Editoriali

La perentorietà dei fatti

Nulla di nuovo sotto il sole. La UE stigmatizza la decisione americana di riconoscere la sovranità israeliana sopra le alture del Golan, così come, nel 2017, votò unanimemente all’ONU contro la decisione sempre americana di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele. E’ la stessa Europa che non si oppose, anzi votò a favore, nell’aprile 2015 e successivamente nell’ottobre 2016, quando l’UNESCO con due risoluzioni aveva sottratto alla storia ebraica il Monte del Tempio e il sottostante Muro Occidentale riqualificandoli con i loro nomi arabi.

E’ la stessa Europa che nel 2015 entrò entusiasta nell’accordo sul nucleare iraniano voluto dall'”europeo onorario” Barack Obama e poi si stracciò le vesti quando Donald Trump, nel 2018, decise di uscire dall’accordo, considerandolo una minaccia per gli interessi americani e per la sicurezza di Israele. E’ infine la stessa Europa che, nel 1973, alla viglia della guerra di Yom Kippur, sotto ricatto petrolifero arabo, chiuse tutti i suoi scali agli aerei americani  che dovevano rifornire di armi Israele alla viglia di una guerra il cui scopo era, come nel 1948 e nel 1967, di annichilirlo.

E’ l’Europa di sempre insomma, quella a cui non sta bene che Israele difenda i propri confini sul Golan dal pericolo, mai come in questo momento acuto, di un avanzamento iraniano in Siria. La medesima che fa appello alla presunta violazione della legalità, quando la Risoluzione 242 delle ONU, afferma chiaramente che uno Stato ha diritto a confini certi e sicuri.

D’altronde, per questa Europa, Israele non avrebbe neppure il diritto di difendere i propri confini con Gaza, come è accaduto l’anno scorso, quando Hamas inscenò una marcia della pace, durante la quale ci furono molteplici tentativi di sabotare la barriera di confine e di entrare all’intero dello Stato ebraico da parte dei propri  jihadisti. In questo caso, quando Israele rispose uccidendo 67 affiliati dell’organizzazione terrorista, il coro di condanna fu unanime e si ripetè la solita usurata litania di “uso sproporzionato della forza”.

Insomma, ci troviamo al cospetto, del canovaccio abituale, con una differenza rilevante, che gli Stati Uniti targati Trump tirano diritto, reputando determinate organizzazioni sovranazionali come l’ONU e la Corte Penale dell’Aia, per quello che sono in realtà, istutuzioni le quali, negli anni, hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio di deliberare in funzione di specifiche agende politiche e ideologiche. Il cosiddetto diritto internazionale, così frequentemente invocato dai detrattori di Israele, paladini di una presunta legalità violata, è, in rapporto allo Stato ebraico, niente più che una serie di risoluzioni ONU che non hanno alcuna leggittimità giuridica vincolante. C’è inoltre da aggiungere che per quanto riguarda il diritto internazionale per come si è andato consolidando dopo la Seconda guerra mondiale a oggi, un paese che ne ha attaccato un altro e ne ha conquistato una parte di territorio non può detenerlo perennemente. Tuttavia, si dà il caso che non fu Israele ad attaccare la Siria, ma avvenne il contrario. E’ quindi questa una situazione che non rientra affatto in tale parametro consensulae e sulla quale il diritto internazionale non ha nulla da dire.

L’Amministrazione Trump non fa mistero che innanzitutto, sono gli interessi nazionali ad avere la precedenze rispetto a un ordine legale internazionale che non può sovrapporsi a un paese sovrano quando è in gioco la sua sicurezza. Sicurezza che, nel caso di Israele e delle alture del Golan, anesse nel 1981, è un dato non negoziabile, soprattutto oggi che la Siria è diventata un protettorato misto, iraniano-russo, e fino a poco tempo fa è stato uno dei principali crogiuoli del jihadismo islamico. Un paese dove permangono tensioni alte e che è diventato il croceva di potenze illiberali e apertamente ostili a Israele, come l’Iran e la Turchia. La Russia non è ostile a Israele ma la sua ambiguità è proverbiale.

La decisione americana, pertanto, come è accaduto finora relativamente a Israele, afferma oggettivamente un fatto: così come Gerusalemme è la capitale di Israele dal 1948, così come i 5 milioni e passa “rifugiati” palestinesi moltiplicati dall’UNRWA, non possono essere quelli del 1948, il Golan è strategicamente vitale per Israele e, di conseguenza, non tornerà mai più in dotazione alla Siria. Questi sono fatti incastonati nella realtà, che l’amministrazione Trump, con decisioni che hanno rotto schemi consolidati, ha deciso di affermare con incontrovertibile chiarezza.

 

 

 

 

 

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