Interviste

La Bomba e la Guerra Santa: Una intervista con Matthias Küntzel

Matthias Küntzel, uno dei maggiori esperti internazionali di jihadismo, ha dedicato buona parte del suo lavoro come studioso e analista della Weltanschauung iraniana emersa dalla rivoluzione del 1979, la quale domina a tutt’oggi la politica estera di Teheran, i suoi scopi e i suoi obbiettivi. Con l’abituale lucidità e chiarezza, in questa intervista a L’Informale specifica quali siano le minacce che l’Iran pone non solo nei confronti di Israele (il suo principale antagonista insieme agli Stati Uniti) ma per la stabilità del Medioriente nella sua totalità.

Dr. Küntzel, come conseguenza della Guerra in Siria l’Iran sta espandendo la sua influenza nel Paese, approssimandosi ai confini delle alture del Golan. E’ evidente che l’Iran voglia consolidarsi in Siria. Quale è la sua valutazione della situazione?

La situazione è molto pericolosa, in quanto non solo la Russia ma anche gli Stati Uniti, per non menzionare gli europei, sembrano accettare l’espansione iraniana in Siria. Il regime iraniano vuole cancellare Israele dalle mappe. A questo scopo ha inviato 150.000 missili a Hezbollah e ha salvato il regime omicida di Assad. Se la comunità internazionale permette ora a questo regime di stabilirsi in Siria e costruire un nuovo fronte di battaglia sulle alture del Golan, una nuova guerra sarà inevitabile. Nessuno può aspettarsi che Israele accetti questa mobilitazione ostile sul suo confine settentrionale.

Nella sua recente visita in Russia, Benjamin Netanyahu ha detto chiaramente a Vladimir Putin che non permetterà che l’Iran si consolidi in Siria in una maniera tale da costituire una minaccia per Israele. Il recente raid aereo israeliano in Siria contro una fabbrica di armi chimiche e un sito missilistico sono più eloquenti di qualsiasi parole. Lei ritiene che la Russia possa essere ritenuta affidabile per limitare le ambizioni iraniane in Siria?

No. E’ vero che Mosca rigetta la guerra dell’Iran contro Israele e ha consigliato al regime di Assad di non reagire a seguito dell’ultimo attacco aereo israeliano. Non c’è tuttavia alcun segnale di un serio impegno russo di fermare o anche solo respingere l’espansione iraniana in Siria. Putin è un opportunista. Usa la debolezza dei suoi avversari e appoggia coloro i quali sono forti al momento. Quando Obama si dimostrò troppo debole per implementare la sua “linea rossa” in Siria nel 2013, attaccò l’Ucraina. Dopo che Teheran emerse vittorioso dai negoziati sul nucleare, stabilì un’alleanza militare con l’Iran in Siria. Fin tanto che Israele è l’unico paese a contrastare l’espansionismo iraniano in Siria, è molto probabile che Putin mantenga la sua posizione pro-iraniana. Tuttavia, se l’Occidente intraprendesse dei passi seri per indebolire e isolare l’Iran, Putin riconsidererebbe la sua alleanza con Teheran.

Il presidente Trump e di seguito il Generale James Mattis, Segretario alla Difesa, hanno dichiarato che l’Iran rappresenta la minaccia maggiore per la stabilità del Medioriente e che si tratta del maggiore sponsor del terrorismo. E’ d’accordo con loro e se sì perché?

Malgrado il fatto che il comportamento generale del presidente americano sia disdicevole, ha ragione su questo punto specifico. Al momento è vero che sono principalmente i sunniti islamisti che stanno diffondendo il terrore nel nome dell’IS o di Al-Qaeda. Sul piano statale, tuttavia, la situazione è diversa. Gli stati governati dai sunniti, Arabia Saudita inclusa, sono poteri che si mantengono sullo status quo e che non cercano cambiamenti rivoluzionari. D’altro canto, l’Iran persegue una politica estera rivoluzionaria che prevede il cambiamento dello status quo attraverso l’azione militare. Sul giornale iraniano Iranian Review of Foreign Affairs, Mahdi Mohammad Nia ha sottolineato questa differenza: “Gli stati rivoluzionari frequentemente non si impegnano in una analisi costi-benefici come gli altri stati. Il principale obbiettivo di questi stati è di perseguire la loro missione rivoluzionaria e di edificare una identità specifica basandosi su un insieme di norme e valori. Di conseguenza, questo paese può essere considerato come uno stato orientato a una missione invece di essere orientato sulla base degli interessi“. La missione rivoluzionaria di Teheran è fondamentalmente islamista. L’obbiettivo è quello di sottomettere tutto il mondo alla legge divina della Sharia.
In secondo luogo, solo l’Iran possiede delle Guardie Rivoluzionarie, le quali, così come hanno fatto con l’organizzazione terrorista libanese Hezbollah, stanno formando, istruendo e schierando milizie sciite in tutta la regione in modo da minare la stabilità di molti stati regionali. Ultima cosa, ma non per importanza, l’Iran è attualmente il più potente “stato islamico” e uno dei paesi più ricchi di risorse e più avanzati tecnologicamente al mondo, rendendo ancora più pericolosa la dottrina khomeinista che ispira il regime. La maggioranza della popolazione iraniana si oppone a questo regime il quale, tuttavia, ha perfezionato i propri metodi di oppressione in modo da garantire una apparente “stabilità”.



