La Francia – e in misura minore la Sante Sede – ha avuto, nel corso dei secoli, un ruolo di primissimo piano nella gestione e nella tutela dei Luoghi Santi del cattolicesimo nell’Impero ottomano, e in particolar modo di quelli presenti a Gerusalemme. Questo retaggio, che ha una grande valenza politico-diplomatica, è ancora, oggi, molto forte tanto da avere causato due grandi incidenti diplomatici tra il governo francese e quello israeliano in occasione delle visite ufficiali dei presidenti francesi Chirac e Macron a Gerusalemme.
In quelle occasioni i due presidenti non vollero in nessun modo che le autorità israeliane potessero accedere in alcune chiese e in istituti religiosi cattolici al fine di garantire la necessaria sicurezza, avvalendosi del supposto regime di “extra territorialità” di quei luoghi e, di conseguenza, negando l’accesso ai poliziotti israeliani. E’ del tutto evidente che questi “incidenti” siano stati costruiti ad arte dai francesi per mettere in discussione l’autorità israeliana su Gerusalemme a mero scopo politico vista anche la grande enfasi mediatica data ai due episodi.
La questione dei luoghi santi e del rispetto dei diritti religiosi acquisiti nell’Impero ottomano, ha dato luogo a lunghe trattative e accesi scontri diplomatici fin dal XVI secolo. Un primo accordo tra la Francia e l’Impero ottomano lo ottenne il re Francesco I nel corso del ‘500. Da questo primo accordo si passò nel secolo successivo al sistema delle Capitolazioni, costituite da accordi giuridici veri e propri per cui i Sultani ottomani accordavano diritti e privilegi in favore dei sudditi degli Stati cristiani, presenti a diverso titolo sul territorio ottomano, come una sorta di estensione dei diritti e privilegi di cui quelle stesse Potenze europee avevano goduto all’epoca dell’ Impero bizantino in campo religioso, commerciale e diplomatico.
In ambito religioso, la Francia era lo Stato che deteneva maggiori privilegi tanto da vantare un vero e proprio “protettorato” sui luoghi santi cristiani. Questo privilegio fu per molto tempo assecondato e favorito dallo Stato Pontificio, ma dopo la rottura delle relazioni diplomatiche avvenuta nel 1905 (a causa della legge francese che stabiliva la laicità ufficiale dello Stato) il “predominio” francese sui luoghi santi cattolici fu contrastato perfino dal Vaticano, anche in occasione della stesura del testo del Mandato per la Palestina.
Questa sorta di protettorato francese che si era instaurato nel corso dei secoli, fungeva anche da garanzia per lo status quo finalizzato alla gestione delle principali chiese cristiane di Gerusalemme perennemente contese soprattutto da cattolici e ortodossi. Con il termine status quo si intendeva fare riferimento alla situazione raggiunta, sotto egida francese, dalle varie comunità cristiane presenti sul territorio a partire dal 1690 dopo i duri scontri tra le comunità cristiane per la gestione in primis del Santo Sepolcro.
Tale situazione fu confermata con l’approvazione dell’editto ottomano o firman del 1852 con il quale si determinavano i diritti di libertà di culto e i poteri delle varie confessioni religiose cristiane (latina, greco-ortodossa, armena, copta, siriaca ed etiope) nella gestione delle chiese e degli istituti religiosi sotto la protezione francese. Ma lo status quo faticosamente raggiunto fu messo in discussione con l’ascesa della Russia zarista che portò ad aumentare la conflittualità tra le componenti cattoliche e ortodosse soprattutto a Gerusalemme. Di conseguenza, la Francia di Napoleone III aumentò la pressione politica e diplomatica a livello internazionale per dirimere la questione ed aumentare il proprio prestigio e la propria influenza all’interno dell’Impero ottomano oltre che nel mondo cristiano. Così l’editto del 1852 ottenne il riconoscimento internazionale nel 1856 con il Trattato di Parigi. Di fatto, da questo momento, la Francia divenne “Potenza protettrice” dei Luoghi Santi cristiani cattolici, cosa che fu ribadita e ampliata tramite il dettagliato Articolo 62 del Trattato di Berlino del 1878. Con questo ulteriore passo la questione veniva disciplinata a tutti gli effetti dal diritto internazionale.
