanno una enorme valenza – basti pensare alla questione di Gerusalemme capitale di Israele mai riconosciuta dalla comunità internazionale – o posizioni palesemente false come l’accusa a Israele di “occupare illegalmente” il territorio palestinese.

Va ricordato che la Risoluzione 181, quando fu approvata, nel novembre del 1947, fu accolta molto favorevolmente sia dalla popolazione ebraica mandataria sia da quella sparsa nella Diaspora. Sebbene rappresentasse l’ennesima decurtazione del territorio assegnato agli ebrei nel 1920, la risoluzione era considerata da quest’ultimi meglio dell’ormai intollerabile occupazione britannica. In questo senso essi si dimostrarono favorevoli alla spartizione proposta, come lo erano già stati nel caso della separazione della Transgiordania, e perfino alla proposta della Commissione Peel del 1937 che sottraeva al popolo ebraico circa il 70% del Mandato approvato nel 1922.

Occorre ripercorre alcune tappe salienti.

Lo Stato di Israele dichiara la propria indipendenza il 14 maggio 1948, e viene ammesso all’ONU l’undici maggio 1949 con le Risoluzioni 69 del Consiglio di Sicurezza e 273 dell’Assemblea Generale, come cinquantanovesimo Stato membro.

Comunemente si crede che lo Stato di Israele sia nato in seguito alla Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU. Ma questa convinzione è del tutto errata.

Le risoluzioni del Assemblea Generale dell’ONU non sono vincolanti per il diritto internazionale. Quando l’Assemblea Generale, con la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947, decise la spartizione del territorio del Mandato britannico di Palestina, non fece altro che una “raccomandazione” alla Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria, di procedere alla spartizione territoriale del Mandato (vedi cartina 1), così come era stata suggerita dalla commissione ONU, l’UNSCOP, incaricata di studiare come risolvere il problema di convivenza tra ebrei e arabi all’interno del territorio mandatario.

 

La Gran Bretagna decise di non proseguire con l’incarico a causa del rifiuto arabo alla soluzione proposta. Inoltre, e cosa più importante, per rendere vincolante questa “raccomandazione” i due soggetti ­ ebrei e arabi – coinvolti nella spartizione, avrebbero dovuto dare il loro assenso. Gli ebrei accettarono mentre gli arabi apposero un netto rifiuto che prese poi la forma della guerra. In conclusione, la Risoluzione 181 rimase lettera morta a causa del il rifiuto arabo. In aggiunta, come recita il comma a) della 181, il Consiglio di Sicurezza avrebbe dovuto prendere tutte le misure necessarie per implementare questa Risoluzione, cosa che non avvenne. Oltre a ciò, il comma c) della medesima, dichiarava che ogni tentativo di alterare con la forza le disposizioni della Risoluzione, era da considerarsi una «minaccia alla pace» e un «atto di aggressione» che il Consiglio di Sicurezza avrebbe dovuto punire in base al Capitolo VII dello Statuto (vedi documento 1), cioè con l’uso della forza, cosa che non avvenne.

 

Va sottolineato che la Risoluzione 181, non è più citata in nessuna risoluzione successiva concernente Israele, gli arabi e i “territori”, ad ulteriore riprova del suo valore nullo. Basta fare una comparazione con la Risoluzione 242 del 1967 che è la base – ed è sempre citata – di tutte le successive risoluzioni concernenti Israele, e dei trattati di pace con Giordania, Egitto e degli accordi di Oslo. Questa comparazione fa comprendere bene quando una risoluzione è fondamentale per tutti i successivi sviluppi politico-diplomatici e quando, invece, perde del tutto il suo valore.

La Risoluzione 181 è ancora oggi usata a pretesto da moltissimi Paesi per non riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele. Anche questa tesi è completamente falsa.

Come specificato, la 181, non ha nessun valore legale. Quindi tutte le sue parti non hanno valore. Nello specifico la questione di Gerusalemme, veniva disciplinata nella parte III ad essa dedicata. La Risoluzione prevedeva che la città non fosse assegnata a nessuna delle due parti, né tantomeno che fosse divisa, ma semplicemente, dovesse essere un “corpus separatum” amministrato direttamente dalle Nazioni Unite (vedi documento 2). Tutti però si dimenticano che al punto D, sempre nella parte III, è specificato che questa disposizione era di durata limitata e che, dopo 10 anni dalla sua entrata in vigore, doveva essere effettuato un referendum tra gli abitanti di Gerusalemme per decidere se la città dovesse essere annessa allo Stato degli ebrei o a quello degli arabi (vedi documento 3). E’ da tener presente che la maggioranza della popolazione residente a Gerusalemme già era ebraica da molti anni. In ogni caso l’invasione giordana della città ne rese nulla la disposizione. Infine, è altresì utile ricordare che è diritto di tutti gli Stati riconosciuti e membri dell’ONU, decidere quale debba essere la propria capitale. Israele ha scelto Gerusalemme. Non è dato comprendere perché questa regola debba valere per tutti gli Stati riconosciuti con l’eccezione di Israele.

 

Proviamo a riassumere la situazione del 1948, al momento della formalizzazione della rinuncia della Gran Bretagna nel volere proseguire con il Mandato per la Palestina. Vista l’inapplicabilità della Risoluzione 181, concernente la spartizione della Palestina a causa del rifiuto arabo e successivamente dell’invasione araba del territorio, ciò che rimaneva vincolante per il diritto internazionale, erano le disposizioni mandatarie sancite dalla Società delle Nazioni e fatte proprie dall’ONU con l’art. 80 del suo Statuto: cioè erano gli ebrei i soggetti legittimati – per il diritto internazionale – alla costituzione del loro Stato che decisero di chiamare Israele. Inoltre, come illustrato in precedenti articoli, la norma del diritto internazionale (Principio della successione degli Stati) prevede che un nuovo Stato ricalchi i confini dell’entità amministrativa che lo ha preceduto – come per tutti gli altri casi verificatesi nel mondo – Israele quindi aveva e ha diritto ai confini pieni della Palestina mandataria.

Il diritto internazionale non prevede in maniera chiara e definitiva come comportarsi se una parte del territorio mandatario sia occupata illegalmente da un Paese terzo, come nel caso di Giordania ed Egitto con Giudea, Samaria e Striscia di Gaza. Si può, però, affermare con certezza che Israele ha un “diritto di rivendicazione” maggiore rispetto a quello dei paesi che occuparono illegalmente quei territori. Giordania ed Egitto hanno rinunciato ad ogni rivendicazione territoriale quando hanno firmato i trattati di pace con Israele, e, per il diritto internazionale, i trattati sono da considerarsi vincolanti.

Gli altri atti legali fondamentali per la creazione dello stato di Israele furono la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 73 del 1949, che sanciva l’obbligatorietà di un accordo tra le parti per dirimere tutte le questioni ancora aperte, e i trattati di cessate il fuoco firmati nel 1949 con Libano, Siria, Giordania ed Egitto. Va sottolineato che questi accordi, per espressa volontà araba, non sancirono i confini del nascente Stato di Israele, ma fissarono solo delle linee armistiziali e perciò non definitive.

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