Soltanto un mese fa sono stati pubblicati i risultati di una ricerca condotta da Save the children, secondo cui “9 bambini di Gaza su dieci sono traumatizzati e vivono in stato di depressione o iperattività”. La colpa, manco a dirlo, sarebbe di Israele, anche se Gerusalemme non ha più nulla a che fare con la Striscia di Gaza dal lontano 2007.
Sarebbero le “bombe di Israele” a costringere i bambini gazawi a vivere nella depressione e nella solitudine. E nella povertà. Non Hamas, non i dirigenti arabi, non i continui incitamenti all’odio.
Il bombardamento mediatico cui è sottoposto Israele si unisce all’attuale bombardamento, purtroppo non figurato, che dura ormai da giorni ed è pressoché quotidiano: i missili lanciati da Hamas in territorio israeliano. Le conseguenze di questi attacchi continui e reiterati sono praticamente ignorate dai media e dalle organizzazioni come Save the childen. Eppure, i problemi per la popolazione israeliana non mancano.
Come reagiscono gli abitanti? E i bambini? Ci sono conseguenze psicologiche e comportamentali?
Buio totale.
Ad occuparsi di questi aspetti è una blogger inglese, Katie Hopkins, ex editorialista del Sun e del Mailonline, partita dal Regno Unito per recarsi in Israele e documentare la vita delle famiglie israeliane sotto i razzi di Hamas.
Katie Hopkins, che qualche mese fa ha fondato il sito “The Rebel Media”, in questi giorni sta pubblicando vari tweet per raccontare cosa sta accadendo nei territori israeliani vicini alla Striscia di Gaza e il dramma delle famiglie costrette a convivere con gli allarmi antibomba quotidiani e la necessità di fuggire precipitosamente all’interno dei rifugi.
Un bambino israeliano, ad esempio, ha 15 secondi di tempo per scappare dal momento in cui parte il suono della sirena. Sul merito, Save the children non si è ancora pronunciata.
In questo video su youtube la blogger inglese spiega le ragioni del suo attivismo a favore di Israele