Nel 1914, con l’entrata dell’Impero ottomano in guerra a fianco di Germania e Austro-Ungheria, i turchi con un atto unilaterale abolirono i Capitolati a partire dal 1° ottobre. Già durante le incerte fasi della guerra le Grandi Potenze iniziarono a discutere sul destino dei Luoghi Santi: l’accordo Sykes-Picot del 1916 prevedeva la loro internazionalizzazione. Questo fu il primo colpo alla dominante posizione francese dopo diversi decenni. Successivamente la Francia perse il suo riconosciuto ruolo in occasione della Conferenza di Sanremo (1920) con la quale si istituiva il Mandato per la Palestina affidato alla Gran Bretagna. Infine, le Capitolazioni furono definitivamente abrogate con il Trattato di Losanna del 1923. L’abrogazione riguardava, però, solo il nuovo territorio della Turchia, mentre per quello che concerneva il territorio ex turco diventato Mandato di Palestina, la questione si rivelò molto più complessa.
E’ importante sottolineare che la stesura del testo del Mandato per la Palestina fu molto dibattuta tra inglesi e francesi relativamente agli articoli sui Luoghi Santi. Infatti, l’ultimo articolo del Mandato ad essere approvato fu l’Articolo 14 relativo alla creazione di una commissione speciale commissione per i luoghi santi di tutte le confessioni. Per la sua vaghezza, questo articolo (che però di fatto toglieva i privilegi goduti dalla Francia) fu osteggiato dai francesi fino all’ultimo, tanto è vero che il Mandato per la Palestina, assieme a quello per la Siria, doveva essere approvato nel maggio del 1922 ma l’approvazione fu rinviata proprio a causa del disaccordo tra le due potenze (e il Vaticano) sulla gestione e i privilegi dei Luoghi Santi cristiani. Così la stesura definitiva del Mandato di Palestina fu approvata solo due giorni prima della sua ratifica da parte della Società delle Nazioni il 24 luglio. Con l’entrata in vigore del Mandato, la Francia perdeva definitivamente il protettorato dei Luoghi Santi, cosa ribadita anche dal Vaticano tramite il suo Segretario di Stato Cardinale Gasparri.
Come già accennato, il Trattato di Losanna prevedeva l’abrogazione dei Capitolati esclusivamente nel territorio anatolico, mentre il testo del Mandato di Palestina all’Articolo 8 aboliva tali privilegi solo per la durata del Mandato stesso. Una volta concluso il Mandato, il paragrafo 2 dell’Articolo 8 sanciva il ristabilimento immediato dei privilegi precedentemente accordati dai turchi. Non c’è completa chiarezza giuridica sul fatto che Israele, in qualità di legale successore del Mandato per la Palestina, debba rispettare questo vincolo non avendo sottoscritto nulla di vincolante in tal senso. Però, un’altra importante annotazione è da fare in merito all’Articolo 28 del Mandato, in quanto in questo articolo si fa esplicita menzione agli Articoli 13 e 14 del Mandato (relativi ai Luoghi Santi) quando si afferma: “…il Consiglio della Società delle Nazioni prenderà le disposizioni che potranno essere ritenute necessarie per salvaguardare in perpetuo, sotto la garanzia della Lega, i diritti garantiti dagli Articoli 13 e 14. …”.
