La minaccia principale oggi per Israele e per la stabilità mediorientale tutta è rappresentata dall’ Iran. Quando Benjamin Netanyahu si recò nel 2015 negli Stati Uniti per parlare al Congresso nel tentativo di influenzare la decisione dei legislatori in vista dell’accordo sul nucleare iraniano fortemente voluto dall’Amministrazione Obama, non poté essere più esplicito al riguardo. Disse che per quanto importante fosse sconfiggere l’ISIS il pericolo maggiore era quello di un Iran dotato di bombe atomiche. “Il peggiore connubio possibile è quello tra il radicalismo islamico e gli ordigni nucleari“.
Sul radicalismo sciita iraniano i dubbi sono pochi. Fondato su una visione millenaristica e rivoluzionaria in ossequio ai dettami dell’ayatollah Khomeini, l’Iran persegue una politica estera espansionista di rifondazione imperiale (Libano, Siria, Iraq, Yemen) e virulentemente anti-israeliana. Non è un mistero per nessuno che per il regime di Teheran, lo stato ebraico sia un “tumore” da estirpare, una emanazione satanica seconda solo alla più grande, quella americana. L’attuale guida suprema, l’ayatollah Khamenei non ha mai perso occasione di ribadirlo. Nel 2014 definiva Israele “un cane sporco e rabbioso” aggiungendo che gli israeliani non dovrebbero essere qualificati come esseri umani. La deumanizzazione del nemico, e nel caso specifico dell’ebreo, (qui nella fattispecie israeliana), era intrinseca alla politica del Terzo Reich e alla sua propaganda, di cui, dal 1979, l’Iran ha iniziato a usare diligentemente tutto l’armamentario antisemita.
E’ sempre Khamenei a sottolineare l’aspetto millenaristico della rivoluzione islamica del ’79, considerandolo “Il punto di svolta nella storia moderna del mondo”, latrice di un “messaggio di salvezza per l’umanità“. Questa salvezza implica inevitabilmente che vengano eliminati gli ostacoli principali che si frappongono al suo manifestarsi, Israele (il piccolo Satana mediorientale) e gli USA (il grande Satana mondiale).
La presenza sempre più netta in Siria di milizie sciite, Hezbollah in primis, è il segno tangibile di un progressivo radicamento iraniano sul territorio, a vantaggio del regime di Assad, ormai da tempo null’altro che un vassallo di Teheran, e a svantaggio della sicurezza di Israele. Sarà questo l’argomento principale che Benjamin Netanyahu affronterà nel suo terzo incontro con Donald Trump che avrà luogo a New York, dove il presidente degli Stati Uniti parlerà martedì per la prima volta nel contesto plenario dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Lo stesso giorno il primo ministro israeliano si rivolgerà all’assemblea pronunciando il suo discorso.
L’opposizione di Donald Trump all’accordo sul nucleare iraniano voluto dal suo predecessore e bollato dal presidente americano in carica come “uno dei peggiori accordi della storia”, offre a Netanyahu la possibilità di farlo convergere sulle proprie posizioni: o la cancellazione dell’accordo stesso (la più improbabile), o un decisivo intervento su di esso.
Il terreno è scivoloso, perché nonostante la sua aperta ostilità nei confronti dell’accordo, Trump è attualmente frenato dalla sua volontà di cassarlo o riformarlo da chi dentro l’Amministrazione cerca di orientare il presidente su decisioni politiche meno dirompenti. E’ questa l’ala conservativa rappresentata dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale, McMaster, dal Segretario di Stato, Rex Tillerson e da un Dipartimento di Stato in cui operano ancora in posti chiave funzionari dell’amministrazione precedente.
Al di la delle dichiarazioni ufficiali americane sulla pericolosità dell’ Iran, definito dal Segretario alla Difesa, James Mattis il febbraio scorso, come “il principale e maggiore singolo stato sponsor del terrorismo”, gli Stati Uniti non hanno finora agito in alcun modo, relativamente alla guerra siriana, per limitare l’espansione dell’Iran sul territorio, anzi, consentendogli di avvicinarsi pericolosamente a Israele sui confini critici delle Alture del Golan.
Avere delegato la Russia a contenere le mire iraniane non offre a Israele alcuna affidabile garanzia. Il senso dell’ultimo colloquio tra Netanyahu e Putin avvenuto a Sochi ad agosto è stato quello di ribadire che Israele non permetterà all’ Iran di consolidarsi in Siria a discapito della propria sicurezza. E’ quello che il premier israeliano ribadirà alle Nazioni Unite martedì.