Quasi sei mesi di martellante propaganda anti-israeliana sono più che sufficienti per la più forsennata demonizzazione di Israele che si ricordi. Sbiadiscono, al confronto, le critiche e le accuse del 2009 quando Israele colpì Gaza durante l’operazione Piombo Fuso, o quelle del 2014, quando ci fu l’ennesimo conflitto. Quello a cui si è assistito e si assiste oggi non ha alcun confronto con i conflitti precedenti.
Per la prima volta nella storia, un paese che ha subito un eccidio vero, che, se fosse stato possibile estenderlo su larga scala con i mezzi necessari, sarebbe diventato un genocidio, realizzando il programma che Amin al Husseini, il Mufti di Gerusalemme, avrebbe voluto attuare negli anni ’30, è stato condotto davanti a un tribunale internazionale da uno Stato colluso con i perpetratori dell’eccidio, accusandolo di genocidio.
Nemmeno l’estro grottesco di Friedrich Dürrenmatt avrebbe potuto immaginare tanto, ma è accaduto. Nonostante i numeri, oltretutto palesemente falsi, forniti da Hamas, attestino inequivocabilmente che una volta sottratti i jihadisti morti, i civili che hanno perso la vita non sono neanche l’uno per cento dei residenti della Striscia, si urla al genocidio, annientando il senso specifico della parola, riducendola a nonsenso.
Si è voluto e si vuole fare apparire Israele come il più efferato e criminale Stato sulla terra, dimenticando ogni altra guerra, ogni altra sua vittima civile, facendo apparire l’operazione militare a Gaza causata da una aggressione la cui barbarie è già negli annali degli orrori della storia, come una vendetta senza pari, una orrenda rappresaglia, mentre è una guerra, è la risposta inevitabile a un attacco subito, ed è una risposta che è vincolata come mai altra prima d’ora da codici e restrizioni umanitarie che nessun altro Stato in guerra si sarebbe autoimposto o si sarebbe fatto imporre. Ma tutto questo deve sparire dalla scena, Israele deve essere messo con le spalle al muro, deve essere costretto costantemente a giustificarsi, non davanti alla Corte dell’Aia ma davanti al tribunale internazionale, che non è quello fanatizzato delle piazze dove si inneggia alla distruzione dello Stato ebraico, alla “liberazione” della “Palestina” da ogni ebreo, Judenfrei, ma quello delle Cancellerie europee e dell’amico americano, che progressivamente si sta scollando dal sostegno, continuando ad assistere militarmente Israele ma, al contempo, aggregandosi al coro delle reprimende.
Su tutti troneggia l’ONU. Nessuna sorpresa. È dal 1967 in poi che ha fatto della criminalizzazione di Israele uno dei suoi pilastri, e oggi, sotto la presidenza dell’attuale segretario, il portoghese Guterres, è giunta a un acme parossistico di accuse che rasentano per eccesso e persistenza la caricatura.
In Egitto, al confine con Gaza, Guterres ha lamentato oggi, dopo avere contestualizzato l’eccidio del 7 ottobre, giustificandolo con il mito dell’occupazione, la bancarotta morale di Israele, perchè i camion che devono entrare a Gaza portando viveri e rifornimenti, sono fermi al valico, senza una sola parola di condanna per i comprovati saccheggi dei beni da parte di Hamas, senza spiegare che il loro transito è dovuto a necessità logistica. Basta la condanna, a seguire quella di Joseph Borell, il quale, in linea con i libelli del sangue medievali che accusavano gli ebrei di avvelenare i pozzi, accusa Israele di affamare intenzionalmente la popolazione.
Guterres non si è scordato (come poteva?) di dichiarare che l’annunciata operazione militare israeliana a Rafah, dove si trovano gli ultimi quattro battaglioni di Hamas, sarebbe un disastro umanitario, accodandosi al coro unanime che ha, ormai, come corifeo principale l’Amministrazione Biden.
Ma, come è chiaro a chiunque sia dotato di buonsenso, è solo eliminando i battaglioni residuali che si trovano a Rafah e, idealmente, anche i loro capi, che Israele potrà mettere fine al dominio incontrastato di Hamas all’interno della Striscia. Poi, sarà necessario restarvi per il tempo necessario a bonificare il territorio dai terroristi ormai ridotti a gruppuscoli smembrati.
Israele non è lontano dalla vittoria, nonostante il baccano causato dalla propaganda a lui contraria, nonostante tutti gli sforzi concentrati per impedire che abbia corso, sforzi soprattutto sostenuti da parte occidentale, perchè dietro le quinte, come è loro costume, molti stati arabi, in testa l’Arabia Saudita e di seguito gli Emirati e l’Egitto, sono in attesa che Israele faccia il lavoro sporco che loro non potrebbero mai fare.