Nel marzo del 2015, Benjamin Netanyahu parlò al Congresso Americano. Avvisò con impellenza i legislatori americani che l’accordo nucleare tra gli Stati Uniti e l’Iran era un pessimo accordo. Aveva ragione?

Sì, aveva ragione. C’è una speciale caratteristica di questo accordo. Anche se l’Iran dovesse ottemperare alle sue linee guida, de facto finirà per essere uno stato munito di ordigni nucleari. Tra otto, tredici anni, tutte le restrizioni correnti saranno eliminate, allora il regime sarà in grado di produrre bombe, questa volta con la benedizione della comunità internazionale. Fin dal principio questo accordo è stata una scommessa sul futuro. I cinque paesi membri del Consiglio di Sicurezza più la Germania hanno scommesso che, se il desiderio iraniano di avere l’atomica sarebbe stato soddisfatto in parte nel medio periodo e in parte nel lungo periodo, i così chiamati “moderati” si imporranno e non solo l’Iran si aprirà all’Occidente ma giocherà un ruolo stabilizzante nella regione, magari anche perdendo interesse per le proprie armi nucleari. Questa scommessa si è basata su un giudizio completamente errato delle premesse ideologiche che determinano l’azione di Teheran. Nel frattempo la realtà si è incaricata di mostrare che pessima scommessa abbia fatto l’Occidente. Il regime iraniano ha intensificato la propria azione aggressiva nei confronti di Israele, si è consolidato ulteriormente in Libano grazie al suo delegato, Hezbollah, mentre la Siria è in procinto di essere trasformata in un protettorato iraniano e l’Iraq e lo Yemen sono stati destabilizzati attraverso l’impiego di forze appoggiate dall’Iran.

Che peso dà al ragionamento secondo il quale un Iran dotato di nucleare agirebbe in modo molto simile a come fece l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, sapendo che qualsiasi uso delle armi nucleari contro Israele innescherebbe subito una massiccia risposta distruttiva?

La logica della deterrenza potrebbe anche funzionare nel caso dell’Iran, ma non è in alcun modo certo. Nel dicembre del 2001, l’ex presidente iraniano Rafsanjani disse che reputava “non irrazionale” un attacco contro Israele anche se, come conseguenza, fossero dovuti morire un alto numero di musulmani iraniani, poiché, secondo il pensiero di Rafsanjani, Israele sarebbe stato completamente distrutto mentre il mondo islamico nella sua totalità sarebbe stato soltanto danneggiato. Questo modo di “ragionare” mostra quanto sia scarsa l’influenza della “deterrenza” sui khomeinisti. L’equilibrio del terrore della Guerra Fredda era fondato sulla preminenza di questo mondo, poiché sia i russi che gli americani volevano sopravvivere: la minaccia di una risposta distruttiva di rappresaglia scoraggiava l’avventurismo. L’insegnamento di Khamenei, al contrario, dà una priorità all’aldilà. Lo slogan “Amate la vita quanto noi amiamo la morte!” è l’essenza di questo insegnamento. Una persona che ha davanti a sé la prospettiva della ricompensa per essere morta da martire non viene dissuasa.

Secondo Daniel Pipes la cura per l’islamismo è l’Islam moderato. Per Mordechai Kedar questa distinzione è solo un costrutto occidentale. L’Islam, sostiene, è solo l’islam, ci sono musulmani che scelgono di metterlo in pratica sugli altri e musulmani che scelgono di metterlo in pratica solo su se stessi. Qual è la sua opinione?

