Alla luce delle violente critiche rivolte al neo-eletto governo Netanyahu in merito all’annunciata riforma della giustizia, presentata dall’opposizione come un attentato alla democrazia, riproponiamo ai nostri lettori un articolo di Niram Ferretti del 2019, da cui emerge evidente che ci troviamo al cospetto di un vecchio copione con i soliti attori e il solito frasario. Già nel 2019 l’autore dell’articolo sottolineava come la riforma della giustizia in Israele fosse dovuta e non fosse ancora stata messa in atto, e auspicava che l’allora governo riuscisse a vararla. Non accadde. Ora sembra, finalmente, l’occasione giusta. La necessità della riforma è spiegata con chiarezza nell’articolo.
(N.d.R)
La volontà espressa da Benjamin Netanyahu di volere riformare l’impianto giudiziario israeliano fa subito urlare a un attentato alla democrazia. Fu così già nel 2015, quando l’allora ministro della Giustizia, Ayelet Shaked annunciò il suo programma di riforma.
E’ il riflesso pavloviano degli oppositori, i quali, in campagna elettorale e assai prima, hanno dipinto Netanyahu a colori forti, paragonandolo a Ceausescu (Ehud Barak) o a Erdogan (Benny Gantz). Nonostante ciò, le urne hanno nuovamente premiato il futuro dittatore consegnando al Likud una smagliante vittoria, come non avveniva dal 2003.
La riforma della giustizia, o meglio, la riforma dei poteri della Suprema Corte di Israele, quella che il giurista di sinistra già membro di Meretz, dunque certo non un falco di destra, Amnon Rubinstein ha definito “uno stato nello stato”, dovrebbe avrebbe luogo con il prossimo esecutivo ancora in formazione.
Sotto la presidenza di Aharon Barak dal 1995 al 2006, la Corte si è progressivamente trasformata in un organo imperiosamente decisionista, condizionando e limitando in un modo che non ha paralleli con nessun altro Stato democratico il potere esecutivo e quello legislativo.
Ciò è avvenuto in virtù di una debolezza di Israele, quella di non possedere di fatto una costituzione vera e propria ma una serie di leggi cosiddette base, che ne fanno le veci. Ed è dunque in virtù di esse che Aharon Barak ha trovato il modo di forzare la “clausola delle limitazioni” contenuta nella legge Base sulla Dignità Umana e la Libertà del 1992, e stabilire che essa arginerebbe la facoltà del Parlamento di passare delle leggi che, a suo parere, la violerebbero. Tutto ciò ha fatto si che la Corte Suprema, sotto la lunga tutela di Barak si sia fatta organo supplente della Knesset attraverso un attivismo che ha inciso in profondità sulla sua operatività legislativa e continui a farlo fino ad oggi.
In questo senso custodi ultimi della interpretazione della “dignità umana e della libertà”, sarebbero unicamente i giudici secondo il loro insindacabile giudizio. Essi avrebbero piena potestà non solo sul ramo legislativo ma anche su qualsiasi azione dell’esecutivo, considerata non consona.
Come ha scritto il giurista americano Richard Posner in un articolo apparso su The New Republic nel 2007, la concezione dell’ex presidente della Corte Suprema e suo plasmatore, prevede che:
“I rami dell’esecutivo e dell’legislativo non abbiano alcun grado di controllo sul ramo giudiziario…il potere giudiziario è illimitato e la legislatura non può rimuovere i giudici“.
Si tratta di una situazione che non ha precedenti in nessuna altra democrazia, e sicuramente non in quella americana, come non ha precedenti il fatto che solo in Israele i giudici della Corte Suprema abbiano il potere di veto sulla nomina di altri giudici. Ciò che rende Israele ulteriormente assai speciale in merito all’azione della Suprema Corte è che, rispetto ad altre democrazie, dove le istanze che possono essere presentate dinanzi all’ultimo grado di giudizio è assai circoscritto, esse non trovano alcun limite dinanzi alla funzione da lei svolta.
