Editoriali

La nomina di Sinwar, la Casa Bianca e Netanyahu

La decisione di Hamas di proclamare Yahya Sinwar alla propria direzione sostituendo Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran pochi giorni fa, rappresenta la risposta alla determinazione di Israele di eliminare progressivamente i maggiorenti di Hamas e di continuare l’operazione militare a Gaza fino ad obiettivo raggiunto, la disarticolazione della capacità operativa di Hamas all’interno della Striscia.

Questo obiettivo è in palese contrasto con quello americano, il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, per il quale, nelle ultime ore, Antony Blinken si è rivolto direttamente a Sinwar, sottolineando ciò che peraltro ha ripetuto costantemente in questo ultimo periodo, che la decisione finale spetta a lui.

Il problema di questa affermazione è che la decisione finale non spetta all’organizzatore dell’eccidio del 7 ottobre, ma a Israele, e, nello specifico a Benjamin Netanyahu. Sta al premier israeliano e non a un jihadista fanatico per il quale le vite umane valgono come quelle dei moscerini, stabilire se un eventuale accordo con chi ha massacrato 1200 dei suoi concittadini rapendone 254, garantisca a Israele e non agli assassini il massimo vantaggio.

Ma non è questa la postura della Casa Bianca, da mesi in rotta di collisione con l’esecutivo Netanyahu. Le prospettive sono infatti divergenti e si basano su opposte convinzioni; per gli americani Hamas non può essere sconfitto militarmente da Israele, ma solo depotenziato, dunque occorre da parte di Israele prendere coscienza di questa realtà dopo dieci mesi di guerra, e trovare un accordo politico. Per Israele, al contrario, Hamas può essere sconfitto militarmente. I dieci mesi di guerra in corso hanno già fatto sì che l’organizzazione sia di fatto prossima al collasso, ma per arrivare alla vittoria, sarà necessario e inevitabile che esso occupi Gaza per il periodo necessario a bonificarlo e dedicarsi quindi a operazioni di controinsorgenza terroristica, ciò che l’Ammministrazione Biden non desidera che accada.

La Casa Bianca ha la necessità di chiudere l’accordo con Hamas, in particolar modo adesso, dopo l’uccisione di Haniyeh e il rischio di un escalation regionale. Un accordo con Hamas, un cessate il fuoco, comporterebbe quella momentanea distensione necessaria a forzare poi Israele ad ammorbidirsi e a cedere terreno ai suoi nemici.

Il paradosso è che, in questa prospettiva, sia gli Stati Uniti che i loro alleati all’opposizione in Israele, e per opposizione non si intendeno solo i partiti politici avversi a quelli al governo, ma una fetta dell’esercito e dei Servizi nonché attori terzi che fomentano le manifestazioni di piazza per la liberazione degli ostaggi, costi quel che costi,  presentano Netanyahu come l’intransigente, colui che non vuole venire a patti, il cinico e spregiudicato calcolatore, non Sinwar.

Di tutto questo Netanyahu è perfettamente conscio e sa che può contare sull’intransigenza di Sinwar, per il quale il prerequisto fondamentale ad ogni accordo è che Israele lasci Gaza, consegnando la vittoria a Hamas.

La nomina di Sinwar a capo politico di Hamas, indurisce ulteriormente lo scontro e rafforza la posizione di Netanyahu, il quale ora, davanti a sè, al posto del “moderato” Haniyeh ha colui che è  in assoluto meno disposto a scendere a patti.

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