Kedar afferma: “Quello con cui dobbiamo confrontarci non è l’Islam moderato contro l’Islam radicale, ciò con cui dobbiamo confrontarci sono i musulmani radicali contro i musulmani moderati“. Sono d’accordo con entrambi gli aspetti di questa affermazione. C’è solo un Islam e c’è un Corano con versetti che incoraggiano i terroristi islamisti e versetti che confermano l’opinione dei musulmani moderati. Sono anche d’accordo sul fatto che dobbiamo distinguere tra i musulmani radicalizzati e quelli secolarizzati e moderati. I musulmani secolarizzati reputano che la religione sia una questione privata e danno maggiore peso alle leggi dello stato che ai precetti religiosi. Gli islamisti radicali, tuttavia, hanno il vantaggio di essere in grado di praticare il terrorismo basandosi su versetti coranici in modo da intimidire i moderati. Perciò è importante che noi, non-musulmani, rafforziamo i moderati nella loro resistenza contro l’islamismo.

Sono passati pochi giorni dall’anniversario dell’11 settembre. Nel suo studio seminale, Jihad and Jew-Hatred: Islamism, Nazism And The Roots of 9/11, lei ha evidenziato il ruolo giocato dall’odio per gli ebrei nella loro motivazione per l’attacco alle Twin Towers. Fino a che punto l’antisemitismo gioca un ruolo nella jihad islamica?

L’antisemitismo resta un pilastro dell’ideologia jihadista. E’ un fatto ben noto che gli ideologi antisemiti hanno identificato fin dall’inizio gli ebrei con gli aspetti minacciosi della modernità. Amin al-Husseini, il Mufti di Gerusalemme e uno dei padri fondatori dell’islamismo insieme a Hassan al-Banna e a Izz ad-Din al-Qassam, non era solo un odiatore degli ebrei radicale ma, allo stesso tempo, il critico più esplicito della modernizzazione islamica. Questa interrelazione tra l’antisemitismo e l’anti-modernismo spiega anche l’attrazione nei confronti del trattato antisemita I Protocolli dei Savi di Sion, non solo da parte degli jihadisti ma da parte di tutto il mondo islamico. Il testo è stato concepito per screditare il liberalismo in modo da combattere l’avanzamento delle libertà individuali: esse sono denunciate come lo strumento essenziale di una cospirazione ebraica globale.

In uno dei suoi articoli, ‘Lo sforzo di Teheran di mobilitate l’antisemitismo: l’impatto globale’, lei scrive, “L’antisemitismo dell’Iran è un antisemitismo rivoluzionario e la politica estera iraniana è una politica rivoluzionaria. Il suo scopo è globale, il suo programma è chiliastico e il suo obbiettivo è rivoluzionario”. Può approfondire?

Il suo scopo è globale: Questa verità non solo è incarnata nell’emblema della Repubblica Islamica – la parola “Allah” scritta in arabo in modo da formare un globo stilizzato – ma è anche dettata dalla costituzione iraniana, la quale definisce “la politica estera del Paese sulla base dei criteri islamici: l’allineamento fraterno verso tutti i musulmani e il sostegno implacabile” per “qualsiasi giusta lotta dei deboli contro i forti sulla faccia del globo”.
Il suo programma è chiliastico: Ali Khamenei descrive la rivoluzione islamica come “il punto di svolta nella storia moderna del mondo” e aggiunge, “Il nostro movimento storico sta creando una nuova civiltà”. La creazione di questa nuova civiltà dipende, come sempre, dall’annichilimento dei suoi nemici, in questo caso Israele e gli Stati Uniti. A prescindere dal pragmatismo quotidiano, la politica estera iraniana è ancora ispirata da questa aspettativa fondata su una presunta superiorità spirituale.
Il suo obbiettivo è rivoluzionario: Ne ho parlato precedentemente. Molti hanno sperato che, sotto la presidenza di Rouhani, l’Iran sarebbe entrato in una fase più pragmatica nella quale le considerazioni basate sull’interesse nazionale avrebbero prevalso su quelle basate sulla sua missione, tuttavia, persino Mohammad Javad Zarif, il primo ministro iraniano e figura di spicco di un presunto Iran moderato, ha respinto questa supposizione. “Noi siamo i pretendenti di una missione che ha una dimensione globale” ha scritto in farsi nelle sue memorie, pubblicate all’inizio del 2014. “Abbiamo definito la nostra vocazione globale, sia nella costituzione che negli obbiettivi finali della rivoluzione islamica…Credo che non potremmo esistere senza i nostri obbiettivi rivoluzionari”. Quindi non è la tecnologia che rende così pericoloso il programma nucleare iraniano presente e futuro, e probabilmente ancora più pericoloso di quello del suo predecessore nordcoreano, ma il contesto ideologico dal quale emerge. Solo l’Iran combina la fantasia sciita della provvidenza divina con la fisica della distruzione di massa. Qui troviamo, per la prima volta dalla scissione dell’atomo, la forza distruttiva della bomba con la furia della guerra santa.

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