Il 13 gennaio 1898 veniva pubblicato per la prima volta sul giornale “L’Aurore” l’editoriale di Émile Zola passato alla storia come “J’accuse“.
Da quel giorno, quella che era una lettera aperta dello scrittore francese al presidente della repubblica Félix Faure è diventato un modo di dire di uso comune contro ogni ingiustizia e prepotenza. “J’accuse“, io accuso.
L’intento di Zola era quello di denunciare pubblicamente tutte le irregolarità del processo contro il capitato di Stato maggiore Alfred Dreyfus, militare ebreo prima accusato e poi condannato il 22 dicembre 1894 per alto tradimento.
Un’accusa che si è poi rivelata falsa e destituita di qualsiasi fondamento.
Dreyfus era innocente, ma è stato condannato e preso di mira dall’opinione pubblica anche e soprattutto a causa di un clima di antisemitismo imperante nella Francia di quegli anni.
Eppure, proprio l’affaire Dreyfus, analizzato senza coinvolgimenti e con un velo di ironia, ha rappresentato il ribaltamento di uno dei pregiudizi antisemiti maggiormente abusato: un ebreo vittima, e non autore, di un complotto ordito ai suoi danni, con il coinvolgimento persino dei servizi segreti.
Dreyfus era accusato di aver rivelato informazioni segrete all’Impero tedesco, nemico della Francia, ed è stato condannato alla degradazione con infamia e alla deportazione perpetua ai lavori forzati nella colonia penale dell’Isola del Diavolo, al termine di un processo sommario basato su documentazioni palesemente false. L’infondatezza delle accuse è apparsa evidente a molti sin da subito, tanto che lo scandalo Dreyfus ha diviso il Paese per quasi vent’anni. Decisivo, per ribaltare le sorti a favore del militare ingiustamente condannato, è stato il coraggioso J’accuse di Zola
Io accuso…!
Signor Presidente, permettetemi, grato, per la benevola accoglienza che un giorno mi avete fatto, di preoccuparmi per la Vostra giusta gloria e dirvi che la Vostra stella, se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva ed inqualificabile delle macchie. Avete conquistato i cuori, Voi siete uscito sano e salvo da grosse calunnie. Apparite raggiante nell’apoteosi di questa festa patriottica che l’alleanza russa ha rappresentato per la Francia e Vi preparate a presiedere al trionfo solenne della nostra esposizione universale, che coronerà il nostro grande secolo di lavoro, di libertà e di verità. Ma quale macchia di fango sul Vostro nome, stavo per dire sul Vostro regno – soltanto quell’abominevole affare Dreyfus! Per ordine di un consiglio di guerra è stato scagionato Esterhazy, ignorando la verità e qualsiasi giustizia. È finita, la Francia ha sulla guancia questa macchia, la storia scriverà che sotto la Vostra presidenza è stato possibile commettere questo crimine sociale. E poiché è stato osato, oserò anche io. La verità, la dirò io, poiché ho promesso di dirla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito dell’uomo innocente che espia laggiù nella più spaventosa delle torture un crimine che non ha commesso. Ed è a Voi signor presidente, che io griderò questa verità, con tutta la forza della mia rivolta di uomo onesto. In nome del Vostro onore, sono convinto che la ignoriate. E a chi dunque denuncerò se non a Voi, primo magistrato del paese? Per prima cosa, la verità sul processo e sulla condanna di Dreyfus. Un uomo cattivo, ha condotto e fatto tutto: è il luogotenente colonnello del Paty di Clam, allora semplice comandante. La verità sull’affare Dreyfus la saprà soltanto quando un’inchiesta legale avrà chiarito i suoi atti e le sue responsabilità. Appare come lo spirito più fumoso, più complicato, ricco di intrighi romantici compiacendosi al modo dei romanzi feuilletons, carte sparite, lettere anonime, appuntamenti in luoghi deserti, donne misteriose che accaparrano prove durante gli appuntamenti. È lui che immaginò di dettare l’elenco a Dreyfus, è lui che sognò di studiarlo in una parte rivestita di ghiaccio, è lui che il comandante Forzinetti ci rappresenta armato di una lanterna, volendo farsi introdurre vicino l’accusato addormentato, per proiettare sul suo viso un brusco raggio di luce e sorprendere così il suo crimine nel momento del risveglio. Ed io non ho da dire altro che se si cerca si troverà. Dichiaro semplicemente che il comandante del Paty di Clam incaricato di istruire la causa Dreyfus, come ufficiale giudiziario nel seguire l’ordine delle date e delle responsabilità, è il primo colpevole del terribile errore giudiziario che è stato commesso. L’elenco era già da tempo nelle mani del colonnello Sandherr direttore dell’ufficio delle informazioni, morto dopo di paralisi generale. Ebbero luogo delle fughe, carte sparivano come ne spariscono oggi e l’autore dell’elenco era ricercato quando a priori si decise poco a poco che l’autore non poteva essere che un ufficiale di stato maggiore e un ufficiale dell’artiglieria: doppio errore evidente che mostra con quale spirito superficiale si era studiato questo elenco, perché un esame ragionato dimostra che non poteva agire soltanto un ufficiale di truppa. Si cercava dunque nella casa, si esaminavano gli scritti come un affare di famiglia, un traditore da sorprendere dagli uffici stessi per espellerlo. E senza che voglia rifare qui una storia conosciuta solo in parte, entra in scena il comandante del Paty di Clam da quando il primo sospetto cade su Dreyfus.
