Editoriali

La damnatio memoriae del MSI e i fatti

«La seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, ha ricordato la fondazione del Movimento Sociale Italiano sottolineando orgogliosamente che il padre fu uno dei suoi fondatori e che – a suo dire – rispettò la Costituzione italiana. 

L’MSI venne fondato nel dicembre del 1946 dai fascisti che avevano militato nella Repubblica Sociale Italiana, una propaggine del regime fascista oramai decadente, fondato nel 1943 da Benito Mussolini e instaurato nella parte di territorio italiano occupato dai nazisti. 

L’MSI guidato da Giorgio Almirante promosse violente manifestazioni di piazza, alcuni esponenti furono coinvolti in episodi di eversione e nella “strategia della tensione” che tutto fanno pensare eccetto che nei suoi 49 anni di vita fosse stato un partito rispettoso dei valori della carta costituzionale. Lo stesso Gianfranco Fini, eletto per acclamazione alla guida del partito, dovette recidere di netto le radici storiche dell’MSI dando vita ad Alleanza Nazionale, partito nel quale militò l’attuale e incoerente Presidente del Senato».

Così recita un post, che riportiamo integralmente per correttezza, comparso in data 28 dicembre sulla pagina Facebook di «Progetto Dreyfus». Lo scritto in questione merita di essere analizzato con attenzione, poiché contiene una serie di imprecisioni che non rendono giustizia alla storia recente dell’Italia né all’impegno filoisraeliano del partito di cui La Russa è membro fondatore. Procediamo.

Il MSI è stato certamente istituito da «fascisti che avevano militato nella Repubblica Sociale Italiana», ma fin da allora dichiarano di non aver alcuna intenzione di riportare in vita il vecchio regime, reputato ormai anacronistico. La formula «non rinnegare, non restaurare» coniata da Augusto De Marsanich, segretario del Movimento dal 1950 al 1954, sintetizzava i rapporti tra la fiamma tricolore e la dittatura fascista.

Se nei primi anni della sua esistenza, il MSI non era ancora riuscito a elaborare pienamente l’esperienza fascista, subendo il condizionamento di un retaggio culturale e politico improponibile nell’Italia post-bellica, già nel corso del IV Congresso del partito, tenutosi a Viareggio nel 1954, venne eletto segretario Arturo Michelini, esponente della corrente moderata del Movimento, legata più agli anni del fascismo «regime», borghese e conservatore, che a quelli sanguinosi della Repubblica Sociale.

Michelini intendeva condurre il MSI nell’alveo della destra istituzionale per entrare così nel gioco parlamentare di quegli anni. Ne discese un posizionamento «occidentalista» del Movimento Sociale, che accettò l’Alleanza Atlantica in funzione anticomunista e avviò un ripensamento della «questione ebraica». Infatti, fin dal 1962, Giano Accame, storico e dirigente missino, dalle pagine della rivista «Il Borghese», diffuse un’immagine positiva dello Stato d’Israele, ossia quella di un piccolo stato stato eroico assediato dai comunisti arabi – correttamente considerati dal Movimento Sociale come pedine dell’Unione Sovietica. Nel frattempo, Giuseppe Ciarrapico, elemento di «cerniera» tra la destra democristiana e il MSI, iniziò a pubblicare testi apologetici sulle operazioni militari israeliane.

La guerra dei Sei Giorni (1967) e quella del Kippur (1973) vedono i vertici del Movimento schierati in difesa di Israele. In seguito alla guerra del Kippur, il deputato missino Giulio Caradonna, fervido sostenitore del sionismo, si recò al Museo della Shoah di Gerusalemme per deporre una corona di fiori. «Israele si espande perché è la Storia dell’Uomo che lo chiama a compiere quell’opera di civiltà e di guerra che altri popoli, altre nazioni (…) rifiutano di compiere. Israele è anche il nostro futuro», così si legge su una rivista giovanile del partito, dal tono sicuramente enfatico ma intriso di sincera ammirazione per lo Stato ebraico.

Il Movimento Sociale Italiano non solo accettò la democrazia parlamentare, ma assunse posizioni filosioniste, che non potevano essere bilanciate dalla minoranza filoaraba capeggiata da Pino Romualdi. Il post di «Progetto Dreyfus», inoltre, accusa il segretario storico dell’MSI, Giorgio Almirante, di aver promosso «violente manifestazioni di piazza». Tutt’altro, Almirante si oppose sempre alla violenza politica, arrivando a proporre la pena di morte per i terroristi di qualsiasi credo politico.

Lascia sinceramente sconcertati la seguente dichiarazione del post: «alcuni esponenti furono coinvolti in episodi di eversione e nella “strategia della tensione” che tutto fanno pensare eccetto che nei suoi 49 anni di vita fosse stato un partito rispettoso dei valori della carta costituzionale». La tesi circa una presunta «strategia della tensione» messa in atto da gruppi neofascisti col supporto di non meglio precisati «servizi segreti deviati» od organizzazioni come GLADIO, appartiene al campo della fantapolitica, buona forse per una puntata di «Atlantide» condotta da Andrea Purgatori, non certo per una disamina seria della storia dell’MSI.

Indro Montanelli, nel pieno degli Anni di Piombo, squalificò la tesi della «strategia della tensione» come un «teorema» mai dimostrato, utile a fornire un alibi al terrorismo rosso o a far ricadere sulla destra la responsabilità delle violenze politiche della sinistra. Il fatto, poi, che alcuni militanti dei settori giovanili e universitari dell’MSI si siano dati alla lotta armata, basti pensare al caso dei NAR, non è sufficiente a creare un nesso tra Movimento Sociale ed eversione. Anzi, spesso chi aderiva a gruppi terroristici, lo faceva in polemica con un MSI giudicato troppo «istituzionale» – e in effetti, il Moviemento Sociale si era incamminato sulla strada di una destra «nazionale».

Insomma, per il futuro, ci aspettiamo che una pagina seria come «Progetto Dreyfus» sia più attenta e precisa nell’affrontare i fatti politici della nostra storia recente.

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