Israele e Stati Uniti

La doccia gelata

Era difficile immaginare solo fino a poco tempo fa uno scenario come quello di quello in corso.

La vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane, che tutti i sostenitori di Israele immaginavano avrebbe immediatamente modificato in modo radicale l’mpostazione americana nei confronti di Israele consentendogli un maggiore impeto nella conduzione della guerra a Gaza contro Hamas, allo stato attuale ha l’effetto di una doccia fredda, o meglio gelida.

È stato sufficiente che arrivasse in Israele lunedì Steve Witkoff, l’emissario scelto da Trump per il Medio Oriente perché Benjamin Netanyahu, che per mesi ha resistito alle pressioni continue dell’Amministrazione Biden per costringerlo ad accettare un accordo con Hamas, abbia ceduto le armi apprestandosi ad acconsentire a quella che più che una richiesta pare un diktat.

La realtà si palesa con l’aspetto brutale di una ben precisa volontà.

Giorni fa, Trump ha dichiarato in modo perentorio che gli ostaggi ancora prigionieri a Gaza devono essere liberati prima del suo insediamento alla Casa Bianca, al quale mancano solo cinque giorni. A tutti era parso che questa richiesta fosse fondamentalmente rivolta a Hamas, e che il fuoco e le fiamme che Trump aveva promesso nel suo abituale modo roboante se questo non avverrà, nuovamente fosse rivolto al gruppo jihadista.

Così non è. È Israele che si deve piegare, e in fretta, all’esigenza di Trump, che è quella di accreditarsi come il problem solver, come il Mr. Wolf più abile del mondo, colui che in 24 ore è in grado di terminare una guerra che dura da ormai tre anni, come quella tra Ucraina e Russia (e se questo è l’antipasto che viene servito a Netanyahu è bene che Zelensky si prepari al peggio).

Il sunto è rapido, il vecchio e sonnecchiante Joe non è riuscito a ottenere per mesi e mesi dal riluttante Bibi quello che io ho ottenuto in poche ore. Sì, ma a che prezzo per Israele?

Hamas, che fino a qualche giorno fa pareva con le spalle al muro, dopo la ritirata di Hezbollah, la caduta di Assad, l’Iran in ritirata, ora ha dalla sua il vantaggio di esigere da Israele ben precise richieste, la principale e la più importante, quella irremovibile è che, a seguito dell’implementazione delle fasi dell’accordo, le truppe dell’IDF lascino la Striscia definitivamente e lasciandola lo lascino lì dove si trova. Conclusione troppo ardita e pessimistica? Non ci pare.

Trump è riuscito a mettere Israele con le spalle al muro per una gratificazione personale. Ingeneroso? Non ci pare.

Di fatto, ora è Hamas che rilancia e non Israele. Certo, si può sperare che Hamas esageri, che anch’esso, colto di sorpresa favorevolmente, si faccia prendere dall’hubris e che costringa Israele a non accordarsi nonostante la volontà di Trump. Ovviamente è possibile, ma resta il danno in corso, resta la sorpresa amara, il boccone che sa di fiele.

Se il buongiorno si vede dal mattino è un mattino tra i peggiori.

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