L’obiettivo di sconfiggere e sradicare Hamas da Gaza non è stato raggiunto da Israele. Si tratta di unn dato di fatto questo purtroppo è un dato di fatto inequivocabile. La campagna militare è andata a rilento fin dall’inizio, con continue pause e pretese di “corridoi umanitari” come non si sono mai viste in nessun’altra guerra.
Immaginiamoci l’assedio statunitense di Fallujah o Ramadi durante la seconda Guerra del Golfo con tanto di “corridoi umanitari” e viveri che finivano nelle mani di gruppi armati. Immaginiamoci l’esercito turco che attacca le postazioni del PKK e nel frattempo attua corridoi umanitari per la popolazione. Si sa che con Israele valgono regole diverse dal resto del mondo.
L’andamento della guerra aveva lasciato intendere fin dall’inizio che non ci fosse una grande convinzione di volere realmente sradicare Hamas da Gaza, a prescindere dal problema ostaggi. Forse non si voleva scontentare il generosissimo Qatar che ancora oggi continua a ospitare la leadership dell’organizzazione terrorista e che più che mediare ha tutelato Hamas dal rischio di estinzione?.
L’IDF ha inferto dei colpi durissimi a Hamas, distruggendone i battaglioni, gli armamenti, decapitandone la leadership, catturando ed eliminando migliaia di terroristi. Yahya Sinwar e Ismail Haniyeh sono stati tolti di mezzo e quest’ultimo a Teheran, con un’azione umiliante nei confronti del regime khomeinista.
I restanti leader dell’organizzazione terrorista palestinese come Musa Abou Marzouk, Khaled Meshal e Muhammad Sinwar, i primi due purtroppo ancora ospiti a Doha, plausibilmente vivranno il resto della loro vita nel terrore di essere bersagliati da Israele che ha recentemente riconfermato di potere colpire chiunque in qualsiasi luogo al mondo, inclusi quelli dove i terroristi si sentono più al sicuro, come al centro di Teheran o di Beirut.
Per quanto riguarda Hamas a Gaza, la sceneggiata con uomini armati e mascherati che scimmiottavano una parvenza di forza mentre sputavano addosso agli ostaggi rilasciati non ha fatto altro che metterne in evidenza la reale debolezza. Quei grandi “resistenti armati” fino a pochi minuti prima erano infatti nascosti nei tunnel e si facevano scudo con donne e bambini.
E’ chiaro, il problema propagandistico c’è, perché Hamas lo sa sfruttare molto bene ed è ben consapevole che a livello internazionale c’è una notevole predisposizione nell’abbracciare l’idea di Hamas come “resistenza palestinese”. Non a caso l’esperto di Islam radicale, Noor Dahri, direttore del think tank britannico Islamic Theology of Counter–Terrorism, ha già messo in guardia mesi fa sul fatto che Hamas, da organizzazione terroristica, è diventata un’ideologia transnazionale diffusa anche in Occidente. Le manifestazioni nei campus statunitensi e britannici (curiosamente proprio quelli dove confluiscono ingenti finanziamenti dal Qatar) ne hanno dato ampia prova.
Un’ideologia che va tra l’altro a braccetto con l’estrema sinistra in nome della lotta al “colonialismo”, all’”imperialismo”, insomma, all’Occidente.
Avere assestato un duro colpo a Hamas non è però sufficiente, perché l’organizzazione terrorista palestinese ha messo in atto il peggior pogrom nei confronti degli ebrei dai tempi della Shoah e dunque andava eradicata ad ogni costo, anche perché i suoi leader hanno recentemente ribadito di volere ripetere un altro “7 ottobre”.
Chi ha remato contro per cercare di salvare Hamas sarà pienamente responsabile di ogni ulteriore morto causato da Hamas (israeliani e non, perché Hamas non fa distinzioni, a differenza di ciò che molti vorrebbero credere).
L’inviato per il Medio Oriente di Trump, Steven Witkoff, ha pressato Netanyahu ad accettare la tregua e il premier israeliano ha accettato. Ha fatto bene? Probabilmente no.
Witkoff doveva essere rispedito a Washington con un “grazie, ma non ci facciamo dire da voi cosa fare”. Netanyahu però non se l’è sentita e ha preferito mettere a rischio il proprio esecutivo, con conseguente uscita di Ben Gvir la cui presenza, seppure non essenziale per la tenuta del governo, comporterà dei problemi, oltre al danno d’immagine.
Alla base dello sbaglio nel negoziare un accordo con Hamas c’è un principio piuttosto semplice di “terrorismo e controterrorismo” il cui “padre” è Boaz Ganor, direttore dell’ International Institute for Counter Terrorism di Herzliya.
In sunto, un’organizzazione terrorista, per potere operare, si basa su “motivazione” e “capacità operativa”. Se queste due variabili sono ad un livello sufficiente da permettere ai terroristi di colpire, allora gli attacchi sono imminenti. In assenza di uno dei due fattori, non si potranno verificare attacchi.
Un’efficace campagna di controterrorismo riesce ad abbattere le capacità operative di un’organizzazione terrorista sotto il livello che l’abiliterebbe a poter colpire, rendendo così i terroristi incapaci di perpetrare attacchi.
Tuttavia, l’attività militare offensiva è una soluzione temporanea se utilizzata da sola. In una situazione del genere, lo Stato ha solo abbassato le capacità operative dell’organizzazione e non la sua motivazione; finché un’organizzazione ha ancora la motivazione per portare a termine un attacco, lavorerà duramente per riacquistare le capacità operative per perpetrare ritorsioni. Questo fenomeno è noto come “effetto boomerang”.
Nel caso attuale con Hamas, è plausibile che le capacità operative dell’organizzazione siano state disinnescate soltanto per un breve margine di tempo visto che, oltre all’elevata motivazione di vendetta da parte degli islamisti, ci sono attori esteri impazienti di ricominciare a finanziare e armare i terroristi. Come se non bastasse, l’essere riusciti a portare a casa un negoziato e l’attenzione mediatica riscossa da Hamas è vitale per la macchina propagandistica terroristica.
Non è detto che Hamas e i suoi sostenitori colpiscano in Israele; potrebbero farlo benissimo anche a livello globale in seguito all’internazionalizzazione della causa.
Ieri il Presidente statunitense Donald Trump si è detto poco fiducioso sul fatto che il l’accordo Hamas-Israele reggerà fino alla fine e forse c’è proprio da sperarlo. Magari auspicando che la prossima volta il nuovo presidente americano, in nome della cosiddetta “amicizia” nei confronti di Israele tenga a casa Witkoff ed eviti di ascoltare al-Thani. Una cosa è certa, Hamas dovrà essere sradicata per il bene di Israele, che piaccia o meno a Doha e a certi ambienti europei e statunitensi.