Da Rav. David Sciunnach, Rabbino Capo di Ancona e Parma, assistente del Rabbino Capo di Milano, nonchè Presidente del Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia, riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Gent. Direttore,
Sono, per dirla con le parole di Antonio Ferrari, un resistente inchiodato alle certezze e alle prigioni ideologiche del passato. Sì, perché sono un ebreo osservante, come tale “ottuso e bacchettone”.
Ferrari esordisce scrivendo che “la Giornata dei Giusti nel mondo” è una “festa”. Purtroppo, non vedo nulla di festivo nel ricordare persone che non di rado sono state ammazzate per diversi motivi, contingenti al luogo e al tempo in cui sono vissute. L’idea è di mischiare il tutto, ove la sola parola d’ordine è inclusione e tutto il resto è eresia, come da tale da dannare con furia almeno pari a quella di altre inquisizioni e culture. Storie, vite, atti e parole dette, con flebili fili comuni che le uniscono, vengono bollite insieme come exempla contro un male generico, il male genocidario, che, in vero, fu sempre un male specifico, da comprendersi anzitutto come tale. Questo approccio risulta riduttivo per ogni singola vita falciata e ne viene fuori una gran bella macedonia. Tralascio il valore esorcistico che assumerebbe tale erroneo uso delle Memorie, come pure il fatto che, in quanto “festa”, si ricalca, consapevolmente o meno, laicizzandola, l’idea della memoria festiva di alcuni martiri (manca solo la palma) propria della tradizione cristiana: il che è una banalizzazione indebita della tradizione cristiana e una forma mentis estranea all’ebraismo.
L’ebraismo -ovvero una religione nazionale, come ebbe a scrivere Hannah Arendt- nella prima pagina della Torah, ribaltò le sorti del mondo e pose la prima solida base ai successivi concetti di diritti umani individuali e di dignità della singola persona umana, affermando che l’essere umano -non l’ebreo- in quanto tale, chiunque sia e qualsiasi cosa faccia, è creato nell’immagine di Dio. Come pure questa stessa fede, nonostante critiche velenose e crudeltà di ogni genere, non ha smesso mai di affermare, a differenza delle due altre fedi che da essa nacquero e che si strutturarono come universali (e imperiali), che una vita integra e degna di essere vissuta, come pure la salvezza ultraterrena, non riguardano solo gli ebrei né sono loro esclusive, ma ogni singola persona umana, riconoscendo valore provvidenziale peraltro a Islàm e cristianesimo. Per quanto concerne le persone che hanno un atteggiamento misericordioso verso il prossimo, non si distingue fra ebreo e non ebreo, e infatti esiste il concetto religioso di Hassìdè ‘Ummòth ‘Olàm -di pii delle Nazioni del mondo-, ossia chi si adopera con sollecitudine per il povero, la vedova, l’orfano, il malato ecc.
Antonio Ferrari asserisce che il sottoscritto, e con me centinaia di migliaia di ebrei osservanti, addirittura “non sopportiamo, anzi odiamo l’idea che ci siano altri Giusti nel mondo”. Ma come si permette? Solo a titolo esemplificativo, ricordo che l’idea di una mostra sul Genocidio Armeno al Memoriale della Shoah di Milano -la più grande sinora svoltasi in Italia, essendosi trattato di due mostre riunite insieme- fu del rabbino Laras (rabbino ortodosso, non “morbido”, e convinto sionista), sostenuta dal rabbino Arbib e da me, ossia da persone molto critiche dell’attuale “sagra” delle Memorie proposta nella Carta della Memoria di Gariwo.
Le Memorie, i morti e i Giusti sono specifici: vanno affrontate, studiate, comprese e commemorate in maniera specifica, non con un minestrone che nuovamente le decontestualizzi e spersonalizzi, ove peraltro non si capisce chi sia -a che diritto, con quale scientificità e con che garanzie- a definire i “giusti”, come nell’attuale forma di “canonizzazioni laiche” vagliate da Gariwo.