E’ sempre Richard Posner a sottolinearlo:
“Ogni cittadino può chiedere a un tribunale di bloccare l’azione illegale da parte di un funzionario governativo, anche se il cittadino non ne è personalmente colpito; qualsiasi azione governativa che sia “irragionevole” è illegale (“in parole povere, l’esecutivo deve agire ragionevolmente, perché un atto irragionevole è un atto illecito”); un tribunale può proibire al governo di nominare un funzionario che ha commesso un reato (anche se è stato graziato) o che è messo sotto esame etico in un altro modo, e può ordinare il licenziamento di un ministro se deve affrontare un procedimento penale. In nome della “dignità umana” un tribunale può costringere il governo ad alleviare i senzatetto e la povertà e un tribunale può revocare gli ordini militari e decidere “se impedire il rilascio di un terrorista nel quadro di un ‘accordo politico’, e indirizzare il governo nello spostare il muro di sicurezza che impedisce ai kamikaze di entrare in Israele dalla Cisgiordania”.
La Suprema Corte israeliana è di fatto una istituzione castale e autoperpetuante, la quale risponde solo a se stessa e ha poteri che in altre democrazie sono delegati all’esecutivo.
Tuttavia, secondo il professor Mordechai Kremitzner, la Knesset verrebbe meno frequentemente nei confronti della “sua responsabilità di proteggere il pluralismo religioso, le libertà civili e i diritti dei palestinesi”. Dunque, la corte non avrebbe “altra scelta se non quella di riempire il vuoto morale e legale” determinato dal Parlamento. In altre parole, nella visione massimalista di Kremitzner, la Corte sarebbe la vera garante della democrazia dello Stato di Israele e non, come dovrebbe essere di fatto, il Parlamento.
Questa visione è in perfetta consonanza con quella di Aharon Barak. Un potere giudiziario indipendente, aggiunge Kremitzner, serve come contrappeso al pericolo della “tirannia della maggioranza”. Vero. Ma non è questo il punto. La riforma proposta da Netanyahu e non ancora incardinata non vuole minare l’indipendenza del potere giudiziario. Si tratta di una fola. Vorrebbe unicaente limitarne l’estensione. Infatti, il potere giudiziario indipendente, che è alla base degli ordinamenti democratici e la cui specifica autonomia è stata teorizzata da Montesquieu ne Lo Spirito delle Leggi, non prevede che al posto della tirannia della maggioranza si insedi la propria. E’ lo stesso Montesquieu a scrivere:
“Non c’è più libertà se il potere di giudicare non è separato dal potere legislativo e dall’esecutivo. Infatti se fosse unito al potere legislativo, ci sarebbe una potestà arbitraria sulla vita e la libertà dei cittadini, in quanto il giudice sarebbe legislatore” (Lo Spirito delle Leggi, XI, 6),
Il giudice legislatore è esattamente il ruolo che Aharon Barak aveva avocato a sé e, discendendo da lui, quello che è stato impresso alla Suprema Corte, e che già l’ex Ministro della Giustizia, Ayelet Shaked riteneva di dovere modificare. Ma, la riforma della giustizia proposta non ha avuto luogo.
E’ necessario dunque ripristinare il potere legislativo che è prerogativa del Parlamento e non del potere giudiziario, impedendo alla Corte Suprema di intervenire sulla stessa operatività del processo legislativo, così come è necessario che l’esecutivo abbia la prerogativa di bilanciare un potere abnorme che ne umilia la funzione.
La riforma della giustizia che Ayelet Shaked avrebbe dovuto portare avanti già nel 2015 e che è rimasta disattesa, è ora che venga finalmente eseguita per consegnare Israele, in rapporto alla sfera della Giustizia, a una pienezza democratica in linea con quella delle altre democrazie occidentali.