e Gershon Hacohen
Fin dal suo inizio, il movimento sionista si impegnò per la piena uguaglianza civile e religiosa della minoranza non ebrea nel futuro Stato ebraico (come stipulato nella Dichiarazione Balfour del 1917 e nel Mandato della Società delle Nazioni).
Secondo un progetto di costituzione del futuro stato ebraico, preparato da Ze’ev Jabotinsky nel 1934, gli arabi e gli ebrei avrebbero dovuto condividere tutti i diritti e doveri, compreso il servizio militare e civile; l’ebraico e l’arabo avrebbero dovuto godere della stessa posizione legale; e “In ogni gabinetto in cui il primo ministro è ebreo, il vice premierato sarà offerto a un arabo e viceversa”.
Facendo eco a questa visione, circa un decennio dopo, David Ben-Gurion dichiarò che “Non si dovrebbe nemmeno contemplare uno Stato ebraico privo di piena e assoluta uguaglianza, politica, civile e nazionale, per tutti i suoi residenti e cittadini … in uno Stato ebraico, un arabo potrebbe essere eletto primo ministro o presidente, se idoneo per il posto “.
Ciò venne esplicitato tra l’altro dalla Proclamazione della Indipendenza di Israele (14 maggio 1948), la quale garantiva “La completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti indipendentemente da religione, razza o sesso” e sollecitava i cittadini arabi dello stato nascente “a partecipare all’edificazione dello Stato sulla base della piena ed equa cittadinanza e della dovuta rappresentanza in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti”. Questa visione ultraliberale e inclusiva si basava sul presupposto – alla base dell’essenza di tutti gli stati-nazione – dell’accettazione da parte dei suoi cittadini della sua legittimità e del loro rispetto delle sue leggi, norme e regolamenti.
Per raggiungere questo obiettivo, Israele ha approvato la Legge del ritorno, che garantisce agli ebrei, ovunque essi si trovino, il diritto alla cittadinanza qualora dovessero scegliere di rendere Israele la loro casa, nonché una legislazione specifica volta a salvaguardare il carattere ebraico di Israele, in particolare la Legge fondamentale : La Knesset (articolo 7A), ha stipulato che:
Una lista di candidati non deve partecipare alle elezioni per la Knesset e una persona non deve essere candidata per l’elezione alla Knesset, se gli oggetti o le azioni della lista o le azioni della persona, espressamente o implicitamente, includono uno dei seguenti elementi:
1. La negazione dell’esistenza dello Stato di Israele in quanto Stato ebraico e democratico;
2. istigazione al razzismo;
3. Il sostegno alla lotta armata, da parte di uno Stato ostile o di un’organizzazione terroristica, contro lo Stato di Israele.
Di fatto, quando, nel 1965, la Commissione elettorale centrale squalificò la Lista socialista araba organizzata dal movimento irredentista al-Ard, che respingeva la stessa esistenza di Israele, dalla competizione per la Knesset, la Corte Suprema ratificò quella misura sotto la dottrina della “democrazia difensiva”. Come affermato dalla Corte in un’opinione a maggioranza: “Non vi è alcun dubbio che lo Stato di Israele non è solo uno Stato sovrano, indipendente, che protegge la libertà ed è caratterizzato dal governo del popolo, ma anche che è stato stabilito ‘come uno Stato ebraico nella Terra di Israele’ “.
Da allora, e soprattutto dopo il varo del “processo di pace” di Oslo nel 1993, i partiti arabi di Israele hanno subito una massiccia radicalizzazione. Ignorando la legislazione che vieta le visite non autorizzate degli israeliani negli stati nemici, Azmi Bishara, leader fondatore dell’ultranazionalista partito Balad (con seggi nel parlamento israeliano dal 1999), si recò a Damasco per commemorare la morte di Hafez Assad, uno dei nemici più implacabili di Israele, da dove implorò gli Stati arabi di consentire alle “attività di resistenza” anti-israeliane, espresse ammirazione per Hezbollah ed esortò gli arabi israeliani a celebrare i risultati dell’organizzazione terroristica e a fare proprie le sue strategie operative.
Il suo pari alla Knesset, Ahmad Tibi era fuori di sé dalla gioia per riuscire ad incontrare il figlio del tiranno defunto, Bashar Assad (nel gennaio 2009), che presto avrebbe continuato a massacrare centinaia di migliaia dei suoi stessi cittadini. “I capi di stato stanno implorando di stringere la mano di Assad, strisciando per stringergli la mano”, gongolò in una riunione elettorale araba israeliana. “Eppure quello che non riescono a ottenere nonostante il loro strisciare, altri lo ottengono.”
L’anno seguente, Tibi si recò in Libia con una delegazione di parlamentari arabi israeliani per incontrare il dittatore Muammar Gheddafi, che regnò a lungo (e che sarebbe stato deposto a breve), lodandolo come “Re degli Arabi” e che fu elogiato da uno dei delegati di Tibi come “Un uomo di pace che tratta il suo popolo nel miglior modo possibile”.
