In seguito all’annullamento dell’amichevole Israele-Argentina, originariamente prevista per sabato 9 giugno allo stadio Teddy Kollek di Gerusalemme, il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica argentina Jorge Faurie ha dichiarato che “in questa circostanza il livello delle minacce ha superato quelle che in passato erano provenute dall’ISIS” nei confronti di Lionel Messi per la sua partecipazione al Mondiale in Russia.
Nell’intervista rilasciata a Radio Mitre il politico argentino ha ricordato come un evento sportivo dovrebbe servire ad unire e non a risvegliare situazioni di ostilità. Ha inoltre spiegato che i giocatori della selección, a fronte delle minacce diffuse su internet, si sentivano “inquieti e, di conseguenza, hanno preferito non giocare questa partita”.
Alla richiesta del giornalista di commentare le dichiarazioni dell’ambasciatore israeliano in Argentina, Ilan Sztulman, che ha definito l’annullamento della partita come “molto triste”, Faurie ha risposto: “Non è mai positivo quando si prende una decisione in seguito a minacce o a una situazione di disagio”. Ribadendo il concetto che una partita di calcio dovrebbe unire i popoli, il Ministro ha aggiunto che la partita era inizialmente prevista a Haifa e che poi la sede è stata spostata a Gerusalemme, lasciando forse intendere che la colpa dell’annullamento non sia da imputare alle sole dinamiche mafioso-terroristiche del mondo palestinista, da sempre abituato a minacciare attentati e boicottaggi, ma anche alla scelta della città in cui giocare. Forse la notizia che Gerusalemme è la capitale di Israele dal 1948 non ha ancora oltrepassato l’Atlantico. O forse è solo un tentativo di ridimensionare la pavidità della federazione argentina tirando in ballo le scelte logistiche del paese ospitante. Su un punto è stato però molto chiaro: “Ovviamente tutti i giocatori hanno una famiglia, tutti si preoccupano dei loro figli e molti dei messaggi che circolavano non erano piacevoli”. Tengono famiglia.
Infine, Jorge Faurie ha fatto riferimento alla telefonata avvenuta ieri tra il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente argentino, Mauricio Macri: “Ero all’OSA [Organizzazione degli Stati Americani, ndr] la scorsa notte. So che Netanyahu lo ha chiamato, credo per fare una specie di richiesta al fine di riconsiderare questa decisione, ma questa è una decisione presa dall’AFA [Federazione calcistica dell’Argentina, ndr]. Non ero con il Presidente per poter essere in grado di dire qualcosa sul tono o sugli argomenti della conversazione”.
A margine di questa triste vicenda per il mondo dello sport, minacciato, ricattato e sconfitto da organizzazioni antisemite che promuovono il boicottaggio dello Stato Ebraico, federazioni pseudo-sportive in mano a terroristi conclamati come Jibril Rajoub e organizzazioni islamiste come Hamas (che ha applaudito alla decisione argentina), come confermato dalle parole del Ministro degli Esteri argentino, resta un fatto che dovrebbe far riflettere: la diffusione e la consistenza delle minacce provenienti dal mondo palestinese e pro-palestinese sono state ben peggiori delle minacce ricevute dall’ISIS.
Il presidente dell’AFA, Claudio Tapia ha dichiarato: “Questa decisione non è contro la comunità israeliana, non è contro la comunità ebraica”. Potremmo anche credergli, se non fosse che per non fare un torto alla comunità israeliana, i vertici dell’AFA hanno ceduto alle minacce di chi vorrebbe vedere quella comunità sparire dalla cartina geografica. Questo il motivo di fondo per cui non si giocherà Israele-Argentina a Gerusalemme il prossimo 9 giugno. Con buona pace (anche) dello sport.