Se la presenza di Arrigoni è una vergogna, lascia comunque molto perplessi la presenza di Laras e Martini, o, ancor più, della recentemente defunta giudice ebrea della Corte Suprema statunitense. Le vite di chi queste persone -alcune delle quali da noi amate e profondamente rispettate- avrebbero salvato, e con che rischi effettivi per loro e le loro famiglie? Un concetto così strattonabile di “giusto” testimonia, in vero, di poca serietà ed è ambiguo: purtroppo, fa passare in modo surrettizio, tra mille non detti, un’equazione subdola e pericolosa: giusto fu chi è progressista o a questo oggi è assimilabile e riducibile.
Indipendentemente da tutto ciò, Ferrari, a fronte delle sue parole, si rende conto di essere un odiatore? Di impiegare un linguaggio violento e discriminatorio e di voler suscitare dal suo pulpito biasimo feroce in lettori ignari di quel che si tratta oppure prevenuti, dato che su tutte queste questioni vi è ignoranza e confusione dilagante? E il Corriere della Sera, nella figura del suo Direttore, non si vergogna nel pubblicare articoli antisemiti, perché non è affatto difficile, per chiunque abbia dimestichezza con l’antisemitismo e i suoi discorsi, decostruire l’architettura argomentativa e ideologica abbozzata da Ferrari, peraltro non originale?
C’è di più: non si indigna, sin da subito, Milena Santerini, anch’ella come il Ferrari ambasciatrice Gariwo, per le parole vergognose di costui, essendo peraltro impegnata -per mandato del Parlamento- contro l’antisemitismo? Gariwo, ieri sera, dopo una giornata di discussioni animatissime in seno alle rappresentanze degli ebrei d’Italia, ha emesso un comunicato di distanza e condanna delle parole di Ferrari. Non è, a mio avviso, in alcun modo sufficiente: o Gariwo fa immediatamente decadere Ferrari da suo ambasciatore oppure le Comunità ebraiche devono cessare, per manifesta incompatibilità e per minimale rispetto degli ebrei italiani a cui debbono rendere conto, ogni collaborazione con questa organizzazione.
Ferrari fa riaffiorare antichi slogan dell’anti-giudaismo, ma con il classico volto nuovo di oggi, quello del “volemose tutti bene, siamo tutti fratelli”. È altamente rischioso e a dir poco fuorviante confondere, anzi manipolare, il concetto nobile e irrinunciabile di apertura e di fratellanza, con il pericolo di reciproco annullamento e irreversibile assimilazione che sta avvenendo nel tanto elogiato centro delle tre grandi religioni a Berlino, giusto per fare un esempio. C’è differenza tra dialogo e sincretismo. Soprattutto, omologazione, diniego delle differenze e generalizzazione con spersonalizzazione e perdita delle specificità sono forme di violenza, peraltro non blanda. Infine, non è ottundendo le differenze e sovrapponendo identità complesse e secolari che si fa luce e chiarezza sui punti critici e pericolosi inerenti ai tre monoteismi: una simile politica sarebbe sono un ulteriore falsante velo.
Ferrari scrive della necessità di cambiamento del mondo. Per noi ebrei osservanti il mondo è in continuo cambiamento e si rinnova ogni giorno (ha-mehaddesh be-tuvò be-kol-yom tamìd ma‘asé Bereshìt, così la liturgia mattutina: che rinnova con il Suo bene ogni giorno l’opera della Creazione…), basandosi sui principi e sulle leggi stabili che il Creatore ha determinato.
Nella macedonia (che è cosa ben diversa da una società plurale), vige la confusione, la superficialità e l’anarchia, ovvero lo scempio sempre più manifesto della società occidentale che ci circonda. Non vi sono più valori etici e morali, anzi vengono denigrati se non rivisitabili da certi soloni; il senso del decoro e del sacro è deriso; il fanatismo religioso serpeggia; tutto cambia molto velocemente in base alle necessità di questa generazione e al consumo finanche delle persone e degli affetti; ciò che prima era pornografia oggi è arte, ciò che era immorale è assurto a modello, il che è ben diverso -ancora una volta- dal rispetto per scelte altrui che non si condividono, dall’empatia e dalla comprensione, da un’idea laica di cittadinanza, dalle sfide positive sollecitate dalle nuove conoscenze e dalla scienza ai pensieri religiosi tradizionali.
Non ho alcuna intenzione né di essere messo alla berlina, né di giustificarmi, né di prendere lezioni etiche da un violento, con buona pace per l’organizzazione di cui è ambasciatore, le cui contraddizioni sono state messe a nudo.