Israele e Iran

La minaccia incombente e le sue incognite

«Sete di sangue» è l’espressione più diffusa nei mass media iraniani dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh. La ripetono incessantemente tutte le emittenti statali, da Jam-e Jam a Hamshahri, da Khorasan all’intransigente Vatan-e Emrooz. Ali Khamenei ha promesso di vendicare l’onta inflitta alla Repubblica islamica attraverso l’omicidio mirato del leader di Hamas: «Hanno ucciso il nostro caro ospite nella nostra casa e ci hanno lasciato in lutto, ma hanno preparato una dura punizione per sé stessi». 

Il New York Times e Axios riportano che agenti del servizio di intelligence israeliano, il celebre Mossad, avrebbero collocato una bomba nel complesso che ospitava Haniyeh, sorvegliato dal Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC), e l’hanno fatta esplodere a distanza. Come prevedibile, i mass media iraniani hanno respinto l’affermazione di una bomba piazzata in precedenza, poiché metterebbe in luce una grave carenza dei servizi di sicurezza del regime. 

Per contrastare questa narrazione, i media iraniani ne hanno promossa una diversa, avanzata da un rappresentante di un diverso gruppo terroristico palestinese che era ospitato nello stesso complesso: un missile, o un razzo, sparato dall’esterno dell’edificio avrebbe colpito la stanza di Haniyeh. L’IRGC ha sostenuto questa accusa in un comunicato stampa, dichiarando che un proiettile a corto raggio con una testata da sette chilogrammi sarebbe stato sparato dall’esterno dell’edificio, uccidendo Haniyeh. 

Le implicazioni politiche e militari di un apparato di sicurezza iraniano perforato o aggirato riportate dalla stampa occidentale sono, almeno all’apparenza, così schiaccianti che non tutte le organizzazioni terroristiche potrebbero crederci. Ad esempio, un funzionario talebano in Afghanistan è arrivato, di recente, a sostenere che Iran e Israele sarebbero «due facce della stessa medaglia», suggerendo che l’IRGC e Khamenei sarebbero implicati nella morte di Haniyeh quanto il Mossad. 

Cospirazioni a parte, mai prima d’ora il capo di un membro dell’Asse della terrore era stato ucciso sul suolo iraniano, dunque è facile che la mente corra a una storia di servizi di sicurezza della Repubblica islamica «deviati», ossia intenti a collaborare con agenzie di intelligence straniere. Almeno sei scienziati nucleari iraniani, tra cui l’ex capo del programma nucleare militare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh-Mahabadi, sono stati uccisi sul suolo iraniano negli ultimi quindici anni. Questa storia, unita a una serie di attacchi informatici contro infrastrutture critiche  ed esplosioni in siti militari e nucleari nel corso degli anni, oltreché al furto dell’archivio atomico iraniano da parte di Israele, aveva precedentemente spinto un ex ministro iraniano ad affermare che «alcuni funzionari della Repubblica islamica dell’Iran dovrebbero temere per le loro vite». 

Questo punto è stato sollevato anche alla lettura della preghiera del venerdì a Teheran. Quando sono state fatte queste accuse, il regime avrebbe avviato  arresti e interrogatori di massa del personale di sicurezza e di intelligence legato alla sorveglianza del complesso (e non solo) in cui risiedeva Haniyeh. 

Il periodo di lutto nazionale in Iran si è concluso. Sarebbe stato eccezionalmente improbabile che Teheran lanciasse attacchi  diretti dal suo territorio contro Israele durante quel periodo. I media israeliani in lingua inglese che citano Sky News Arabia riportano che l’attacco iraniano avverrà probabilmente il 12-13 agosto, che coincide con Tisha B’Av, un giorno di lutto ebraico. Se così fosse, ciò darebbe all’Iran un periodo di dodici giorni per coordinarsi. La tempistica offrirebbe allo stesso modo a Washington, così come ai suoi partner europei e mediorientali, e in particolar modo a Israele, l’opportunità di organizzare una difesa impressionante, come quella vista ad aprile, e di limitare qualsiasi  ricaduta politica. Vale la pena ricordare che dodici era anche il numero preciso di giorni tra l’attacco all’edificio damasceno che ospitava alti funzionari dell’IRGC, da parte di Israele, e la risposta dell’esercito iraniano.

Dato che una reazione militare iraniana è una questione di quando e non di se, due fattori incombono: in primo luogo, l’Iran chiaramente non pensa che la sua operazione «True Promise» di aprile sia stata sufficiente a dissuadere Israele dall’intraprendere azioni più audaci, poiché gli obiettivi di Israele sono passati da una presunta struttura «diplomatica» a Damasco alla capitale iraniana.  

Questo significa che, probabilmente, la potenza di fuoco iraniana aumenterà, sia in termini di qualità, più missili balistici a medio raggio (MRBM) e più missili da crociera da attacco terrestre (LACM) rispetto ai droni, sia in termini di quantità, come il volume dietro ogni salva. Tale scenario presenterà rischi maggiori se abbinato agli attacchi «per procura» (Houthi ed Hezbollah) e sarà una verifica della capacità dell’Iran di coordinare la potenza di fuoco a lungo raggio contro più obiettivi.  

L’attacco iraniano di aprile ha impiegato 100 MRBM, il 50% dei quali, secondo quanto riferito, non è riuscito a partire o non ha raggiunto il proprio obiettivo. Se l’Iran dovesse impiegare altri MRBM, magari più avanzati, o testare il suo presunto missile “ipersonico” Fattah durante il prossimo round, i risultati potrebbero essere diversi. 

In secondo luogo, nonostante l’attacco di precisione di Israele a una struttura radar a Isfahan il 19 aprile e il suo recente assassinio a Teheran, l’Iran si sta dimostrando sempre meno scettico sulla possibilità di attaccare Stati meglio armati e persino dotati di armi nucleari. Per un regime che ha perfezionato l’arte della «guerra per procura», è quantomeno anomalo, ma la dice lunga sul clima mediorientale, entrato in una nuova fase della sua storia, dove la Repubblica islamica ritiene possibile un suo coinvolgimento diretto. 

Una situazione che offre ad alcuni Stati che si oppongono alla Repubblica islamica, l’occasione di attirare e coinvolgere Teheran in più impegni militari, che potrebbero far emergere le carenze del regime in fatto di guerra convenzionale; certo è che la crescente efficacia dei missili balistici da parte della Repubblica islamica renderanno questi scontri eccezionalmente pericolosi per tutte le parti coinvolte. 

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