A seguito dell’uccisione per errore da parte dell’IDF di tre ostaggi detenuti da Hamas nella Striscia, la questione generale degli ostaggi si ripropone nuovamente nella sua drammatica urgenza.
Ieri, dopo la tragica notizia, sono ricominciate le manifestazioni per il loro rilascio. Nonostante la ripresa della guerra, i tentativi diplomatici di riaprire un canale con Hamas non sono mai veramente terminati. Oggi il capo del Mossad, David Barnea incontrerà in una località europea, il primo ministro del Qatar, Mohammad bin Abdulraham Al Thani per discuterne.
Dopo l’eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre scorso, costato la vita a 1200 cittadini israeliani, barbaramente trucidati, e il rapimento di altri 240, Israele si è votato a un obiettivo fondamentale, quello di eliminare il gruppo terrorista dall’interno della Striscia, dove governa dal 2007.
Questo obiettivo è, per la sicurezza di Israele e per la sua sussistenza, quello primario e necessario. Il fallimento del suo conseguimento comporterebbe la sopravvivenza di Hamas e, collateralmente, il suo rafforzamento. A ciò si aggiungerebbe la convinzione, da parte del principale antagonista regionale di Israele, l’Iran, che esso può essere ulteriormente colpito. Hamas diventerebbe di fatto, anche se indebolito dall’offensiva israeliana di questi ultimi mesi, la forza estremista egemone nella regione, e il suo sostegno, già cospicuo, come hanno rilevato gli ultimi sondaggi che danno il suo consenso in Cisgiordania all’82% e al 72% a Gaza, non farebbe che crescere. La prospettiva di una normalizzazione dei rapporti con l’Arbia Saudita, verrebbe definitivamente archiviata, e probabilmente riavvicinerebbe ulteriormente la monarchia del Golfo all’Iran, dopo il parziale riavvicinamento dovuto alla mediazione cinese. Cina e Russia avrebbero la possibilità di estendere ulteriormente la loro sfera di influenza, tenendo particolarmente presente l’alleanza di quest’ultima con l’Iran. Questo scenario non solo comporterebbe un drammatico ridimensionamento di Israele ma anche la diminuzione dell’influenza americana in Medio Oriente, già da tempo sempre meno rilevante.
In questo senso le continue pressioni della Casa Bianca affinché Israele operi nella Striscia minimizzando al massimo le vittime civili, consentendo continui aiuti umanitari, e recentemente la richiesta di terminare in un tempo breve le operazioni militari ad alta intensità, non solo rischiano di compromettere il raggiungimento dell’obiettivo militare, ma sono sostanzialmente lesivi anche degli interessi geopolitici americani.
Gli Stati Uniti avrebbero solo un vantaggio nell’ottenere l’eliminazione di una forza jihadista sostenuta dall’Iran, un rafforzamento di Israele, e la riapertura, una volta che la guerra sarà finita, della finestra diplomatica israelo-saudita, ma, al momento, prevalgono considerazioni politiche strettamente legate all’hic et nunc, allo scontento di una parte del partito democratico nei confronti di Joe Biden per il suo sostegno a Israele e, soprattutto di una parte del suo elettorato. Le ultime dichiarazioni del presidente americano a proposito dei bombardamenti “indiscriminati” di Israele sono un obolo pagato alla sua base elettorale e ai suoi critici. Più che su una vittoria netta di Israele e sul futuro della propria influenza in Medio Oriente, Washington guarda con preoccupazione alle prossime elezioni presidenziali, in un momento in cui il vantaggio di Donald Trump in alcuni degli stati chiave è netto, e la popolarità di Biden è a picco.
Gli ostaggi e gli interessi immediati americani rappresentano per Israele i maggiori aggravi sulla riuscita della guerra. Una nuova tregua darebbe a Hamas, che si trova nella condizione di non potere resistere per mesi alla pressione militare israeliana, e che quindi è oggettivamente destinato a essere sconfitto qualora essa prosegua con forza e determinazione, un evidente vantaggio. Su un’altra tregua peserebbe ulteriormente la pressione americana nel tentativo di limitare, depotenziandola, l’offensiva israeliana.
Non c’è altra scelta per Israele quindi, se non quella di arrivare alla conclusione dell’operazione militare, liberando la Striscia dalla presenza di Hamas, ricostruendo in questo modo la propria capacità di deterrenza enormemente lesionata il 7 ottobre, e mostrando al mondo che un episodio di questa portata non può avere altro esito se non la distruzione di chi lo ha perpetrato. Solo questa può essere considerata una vittoria.
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