A partire da questo momento, è lui che ha inventato il caso Dreyfus, l’affare è diventato il suo affare, si fa forte nel confondere le tracce, di condurlo all’inevitabile completamento. C’è il ministro della guerra, il generale Mercier, la cui intelligenza sembra mediocre; c’è il capo dello stato maggiore, il generale de Boisdeffre che sembra aver ceduto alla sua passione clericale ed il sottocapo dello stato maggiore, il generale Gonse la cui coscienza si è adattata a molti. Ma in fondo non c’è che il comandante di Paty di Clam che li conduce tutti perché si occupa anche di spiritismo, di occultismo, conversa con gli spiriti. Non si potrebbero concepire le esperienze alle quali egli ha sottomesso l’infelice Dreyfus, le trappole nelle quali ha voluto farlo cadere, le indagini pazze, le enormi immaginazioni, tutta una torturante demenza. Ah! Questo primo affare è un incubo per chi lo conosce nei suoi veri dettagli! Il comandante del Paty di Clam, arresta Dreyfus e lo mette nella segreta. Corre dalla signora Dreyfus, la terrorizza dicendole che se parla il marito è perduto. Durante questo tempo, l’infelice si strappava la carne, gridava la sua innocenza. E la vicenda è stata progettata così come in una cronaca del XV secolo, in mezzo al mistero, con la complicazione di selvaggi espedienti, tutto ciò basato su una sola prova superficiale, questo elenco sciocco, che era soltanto una tresca volgare, che era anche più impudente delle frodi poiché i ”famosi segreti” consegnati erano tutti senza valore. Se insisto è perché il nodo è qui da dove usciva più tardi il vero crimine, il rifiuto spaventoso di giustizia di cui la Francia è malata. […]
Ma questa lettera è lunga signor presidente, ed è tempo di concludere. Accuso il luogotenente colonnello de Paty di Clam di essere stato l’operaio diabolico dell’errore giudiziario, in incoscienza, io lo voglio credere, e di aver in seguito difeso la sua opera nociva, da tre anni, con le macchinazioni più irragionevoli e più colpevoli. Accuso il generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo. Accuso il generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell’innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di questo crimine di lesa umanità e di lesa giustizia, per uno scopo politico e per salvare lo stato maggiore compromesso. Accuso il generale de Boisdeffre ed il generale Gonse di essersi resi complici dello stesso crimine, uno certamente per passione clericale, l’altro forse con questo spirito di corpo che fa degli uffici della guerra l’arcata santa, inattaccabile. Accuso il generale De Pellieux ed il comandante Ravary di avere fatto un’indagine scellerata, intendendo con ciò un’indagine della parzialità più enorme, di cui abbiamo nella relazione del secondo un imperituro monumento di ingenua audacia. Accuso i tre esperti in scrittura i signori Belhomme, Varinard e Couard, di avere presentato relazioni menzognere e fraudolente, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da una malattia della vista e del giudizio. Accuso gli uffici della guerra di avere condotto nella stampa, particolarmente nell’Eclair e nell’Eco di Parigi, una campagna abominevole, per smarrire l’opinione pubblica e coprire il loro difetto. Accuso infine il primo consiglio di guerra di aver violato il diritto, condannando un accusato su una parte rimasta segreta, ed io accuso il secondo consiglio di guerra di aver coperto quest’illegalità per ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di liberare consapevolmente un colpevole. Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione. Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l’atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l’indagine abbia luogo al più presto. Aspetto. Vogliate gradire, signor presidente, l’assicurazione del mio profondo rispetto.
Lo scrittore ha pagato in prima persona la sua decisione di schierarsi a favore di Dreyfus: condannato ad un anno di reclusione e al pagamento di tremila franchi di ammenda per vilipendio delle forze armate al termine di un processo durato poco più di dieci giorni, Zola ha però contribuito sensibilmente a far riaprire il caso. Purtroppo non ne vedrà mai la fine: la Corte di Cassazione revocherà la sentenza di condanna a Dreyfus soltanto il 12 luglio 1906, quattro anni dopo la morte di Zola.
Oltre a quello dello scrittore francese, si è rivelato importante pure il contributo di un italiano: il diplomatico Raniero Paolucci di Calboli, convintosi sin da subito dell’innocenza di Dreyfus, ha raccolto materiale per dimostrare l’infondatezza delle accuse. L’archivio si può trovare ancora oggi presso la Biblioteca civica di Forlì.
Tra gli innocentisti, pure il colonnello Georges Picquart, nominato il 1 luglio 1895 capo dell’Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore: nel maggio 1896 consegnerà al suo diretto superiore, il capo di stato maggiore Boisdeffre, una relazione in cui è dimostrata l’innocenza del capitano ed è accusato di tradimento il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy. Sarà per questo rimosso dalla guida dei servizi segreti e spedito in Tunisia.
Il 30 agosto 1898, il maggiore Hubert J. Henry, principale accusatore e membro del controspionaggio, confessa di essere l’autore di una lettera falsificata in cui è menzionato Dreyfus (una delle prove decisive) e di aver contraffatto documenti del suo dossier segreto. Arrestato, il 31 agosto si suicida in carcere, tagliandosi la gola con un rasoio. Dreyfus è però ancora condannato dalla Corte militare nel settembre 1899, nonostante il processo ne avesse dimostrato l’innocenza, a causa delle forti pressioni dello Stato Maggiore ormai compromesso.
Solo nel 1906 la sentenza definitiva di assoluzione e la fine del caso.
Non basterà a placare il clima di odio e di antisemitismo: il 4 luglio 1908 un giornalista spara due colpi di pistola a Dreyfus, ferendolo lievemente ad un braccio.
Dreyfus sarà reintegrato nell’esercito e morirà a Parigi nel 1935.