Nonostante tutti i suoi sforzi per tenere segrete le sue opinioni su questioni nazionali chiave, in modo da fare appello al numero più grande possibile di israeliani, l’ex capo di stato maggiore dell’IDF, Benny Gantz, ha indicato la sua disponibilità ad applicare la controversa formula unilaterale di disimpegno che Sharon applicò a Gaza nel 2005 anche in Cisgiordania. “Dobbiamo trovare un modo in cui non controlliamo altre persone”, ha detto Gantz al quotidiano Yediot Ahronot nella sua prima intervista come candidato alle elezioni. “[Il disimpegno unilaterale] era una mossa legale, una decisione presa dal governo israeliano e condotta dall’IDF e dai coloni in modo doloroso, ma buono. Dobbiamo prendere le lezioni apprese e implementarle altrove”.
Lasciando da parte l’ambiguità di questi termini logori (ad esempio, la maggior parte del mondo considera i quartieri ebraici a Gerusalemme est come degli “insediamenti” mentre gli israeliani li considerano parte integrante di Israele), o la fattibilità di evacuare circa 140.000 residenti ebrei dalle loro case senza un quid pro quo palestinese, il pensiero di Gantz sembra essere basato su supposizioni datate che sono state a lungo superate dagli eventi.
I precetti politici e strategici alla base del processo di “pace” di Oslo, che Gantz echeggia, sono svaniti molto tempo fa. L’OLP ha rivelato in modo inequivocabile la sua vera natura: il suo totale disinteresse per la pace, il rifiuto inflessibile dell’idea di uno Stato ebraico e l’incessante propensione alla violenza e al terrorismo. Gli Stati Uniti, che giunsero fino alla preminenza mondiale dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica e del blocco dell’Europa orientale, hanno perso in gran parte questo status negli ultimi dieci anni, mentre la Russia ha recuperato molto terreno perduto e riconquistato una solida posizione militare e politica nel Medio Oriente. Teheran sta rapidamente emergendo come stato egemone regionale, con i suoi tentacoli che si spandono dallo Yemen e dall’Iraq verso il Mar Mediterraneo e la sua tenace ricerca di armi nucleari continua a ritmo sostenuto sotto il radar internazionale. Persino i gruppi terroristici di Hezbollah e Hamas rappresentano una minaccia molto più grande per la sicurezza nazionale di Israele di quanto non fosse dieci anni fa. In queste circostanze, il ritiro di Israele dall’area C della Cisgiordania non costituirebbe nulla di meno che una minaccia di natura esistenziale.
Né Israele ha bisogno di trovare un modo per fermare “il controllo su altre persone”, come ha detto Gantz, per la semplice ragione che il suo controllo sui palestinesi è terminato circa vent’anni fa. Nel maggio 1994 l’IDF si ritirò da tutti i centri di popolazione palestinesi nella Striscia di Gaza. Nel gennaio 1996 ha liberato le aree popolate della Cisgiordania (le aree A e B degli Accordi di Oslo), comprendenti oltre il 90% dei residenti palestinesi della West Bank, e ha consegnato il controllo di tale popolazione all’Autorità palestinese (AP).
Realizzando con efficacia la visione del premier Rabin di porre fine al controllo israeliano sui palestinesi senza creare uno stato palestinese a pieno titolo, questa mossa avrebbe dovuto porre fine al dibattito sulla presunta contraddizione tra la natura ebraica e democratica di Israele. Questi territori (Gaza e Aree A e B) sono a tutti gli effetti entità indipendenti che non entreranno mai a far parte di Israele.
Ciò a sua volta significa che la vera disputa tra Israele e i palestinesi, così come all’interno di Israele, non ruota più attorno alla fine dell'”occupazione” ma attorno al futuro di Gerusalemme Est e dell’Area C. E poiché l’Area C (dove risiedono solo 100.000 palestinesi) comprende tutte le località della West Bank ebraica, le basi dell’IDF, le arterie di trasporto, i siti topografici vitali e gli spazi vuoti abitabili tra la Valle del Giordano e la metropoli di Gerusalemme, la sua continua conservazione da parte di Israele è un interesse nazionale vitale. Perché? Perché la sua cessione a uno Stato palestinese potenzialmente ostile renderebbe praticamente impossibile la difesa dell’entroterra israeliano – e perché queste terre altamente strategiche e scarsamente popolate sono di immensa importanza economica, infrastrutturale, comunitaria, ecologica e culturale, per non parlare del loro significato storico come fondamento della millenaria terra ancestrale ebraica.
Traduzione di Niram Ferretti
https://besacenter.org/perspectives-papers/benny-gantz-disengagement/