Shireen Abu Akleh, la giornalista filo-palestinese di Al Jazeera uccisa da un proiettile vagante nella tristemente nota cittadina di Jenin nella Giudea e Samaria, è stata arruolata tra le «vittime» del «terrorismo» sionista, senza che esistano prove di un’autentica responsabilità israeliana. «Pallywood», la Hollywood palestinese della sofferenza fasulla e confezionata, opera così. Si appropria di vicende drammatiche e le trasforma in strumenti di propaganda.
I nemici dello Stato ebraico già banchettano sul corpo della corrispondente, che costituisce una ghiotta occasione per infangare ulteriormente Israele. Dal ministro degli esteri giordano Ayman al Safadi alla deputata del Congresso americano Rashida Tlaib la condanna nei conffronti delle autorità israeliane è unanime. Non bisogna indignarsi troppo per il trattamento mediatico riservato a Shireen Abu Akleh. Dopo una vita professionale trascorsa a criminalizzare Israele per la TV jihadista, sarà felice di servire la causa della Palestina anche da morta.
Siamo in presenza di un copione consolidato: fare leva sulle emozioni, sfruttare i buoni sentimenti e l’indignazione a buon mercato. I palestinesi sanno di non poter sconfiggere Israele sul piano militare, dunque hanno ripiegato su una strategia di demonizzazione e delegittimazione costante dello Stato ebraico. Il piano prevede la fabbricazione o lo sfruttamento di eventi drammatici e crudeli da offrire in pasto ai mass media occidentali, nel tentativo di minare la reputazione di Israele e del suo operato.
Tutto iniziò nel Duemila, durante la seconda Intifada, con il video della morte di Muhammad Al-Dura, un dodicenne che sarebbe stato ucciso insieme al padre, Jamal, dall’esercito israeliano. Una commissione d’inchiesta, presieduta dal generale Yossi Kuperwasser, stabilì che la scena filmata non era autentica, ma divenne, comunque, il simbolo della ferocia di Israele.
Si è proseguito con il documentario Jenin, Jenin di Mohammad Bakri, un vero e proprio capolavoro di propaganda che avrebbe fatto morire d’invidia Leni Riefenstahl. Si trattava di una raccolta di testimonianze, molte delle quali di bambine, che accusavano le forze militari israeliane di crudeltà inenarrabili. I racconti non hanno mai trovato conferma e si è scoperto che Bakri modificò delle sequenze per dare a intendere allo spettatore che vi fossero state uccisioni deliberate di civili in realtà mai avvenute. Il regista ammise che il documentario, proiettato nei cinema di tutto il mondo, venne finanziato dall’Autorità Nazionale Palestinese.
Quelli di Jenin, Jenin e di Muhammad Al-Dura sono due casi celebri, ma Pallywood diffonde anche creazioni più modeste: immagini di bambine con la dermatite presentate come «vittime di bombe al fosforo bianco», persone truccate da cadavere che, dopo il servizio fotografico, si rialzano in piedi, sangue di animali macellati nei mattatoi fatto passare per sangue umano e foto di corpi di bambini deceduti a causa di terremoti spacciati per «martiri» delle offensive dell’Israel Defence Force. Non sono mancate nemmeno foto della medesima famiglia tra numerose macerie fumanti, giocattoli, sempre gli stessi, fotografati in punti diversi e fumo nero di «esplosioni» ottenuto attraverso il rogo di copertoni. Insomma, un vero e proprio artigianato della menzogna.
I manovali della propaganda antisionista usano, in modo cinico, soprattutto foto e titoli riguardanti i bambini, nel tentativo di fare presa sull’opinione pubblica occidentale. I titoli sensazionalistici non si contano: «una bambina palestinese che lava il sangue del fratello», «un bambino palestinese muore tra le braccia del padre» o «uomo seppellisce sua figlia uccisa in un raid». Lo scorso anno, durante gli scontri tra Hamas e Israele, circolò, con la rapidità impressionante che caratterizza le notizie false, la foto di una bambina russa spacciata per vittima dell’aviazione israeliana.
La macchina dell’odio palestinese non si arresta. Il decesso di Shireen Abu Akleh, avvenuto proprio in quella Jenin a lungo teatro di sanguinosi attentati suicidi, rischia di rinfocolare le violenze anti-israeliane.