Martin Sherman, nell’ultima intervista concessa all’Informale, con l’abituale realismo che lo contraddistingue, a proposito di Gaza ha detto, “L’unico modo per assicurarsi su chi governa Gaza è governarla in proprio e l’unico modo di governare Gaza senza governare un altro popolo è rimuovere questo popolo dal proprio controllo. E’ semplice logica matematica ed è anche una situazione che si può giustificare moralmente in modo assai semplice. Se il proprio punto di partenza è che gli ebrei sono titolati ad avere un loro Stato ebraico allora bisogna conferire a questo stato le condizioni per la sua sussistenza. Quindi non si può avere una concentrazione di popolazione il cui obbiettivo sia la sua distruzione”.
Difficile essere più cartesianamente chiari e conseguenti. Sherman afferma da anni che l’unica soluzione razionale al conflitto arabo-israeliano è la rimozione dal territorio contiguo a Israele, attraverso incentivi e benefici economici, dei palestinesi non belligeranti sottoponendo quelli belligeranti a una risoluta serie di misure coercitive che li costringa a prendere atto della loro situazione senza uscita.
I missili lanciati nelle ultime ore da Gaza sul sud di Israele, 150, ed arrivati a Siderot e Ashkelon sono soltanto la continuazione delle ostilità messe in piedi dal 30 marzo ai confini tra Gaza e Israele, da Hamas. Allora si trattò del tentativo di sfondare la barriera di separazione con lo Stato ebraico attraverso operazioni di sabotaggio nel contesto di una protesta di massa fatta passare per pacifica. Visto il fallimento di questo tentativo e la risposta senza tentennamenti da parte di Israele si è poi continuato distruggendo ettari e ettari di coltivazioni tramite aquiloni e palloncini incendiari.
E’ chiaro a tutti che se Israele usasse al massimo il proprio potenziale militare, Hamas verrebbe spazzato via nel giro di pochi giorni, ma il costo umano, soprattutto all’interno della Striscia, dove Hamas, durante i conflitti si è sempre servito della popolazione come scudo, sarebbe terribilmente alto. Non solo, l’eliminazione di Hamas dalla scena (con reciproca soddisfazione di Egitto e Arabia Saudita) comporterebbe per Israele la necessità di riprendere il controllo della Striscia, dopo averla lasciata nel 2005. Prospettiva che non è assolutamente nel suo interesse.
D’altro canto Hamas, nel tirare la corda, spera di ottenere alla fine, in virtù dell’intermediazione dell’Egitto, dei vantaggi che gli consentano di continuare a mantenere il potere, l’unico obbiettivo concreto che gli prema.
La situazione registra dunque, oggettivamente, una impasse. E di nuovo, in conclusione, ritorniamo a Martin Sherman, al suo realismo, “La soluzione non è la ricostruzione di Gaza ma la sua decostruzione o il cerchio della violenza continuerà a ripetersi senza fine“. Difficile dargli torto.
La decostruzione di Gaza implica la volontà politica lucida, inappellabile e determinata di rimuovere dal territorio in modo non cruento, come propone Sherman, la causa del problema. Non se ne può uscire in nessun altro modo. Non ci sono altre vie. Nelle parole di Albert Camus, “Era l’evidenza, questa; beninteso, ci si poteva sforzare di non vederla, tapparsi gli occhi e rifiutarla, ma l’evidenza ha una forza terribile che finisce sempre col vincerla su tutto”.