Di fronte alle aspre critiche della Knesset al loro ritorno, il membro della Knesset Taleb Sana non fece ammenda. “Il nemico di Israele è Israele stesso”, disse. “Come ha detto Gheddafi durante la visita, gli arabi non hanno alcun problema con gli ebrei ma solo con il sionismo. Forse imparerete e capirete un giorno, cioè: abolite lo Stato ebraico di Israele.”
A quest’epoca, gli appelli espliciti alla distruzione di Israele avevano sostituito il sostegno non esplicito degli anni ’90 nei confronti di questo obiettivo. Bishara, il cui partito Balad era basato sulla trasformazione di Israele “in uno Stato di tutti i suoi cittadini” (l’eufemismo standard per la sua trasformazione in uno Stato arabo in cui gli ebrei sarebbero ridotti a una minoranza permanente), divenne sempre più esplicito dopo la sua fuga dal paese nel 2006 per evitare l’arresto e le azioni penali per tradimento, avendo presumibilmente assistito Hezbollah durante la guerra contro Israele nell’estate di quell’anno, quando aveva predetto che il destino dello Stato ebraico sarebbe stato identico a quello degli stati crociati. (Dieci anni dopo, Balad e il partito comunista Hadash avrebbero condannato la designazione da parte della Lega araba di Hezbollah come organizzazione terroristica, in quanto funzionale agli interessi di Israele.)
Il suo successore, Jamal Zahalka, preferì adottare una metafora più contemporanea, sostenendo che proprio come l’apartheid sudafricano era stato rimosso, così la sua controparte sionista avrebbe dovuti essere distrutta, mentre il “comitato nazionale dei capi dei comuni arabi locali in Israele”, la leadership reale degli arabi israeliani, pubblicò un lungo documento che delineav la sua “Visione futura per gli arabi palestinesi in Israele”. Il documento derideva Israele come “un prodotto dell’azione colonialista avviata dalle élite ebraico-sioniste in Europa e in Occidente”, che, accusavano, aveva perseguito “una politica interna colonialista contro i suoi cittadini arabi palestinesi”. Il documento quindi rigettava la persistente esistenza di Israele in quanto Stato ebraico e chiedeva la sua sostituzione con un sistema che garantisse i “diritti nazionali, storici e civili arabi sia a livello individuale che collettivo”.
Siccome questa costante ondata ultranazionalista venne accolta da una corrispondente riluttanza da parte del sistema legale nel fare rispettare la legislazione progettata per garantire il carattere ebraico di Israele (prima delle elezioni del febbraio 2009 e dell’aprile 2019, ad esempio, la Corte suprema annullò la squalifica della Commissione elettorale centrale di Balad e posè il veto alla squalifica dei membri arabi della Knesset che espressero “sostegno alla lotta armata, da parte di uno Stato ostile o di un’organizzazione terroristica, contro lo Stato di Israele”), il rigetto dei politici arabi israeliani nei confronti della natura ebraica di Israele è diventato sempre più marcato.
Di conseguenza abbiamo Tibi che dichiara al presidente Reuven Rivlin durante le consultazioni parlamentari del settembre 2019 che “Siamo i proprietari di questa terra … non siamo immigrati qui, siamo nati qui, siamo una popolazione nativa”. Sei mesi dopo, a seguito di un altra tornata di elezioni nazionali che portò la rappresentanza alla Knesset della Lista araba al risultato senza precedenti di 15 parlamentari, Tibi divvene molto più sfacciato. “Terra di Israele è una frase colonialista”, dichiarò in un’intervista radiofonica. “Respingo con disprezzo la definizione ‘Giudea e Samariaì “. Questa è la West Bank palestinese, i territori sono territori palestinesi occupati.”
Naturalmente la Terra di Israele era conosciuta come tale millenni prima dell’avvento del colonialismo europeo, o anche prima che i colonialisti romani la ribattezzassero Siria Palaestina proprio per cancellare il millenario diritto ebraico a questa terra. Le aree bibliche della Giudea e della Samaria erano conosciute con questo nome sin dai tempi biblici, migliaia di anni prima di essere ribattezzate West Bank (del Regno hascemita) nel 1950 dal re Abdullah ibn Hussein. Il Mandato della Società delle Nazioni per la Palestina delineava i confini del paese secondo la sua interpretazione del termine biblico “da Dan a Beersheba”, mentre la Palestina mandataria includeva un sostanziale distretto samariano comprendente gran parte dell’aspirante “West Bank”.
Ma che dire dei tre ex capi dello staff IDF a capo del partito Blu e Bianco? Non si rendono conto che non sono altro che gli “utili idioti” della Lista araba per l’obiettivo finale della Lista(come rivelato candidamente da Odeah, che ha descritto la collaborazione con questo partito come un trampolino di lancio per “rovesciare la regola della destra guidata da Netanyahu” in itinere per giungere alla fine “dell’egemonia sionista”)? Il loro odio per Benjamin Netanyahu li ha accecati al punto da dimenticare i valori e gli ideali per i quali hanno combattuto per decenni e mettere a rischio il futuro di Israele?
Traduzione di Niram Ferretti
https://www.meforum.org/60579/the-struggle-for-israel-jewish-soul