L’America è stata tenuta in ostaggio prima. Nel 1976, il volo TWA 355 fu dirottato dai nazionalisti croati e un ufficiale di polizia di New York perse la vita nel tentativo di risolvere la situazione. Il sequestro del 1985 dell’Achille Lauro da parte di militanti del Fronte di Liberazione Palestinese si concluse solo in seguito all’intervento militare americano. Il caso più noto fu quando l’avanguardia della rivoluzione islamica in Iran prese in ostaggio 52 americani per 444 giorni. Questi episodi traumatici impallidiscono in confronto a ciò che gli Stati Uniti potrebbero dover affrontare ora in Afghanistan. L’America potrebbe trovarsu nel mezzo della più grande crisi degli ostaggi della sua storia.
Lunedì, l’amministrazione Biden ha annunciato di avere trasbordato almeno 37.000 persone fuori dalle condizioni sempre più disumane che prevalgono nell’aeroporto internazionale di Hamid Karzai, l’ultimo baluardo rimasto dell’influenza occidentale in Afghanistan. Non è un’impresa da poco. Ma nella misura in cui si possa definire “facile” l’erculea coscrizione delle forze sia civili che militari nello sforzo di evacuare gli americani e i loro partner da dietro le linee talebane, questa è stata la parte facile. Il tempo corre fino all’ora zero e gli Stati Uniti non rispetteranno la scadenza.
“Faremo evacuare tutti quelli che possiamo evacuare”, ha dichiarato alla fine della settimana scorsa il Segretario alla Difesa Lloyd Austin. “E provvederò il più a lungo possibile fino allo scadere del tempo o fino all’esaurimento delle nostre capacità”. Quel “orologio” era stato fissato non solo dal presidente, che ha insistito sul fatto che gli Stati Uniti avrebbero rimosso tutti gli americani vulnerabili e gli alleati statunitensi dall’Afghanistan entro il 31 agosto, ma anche dai talebani. “È una linea rossa”, ha dichiarato il rappresentante dei talebani Suhail Shaheen. “Se gli Stati Uniti o il Regno Unito dovessero richiedere più tempo per continuare le evacuazioni, la risposta è no. O ci saranno delle conseguenze».
Nel tentativo di accelerare le cose, gli Stati Uniti hanno iniziato con riluttanza a eseguire operazioni delle forze speciali progettate per esfiltrare gli americani fuori dall’aeroporto, anche a rischio di infiammare le tensioni con i talebani e i loro alleati terroristi, così definiti dal Dipartimento di Stato, i quali stanno provvedendo alla nostra “sicurezza.” Allo stesso tempo, secondo quanto riferito, le forze americane stanno respingendo gli afgani idonei per l’evacuazione e il trasferimento. Ma anche abbandonare i nostri alleati per dare la priorità agli americani non lo accorcerà. Da lunedì a oggi, solo circa 3.300 dei circa 10-15.000 americani rimasti intrappolati in Afghanistan da quando Kabul è caduta sono stati trasferiti fuori dal paese. Anche a questo ritmo insostenibile, la missione americana in Afghanistan non finirà entro il 31 agosto. E tutti, tranne la Casa Bianca di Biden, sembrano saperlo.
“Dato il numero di americani che devono ancora essere evacuati, il numero di SIV, il numero di altri membri della stampa afgana, i leader della società civile, le donne leader, è difficile per me immaginare che tutto ciò possa essere realizzato tra adesso e alla fine del mese”, ha dichiarato lunedì il presidente della commissione per l’intelligence della Camera degli Stati Uniti Adam Schiff.
Un certo numero di importanti legislatori federali chiedono che l’amministrazione si impegni in un’operazione più lunga e a loro si è unito il Primo Ministro britannico Boris Johnson. Sfrutterà l’occasione di un vertice di emergenza del G7 oggi per fare pressione su Biden al fine di “garantire evacuazioni sicure, prevenire una crisi umanitaria e sostenere il popolo afgano per mettere al sicuro i risultati degli ultimi 20 anni”.
Joe Biden si ritrova in una trappola creata da lui stesso. Le forze statunitensi operano dall’aeroporto di Kabul a piacimento dei talebani. In qualsiasi momento, quello che Biden ha definito un gruppo “di straccioni” può disabilitare l’aeroporto e impegnarsi nuovamente in combattimento con le forze americane a cui finora hanno concesso un ormeggio ristretto. Biden è determinato a evitare questo risultato. L’unica alternativa a un simile disastro sarebbe quello di comprare la sottomissione dei talebani. È un’opzione che il presidente ha già preannunciato. “I talebani devono prendere una decisione fondamentale”, ha detto Biden domenica. Per avere successo, “avranno bisogno di tutto, dall’aiuto aggiuntivo in termini di assistenza economica, commercio e tutta una serie di cose”. I talebani, ha detto Biden, “cercano legittimità per stabilire se saranno riconosciuti o meno da altri paesi”. Senza dubbio, tutte queste carote sono state fatte penzolare davanti ai nostri rapitori dal direttore della CIA William Burns, che questa settimana è stato inviato a Kabul probabilmente per negoziarvi una estensione della nostra missione.
Il messaggio dei talebani non potrebbe essere più chiaro: i vostri soldi o le vostre vite. E ci sono migliaia di americani in Afghanistan dai quali i talebani potrebbero trarre degli esempi. Come attesta lo straziante audio ricevuto dall’ufficio del rappresentante Carol Miller, gli americani intrappolati dietro le linee nemiche credono di essere stati abbandonati dal loro governo alla mercé di una vendicativa milizia islamista. Come ha ammesso un membro dello staff dell’ambasciata americana abbandonata, “Sarebbe meglio morire sotto il proiettile dei talebani” piuttosto che affrontare la brutalità di un probabile tentativo infruttuoso di raggiungere per proprio conto il personale di servizio americano. I nostri cittadini e amici si stanno rassegnando a un destino terribile.
L’umiliazione dell’America in Afghanistan non si è conclusa con la caduta di Kabul. È solo all’inizio.
Traduzione di Niram Ferretti