La prima considerazione da fare è sulla dubbia legittimità di tale disposizione, in quanto il diritto internazionale si occupa degli Stati e non delle questioni inerenti ai gruppi religiosi o agli individui per di più in modo “perpetuo”. La seconda considerazione è che in ogni caso questa disposizione fu inserita – unico caso al mondo – nella risoluzione di ammissione di Israele all’ONU. Infatti, la Risoluzione 273 dell’11 maggio 1949, con la quale Israele veniva ammesso come cinquantanovesimo Stato membro, nel preambolo recita: “ … Ricordando le proprie risoluzioni del 29 novembre 1947 e dell’11 dicembre 1948 e prendendo atto delle dichiarazioni e delle spiegazioni rese dal rappresentante del governo di Israele dinanzi al Comitato politico creato ad hoc in merito all’implementazione delle dette risoluzioni. …”. Il riferimento, contenuto in questa parte di preambolo, è alla Risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948 che contiene, tra le altre cose, al paragrafo 7 la questione relativa ai luoghi santi alle tre religioni e alla relativa commissione. Qui sembra evidente il richiamo agli Articoli 13 e 14 del Mandato di Palestina e alla loro “salvaguardia perpetua dei diritti”. Il governo di Israele, come recita la Risoluzione 273 nella frase “…prendendo atto delle dichiarazioni e delle spiegazioni rese dal rappresentante del governo di Israele dinanzi al Comitato politico…”, accettò con un proprio memorandum il rispetto di questa disposizione ma nel medesimo documento rigettò le richieste contenute nella Risoluzione 181 del 29 novembre 1947 e le disposizioni relative ai rifugiati arabi causati dall’aggressione militare araba del 1948.
Ancora oggi i detrattori di Israele affermano, falsamente, che Israele non si attiene a quanto accettato con la Risoluzione 273 ma volutamente omettono di dire che Israele ha accettato solo la disposizione relativa ai luoghi santi e ha rigettato tutte le altre richieste prive di ogni contenuto legale. Infatti, nella medesima frase della risoluzione 273 si fa riferimento ad un comitato politico e non legale.
In ogni caso dopo la discussione del memorandum del governo di Israele presso il comitato politico, l’Assemblea Generale ha accettato l’ingresso dello Stato ebraico fugando ogni dubbio sul suo rispetto delle disposizioni legali. E’ superfluo ribadire che a nessun altro Stato è mai stato richiesto nulla di simile al momento del suo ingresso all’ONU.
La Francia dopo aver perso, nel periodo mandatario, ogni privilegio e tutela dei Luoghi Santi tornò alla carica con il neo costituito Stato di Israele per riottenere i privilegi perduti. Facendosi forza del suo grande peso politico internazionale e di una sua possibile futura collaborazione militare ed economica, subordinò il suo riconoscimento di Israele al ripristino di alcune prerogative che le erano state accordate con i Capitolati ottomani. Questo ricatto si concluse il 24 gennaio 1949 con la firma di un’intesa (accordo Chauvel-Fischer) che garantiva alla Francia dei diritti su alcuni edifici religiosi considerati extra territoriali a Gerusalemme e in altre località israeliane. Contestualmente a questo accordo la Francia riconobbe ufficialmente lo Stato di Israele. Va però sottolineato che questa intesa non è mai stata ratificata con una legge approvata dalla Knesset (come ribadito anche dalla Corte Suprema) perciò essa non vincola Israele nei termini del diritto internazionale.
Quindi l’attuale situazione in merito a questi antichi privilegi è tutt’altro che risolta. Infatti, esistono vari contenziosi tra lo Stato di Israele e alcuni enti religiosi a proposito del regime di tassazione e della presunta extra territorialità di determinati immobili. La Santa Sede e la Francia in più occasioni hanno attaccato lo Stato di Israele a questo proposito e non accettano nessun compromesso che non sia il pieno rispetto delle antiche Capitolazioni. La Francia lo fa, soprattutto, a scopo politico-dimostrativo.
Alcuni dei principi contenuti nello status quo sono stati mantenuti con l’Accordo Fondamentale del 1993 tra lo Stato di Israele e la Santa Sede, dopo il quale si è proceduto al riconoscimento dello Stato ebraico da parte del Vaticano.
Un’ultima annotazione, di carattere politico. La Francia, il Vaticano e l’ONU non hanno mai fatto menzione di questi privilegi di extra territorialità con l’Autorità Nazionale Palestinese in caso in cui si stabilisse uno Stato palestinese con capitale nella zona est di Gerusalemme, mentre nei confronti di Israele la Francia, il Vaticano e l’ONU hanno tutti preteso, come si è visto, delle precise garanzie in merito. Due pesi e due misure? Domanda retoricamente oziosa.