Editoriali

La Cancellazione islamica della storia ebraica e la complicità dell’ONU

La storia la si riscrive a piacimento quando si ha l’agio per farlo, cioè i mezzi, la volontà politica. La volontà islamica di cancellare dalla Palestina la storia ebraica è pervasiva e radicata nell’assunto teologico che l’Islam antecede a tutto e che dunque, ciò che storicamente lo precede è solo un anacronismo. Se pure Adamo ed Eva erano musulmani lo erano anche inconsciamente tutti, lo siamo tutti. L’Islam è la protostoria dell’umanità e lo sono anche le sue testimonianze architettoniche, dunque, la Moschea di Al Aqsa fatta costruire nel 715 sotto il califfato degli Omayyadi, per alcuni predicatori infervorati precederebbe addirittura il Tempio di Salomone, mai ubicato in realtà sul Monte del Tempio.

Per il lord of terror, Yasser Araft, forse sì, c’era una volta un tempio degli ebrei, ma da qualche parte nei pressi di Nablus, non certo sulla Spianata delle Moschee. Lo diceva lui che vantava per i “palestinesi”, ovvero gli arabi che invasero il Medioriente dalla penisola arabica nel VII, fantasiose discendenze cananee o gebusee. Eppure la lingua batta dove il dente duole, e la Palestina prima del 135 AD, era conosciuta come Giudea e in ebraico, “ebreo” si dica “Yehud”, così come Giudea è il nome, insieme a Samaria, della cosiddetta Cisgiordania, così chiamata dagli inglesi, o West Bank, così chiamata dai giordani dopo che la occuparono nel 1948 e se la annessero illegalmente nel 1951. Nomi abusivi dati da invasori che non cancellano la storia sottostante, ben più antica, incardinata nella Bibbia.

Nel 1695, l’orientalista danese Hadrian Reland, nel suo viaggio in Palestina scoprì che nessuno degli insediamenti conosciuti aveva un nome arabo. La maggioranza dei nomi degli insediamenti erano infatti ebraici, greci o latini. Il territorio era praticamente disabitato e le poche città, (Gerusalemme, Safad, Jaffa, Tieberiade e Gaza) erano abitate in maggioranza da ebrei e cristiani. Esisteva una minoranza musulmana, prevalentemente di origine beduina, che abitava nell’interno.

Eppure, il 16 aprile del 2016 l’UNESCO approva in prima battuta una risoluzione sottoposta da un gruppo di stati arabi-musulmani, il Sudan, l’Algeria, il Qatar, l’Egitto, l’Oman e il Marocco, la quale recepisce in toto la volontà palestinese di appropriarsi nominalmente e simbolicamente del Kotel hamaravi )il Muro Occidentale o Muro del Pianto) e il soprastante monte del Tempio, da sempre il sito più sacro per l’ebraismo. E’ un ulteriore tappa dell’offensiva politico-diplomatica contro Israele cominciata con ritmo serrato dopo la sconfitta araba del ’67, e da allora mai cessata.

La risoluzione viene approvata definitivamente il 13 ottobre 2016. Il giorno successivo, Mahmoud Al-Habbash supremo giudice della sharia nonché consigliere per le questioni religiose di Abu Mazen dichiarerà:

“La risoluzione dell’UNESCO conferma ciò che pensiamo e in cui crediamo, che Gerusalemme e in particolare la Moschea di Al-Aqsa e il Muro di Al-Buraq (il Kotel) e la piazza di Al-Buraq, sono luoghi puramente islamici e palestinesi e nessun altro può avere il diritto di esservi associato. Nessuno ha il diritto. Noi siamo i padroni e noi ne abbiamo il diritto. Solo i musulmani hanno il diritto ad Al-Aqsa, al Al-Buraq e alla piazza di Al-Buraq che sono puramente proprietà waqf islamica…Questo è il nostro messaggio e quello di tutta la comunità internazionale a Israele. Il nostro messaggio è che non rinunceremo al nostro diritto fin tanto che vivremo. E anche se moriremo, le generazioni future ci seguiranno, dai nostri figli ai nostri pronipoti i quali aderiranno a questo diritto”.

Ciò che non è stato possibile prendere con le armi, si prende indirettamente, attraverso la sua appropriazione simbolica. La conquista è nominale, manca di concretezza effettiva, ma ha comunque un peso rilevante poiché recide le profonde e millenarie radici ebraiche con Gerusalemme e il Muro Occidentale per sostituirle con un nuovo innesto rigorosamente musulmano. D’altronde, è caratteristico dei conquistatori modificare, rinominandola, la toponomastica dei luoghi catturati e sottomessi al loro imperio. La storia abbonda di esempi. E per restare a Gerusalemme non è forse l’imperatore Adriano che nel 135 AD rinomina la capitale ebraica Aelia Capitolina, trasformando la regione che per secoli era stata chiamata Giudea, in Palestina?

La decisione dell’UNESCO è solo un ulteriore tassello di quel mosaico di appropriazione-espropriazione (estirpazione) araba-musulmana dell’ebraismo che ha come mira la sua sostituzione-sottomissione all’imperio islamico, e se è pur vero che alcune personalità musulmane gerosolimitane hanno riconosciuto per secoli l’esistenza del Monte del Tempio a sua volta suffragata contro ogni ragionevole dubbio da scoperte archeologiche, oggi non è più così. E non è più così unicamente per una ben precisa agenda politico-ideologica che l’UNESCO, quale emanazione dell’arabizzato ONU, ha prontamente ed ossequiosamente recepito.

Ed è solo di venerdì scorso l’approvazione da parte dell’ONU delle ennesime risoluzioni anti-israeliane approvate dall’Assemblea Generale, secondo cui i legami fra ebraismo e Gerusalemme sono completamente recisi secondo il dettato islamico. La risoluzione principale su Gerusalemme, passata con 148 voti a favore, 11 contrari e 14 astenuti, disconosce qualsiasi sovranità israeliana su Gerusalemme. Un’altra risoluzione approvata con 156 voti favorevoli, 8 contrari e 12 astenuti, fa riferimento al Monte del Tempio con la sua denominazione araba, al-Haram-al Sharif  come era già accaduto il  il 14 aprile del 2015 nella risoluzione presentata all’UNESCO nella quale il Monte del Tempio veniva rinominato in lingua araba nello stesso identico modo (il nobile santuario). Si marcia insieme, si colpisce insieme.

Occorre ricordare che all’ONU, su 193 stati membri, 22 sono arabi, che assommati ad altri stati islamici porta il totale degli stati musulmani a 57 a cui vanno aggiunti tutti quegli stati che per motivazioni ideologiche o economiche appoggiano i paesi arabi, portando il totale a 122 stati pregiudizialmente avversi a Israele. Una armata decisa e compatta.

In questo scenario non poteva mancare la sudditanza europea. l’Unione Europea, che già nel 2017 votò compattamente a fianco dei paesi musulmani contro la decisione americana di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele, ha approvato entrambi i testi, riservandosi una specificazione che suona come una beffa, ovvero che “In futuro, la scelta delle parole usate potrebbe influire sul sostegno collettivo dell’Unione Europea a queste risoluzioni”. Nel frattempo, però, si dà il proprio sostegno.

 

 

 

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